Imparare nel bosco
L’asilo nel bosco è un modello di istruzione per la prima infanzia nato in Danimarca e molto in voga nel nord Europa. I bambini dai tre ai sei anni frequentano la scuola dell’infanzia, appunto, in un bosco e passano la maggior parte del tempo all’aperto. Niente banchi a misura di bambino, niente grembiuli e materiale che imita ciò che verrà utilizzato nella scuola elementare. Stanno all’aperto, con qualsiasi tempo, e devono imparare a svolgere compiti utilizzando attrezzi veri. La logica è la stessa del project management, viene assegnato un compito da eseguire da soli o in gruppo: raccogliere pezzi di legno, segarli, ovviamente con la supervisione di un adulto, superare gli ostacoli che si frappongono tra la presa in carico del compito e lo scopo da raggiungere. L’obiettivo? Insegnare ai bambini il senso di responsabilità, instillare loro l’importanza di portare a termine un compito dal quale dipende l’attività che qualcun altro sarà chiamato a fare dopo. E anche per trasmettere il senso di ordine e disciplina. Quando si termina un compito si mettono a posto gli attrezzi. E non è banale. Voi mi direte che anche quando si finisce di giocare si mettono a posto i giochi. Mamme, guardiamoci negli occhi… E poi si insegna che non esistono condizioni avverse, non esiste il brutto tempo, esistono solo abiti inadeguati, come recita un proverbio tedesco.
Un modello che piace perché oltre ad alimentare nei bambini la fiducia in loro stessi li stimola a usare la fantasia. Non vengono utilizzati giochi che qualcun altro ha pensato per loro, ma tutto ciò che si trova nella natura può essere magicamente trasformato in gioco. Fantasia e creatività si allenano per vedere ciò che altri non vedono, per trasformare sassi, legni, foglie e fiori in oggetti preziosi, magici. Anche in Italia ci sono diverse sperimentazioni di questo metodo pedagogico. Certo, l’obiezione è facile, nelle metropoli manca il bosco. Se andiamo avanti a disincentivare la natalità –il vero dramma dell’Italia– mancheranno anche i bambini. Detto questo credo sia importante fare una riflessione sul metodo, più che sulle effettive possibilità di diffusione nelle nostre città. Il ragionamento ha una sua rilevanza perché oggi ci ripetiamo che non sappiamo quali saranno i lavori che faranno i nostri figli e quindi non è chiaro cosa sia utile studiare e cosa no. Certo, ci sono alcune evidenze: Ingegneria è meglio di Scienze della Comunicazione, Statistica è meglio di Giurisprudenza. Sappiamo che i lavori ripetitivi verranno sostituiti, Robotica e Intelligenza Artificiale entreranno in tutti gli ambiti professionali. Per la verità sono già entrati e scarseggiano le conoscenze per governarli.
Ci è chiaro che dobbiamo prepararci, guardare al mondo che si trasforma con lo sguardo meravigliato dei bambini. Dobbiamo essere curiosi, coraggiosi, dobbiamo imparare ad ascoltare il contesto per entrarne in sintonia e non temere ciò che non conosciamo. I bambini che crescono nel bosco qualche vantaggio ce l’hanno. Innanzitutto, imparano a sopportare tutte le temperature –e già questa è una mano santa: negli uffici, o in quel che resta del posto di lavoro, le lamentele sulla temperatura inquinano, quelle sì, il clima–. E poi imparano dall’ambiente –cosa che le macchine hanno già imparato a fare benissimo–, sviluppano capacità di ascolto, sono disincentivati a essere ossessivamente concentrati su di sé –ho freddo quindi non posso fare una cosa–, imparano a portare a termine un compito nonostante le condizioni, apparentemente, avverse. I bambini che frequentano l’asilo nel bosco hanno ottimi equipaggiamenti per stare all’aperto quando piove o nevica, vengono educati a non vedere le circostanze come ostacoli. Crescere così consente di sviluppare alcune capacità che sono fondamentali quando, una volta adulti, si dovrà affrontare il mondo VUCA, come si dice ora. Le capacità che servono le ha individuate Angela Gallo e Francesco Varanini ce le fa rileggere con gli occhi dei romanzieri nel libro Narrare le capacità. Problem solving, gestione del team, decisione, controllo, orientamento ai risultati, gestione di incertezza e difficoltà, adattabilità sono solo alcune delle capacità indispensabili per affrontare con consapevolezza un tempo presente all’interno del quale ci sentiamo tutti un po’ spaesati. “Io non so se sono adatto a fare l’attore. Cercherò di sforzarmi e di eseguire tutti gli incarichi”, scrive Kafka in America. Possiamo scegliere di sentirci inadeguati o possiamo ricercare una sintonia con il contesto. I bambini che crescono nel bosco lo sanno fare, noi ci dovremmo allenare un po’ di più.
Francesco Varanini, responsabilità, project management, Intelligenza artificiale, robotica, Angela Gallo, apprendimento, conoscenze, lavori del futuro, Narrare le capacità, problem solving
Marcello Gilardoni
Condivido tutto lo scritto a proposito del sistema educativo e della sua potenziale rilevanza nella vita futura del bambino di oggi. Mi aspettavo di trovare la parola “creatività” come primaria conseguenza di maggiori libertà associative in epoca infantile. Ottimo il concetto di responsabilizzazione. Ma per sviluppare capacità di problem solving (uffah questi inglesismi), gestione del team (squadra?…) e decisionali ritengo che la creatività sia un plus potentissimo se non indispensabile per emergere dalla mediocrità. Tale metodo educativo che permette il contatto con gli elementi primari e indomabili della nostra esistenza (la natura) acuisce nei bambini l’osservazione, e quindi il processo induttivo, che costituisce la base individuale su cui negli anni successivi si andranno a implementare le informazioni socio/culturali di carattere collettivo (istruzione, formazione etc…). Ci troveremo probabilmente adulti meno….. standard nel pensiero oltre che più concreti e pervicaci nello svolgimento dell’attività che avranno scelto di svolgere.