Il nuovo ruolo dell’HR Manager nella trasformazione digitale
Agli Amministratori Delegati di 73 delle aziende più importanti al mondo è stata chiesta una definizione di Digital transformation: hanno risposto in 73 modi diversi. Questo aneddoto aiuta a comprendere come le imprese non si approccino in maniera univoca al cambiamento, partendo dalle definizioni, come spesso avviene nel campo della ricerca, accademico o delle Pubbliche amministrazioni.
Le aziende hanno una visione a sé stante delle trasformazioni che avvengono, probabilmente perché ne sono i primi e principali attori. Come avviene nel campo del welfare, o nella gestione dell’impatto ambientale, o ancora delle nuove modalità di lavoro, così in ambito digitale sono le imprese a precorrere strade significative.
La domanda, forse un po’ filosofica, è: sono le aziende che indicano la strada, oppure, semplicemente, si stanno adeguando alle trasformazioni cui la società va incontro? La risposta non è univoca.
Il dato certo è che l’Unione europea, nel rapporto Digital Economy and Society Index, ha posizionato l’Italia al quart’ultimo posto nel Vecchio Continente quanto a competenze digitali, seguita solo da Bulgaria, Grecia e Romania. Inoltre, solo il 3% delle aziende riesce a integrare positivamente le metodologie di trasformazione digitale.
Alla base c’è senz’altro una questione di tipo culturale e una resistenza generazionale nei confronti del cambiamento. Ecco che, in questo, il ruolo dei manager responsabili delle Risorse Umane può rivelarsi fondamentale.
Generazione del digitale e generazioni digitali
Anche per la Direzione del Personale è in campo un discorso generazionale: ci sono aziende più ‘tradizionali’ che stanno ancora cercando la strada per dialogare con i nativi digitali, siano essi consumatori o dipendenti, mentre altre cercano di muovere i primi passi in questo ambito proprio partendo dalle HR.
La Top Employers HR Best Practice Survey 2019 ha fatto emergere come, all’interno del mondo HR, ci siano campi in cui la digitalizzazione è pratica consolidata. Anzi: talvolta sono le agenzie che si occupano di somministrazione di lavoro a essere timorose nel proporre un approccio digitale ai clienti, per esempio per i colloqui di lavoro.
Invece, nella Talent acquisition è fondamentale una digitalizzazione delle imprese, per riuscire a dialogare con i giovani talenti e imparare il linguaggio dei nativi digitali, che, spesso, offrono competenze determinanti per il rinnovamento delle aziende.
Ecco che, allora, il 27% delle aziende afferma di utilizzare la modalità video per effettuare i colloqui: in Italia è, spesso, ancora un tabù, anche in grandi imprese, perché la mancata presenza fisica del candidato suggerisce un’idea di mancanza di interesse o di impegno. Eppure, in molti casi sta diventando una necessità, soprattutto per i profili alti. Anche la gamification è presente ormai nel 22% delle imprese italiane e aumenta costantemente.
Il passaggio successivo riguarda la gestione dei neoassunti e delle HR in generale. In questo caso il 62% delle aziende dispone di un portale web dove poter reperire informazioni sull’azienda e sulle diverse mansioni; il 52% offre corsi di formazione online e il 42% usa metodi di Mobile learning, per erogare formazione anche in mobilità tramite App dedicate.
È dimostrato che queste modalità formative sono quasi sempre più efficaci di quelle frontali, negli ambiti che lo consentono. Se si pensa, poi, all’ambito del welfare aziendale, saper usare i portali dedicati è ormai una necessità per molti dipendenti, che devono essere aiutati a vincere le resistenze culturali e generazionali per poter fruire dei vantaggi che spettano loro.
Programmare e gestire il cambiamento
È chiaro che, come ogni cambiamento, anche quello digitale va programmato e gestito: senza una visione di insieme si rischia un’accozzaglia di frammenti digitalizzati, che si inseriscono in contesti che non lo sono, perdendo di efficacia. Le aziende sono di fronte ancora una volta alla scelta fra essere pioniere o farsi fagocitare dal cambiamento.
Di fronte all’introduzione dello Smart working, della flessibilità, del work-life balance, non possono gestire il nuovo con metodi sorpassati: non siamo nel campo dei processi produttivi, ma delle HR ed è per questo che i manager delle Risorse Umane hanno un ruolo fondamentale, nell’integrare le diverse culture e generazioni, nel garantire l’engagement del personale, nello stimolare i candidati a mostrarsi all’altezza delle aspettative, ma aiutando anche i neoassunti a inserirsi e ad apprendere i processi con facilità e velocemente.
Paradossalmente, lo Smart working sembra avere minato un po’ la leadership dell’HR Manager: per riappropriarsi del suo ruolo, occorre che egli si renda protagonista della Digital transformation, senza subirne solo l’impatto.
Occorre che si ponga degli obiettivi di miglioramento digitale per ognuno dei processi in cui è coinvolto, co-gestendo il percorso con tutti i protagonisti, sperimentando e raccogliendo i feedback, restando pronto a cambiare rotta per adattarsi ai risultati, perché il cambiamento digitale non resti solo un buon proposito.
Oggi i social network ci dimostrano come si possano raggiungere migliaia, addirittura milioni di persone in pochi istanti, comunicando messaggi con un video, un post, un tweet, un clic. È paradossale pensare che un HR Manager possa raggiungere ancora i dipendenti solo con una riunione o, al più, un’email. Si dice che solo la capacità di raccontare e raccontarsi, di comunicare tra persone, sopravviverà al potere universale dell’Intelligenza Artificiale: gli HR Manager devono solo imparare a farlo (e a farlo fare) in un modo nuovo.
Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.
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