Rinnovato il Piano Industria 4.0, ora serve una stabilizzazione
Innovazione, formazione e sostenibilità. Sono questi i fattori che hanno reso il Piano Industria 4.0, varato nel 2016 quando il Ministero per lo Sviluppo economico era guidato da Carlo Calenda, un’iniziativa di successo che ci invidia tutta Europa. Ma se a questi fattori si aggiungesse anche un pizzico in più di chiarezza e di lungimiranza, l’efficacia del piano aumenterebbe esponenzialmente. E – di pari passo – anche la serenità delle Piccole e medie imprese (PMI) della Penisola.
A dirlo è Michele Bonelli, CEO di Vendor, società di consulenza con sede a Castiglione dello Stiviere (Mantova) che mira all’efficienza energetica, finanziaria e digitale delle aziende. L’abbiamo intervistato per capire cosa si possono aspettare gli imprenditori italiani dalla legge di Bilancio 2020.
“Il Governo sembra cambiare idea ogni giorno, ma almeno il rinnovo di Impresa 4.0 pare si possa dare per assodato, per fortuna”, esordisce Bonelli. “Il Super e l’Iperammortamento su beni tecnologici, software ed economia circolare, la legge Sabatini sui contributi per l’acquisto di beni strumentali e il credito di imposta per la Formazione 4.0 sono tutte misure che hanno sostenuto le aziende negli ultimi cinque anni e che dovrebbero essere al sicuro nella nuova Manovra”.
Rinnovo triennale ed economia circolare
Quanto al possibile rinnovo valido tre anni, secondo il CEO di Vendor “sarebbe la scelta migliore, per permettere alle imprese di programmare gli investimenti a medio termine senza temere che le regole del gioco cambino in corso d’opera”.
Un’opzione talmente auspicabile – secondo Bonelli – da valere anche un’eventuale riduzione delle aliquote dell’Iperammortamento o dei contributi, se fosse necessario contrarre leggermente il budget per poter estendere il progetto più a lungo: “Il rinnovo di anno in anno mina la stabilità dello scenario imprenditoriale, quindi piuttosto sarebbe meglio avere meno risorse ma poter guardare più in avanti”.
Inoltre, c’è il tema dell’economia circolare, anch’esso parte della nuova legge di Bilancio. “È una scelta etica che crea diverse opportunità, a maggior ragione considerando che il Green new deal è una riforma strutturale: non una singola misura, ma un insieme di disposizioni che abbracciano un nuovo modo di produrre rivolto alla sostenibilità”, commenta il manager. Non si tratta di misure nuove in senso stretto, piuttosto di un ‘nuovo che ritorna’: “Probabilmente è stato compreso che ormai il tempo stringe, sia per le aziende sia per l’ambiente”.
Stop ai compromessi
I buoni intenti, accompagnati da strumenti validi, possono non bastare. “Il problema è che spesso le intenzioni vengono tradotte in bandi e misure di difficile accesso alle PMI e talvolta anche poco chiare”, sottolinea Bonelli. “Saranno i decreti attuativi a mostrarci quanto queste misure si riveleranno o meno efficaci”.
Testi semplici – senza aree grigie interpretabili in diversi modi – dove sia chiaro che cosa un’azienda può acquistare accedendo a un incentivo, in che termini può farlo e quali benefici può trarne. “Regole lineari e niente compromessi, questo è l’auspicio”.
Anche la conferma del credito d’imposta sulla formazione è un buon segno per il CEO di Vendor, purché questa misura venga rivista e semplificata: “Non basta aiutare le aziende a rinnovare i macchinari, ciò deve essere accompagnato da un nuovo modo di gestire i processi e da uno sviluppo delle competenze”, conclude.
Ben vengano quindi macchinari più evoluti, digitalizzati, che permettono di produrre meglio e con meno sforzo fisico. Purché poi si mettano i lavoratori in condizione di usarli.