Formazione continua per creare valore d’uso delle competenze
Quasi la metà delle aziende italiane non trova i profili che servono, sia nel settore digitale sia in quelli tradizionali. Secondo un’indagine di Federmeccanica, il 48% delle imprese non riesce a reperire sul mercato candidati con le giuste competenze. E, di fronte alle grandi trasformazioni in atto, cresce il bisogno di una riqualificazione continua dei lavoratori.
“La formazione non è un catalogo, ma la costruzione di un processo che parte dal fabbisogno formativo individuale intrecciato con il fabbisogno delle imprese, all’interno di una visione di ecosistema”, spiega Marco Bentivogli, Segretario Generale della Fim Cisl nazionale. Proprio alla formazione la Federazione Italiana Metalmeccanici ha dedicato i Fim Skills Days di Roma, una due giorni di workshop, testimonianze e incontri per fare il punto sul lavoro che cambia e sul valore delle competenze.
“Crediamo che la formazione a catalogo sia obsoleta e che il futuro risieda nella sinergia con le soft skills”, ha detto il Segretario Generale, intervenendo alla tavola rotonda dedicata a Formazione continua e valore d’uso delle competenze. “Il lavoro industriale oggi non è valorizzato e questo rischia di essere un problema per la capacità produttiva del Paese. In Italia abbiamo un numero gigantesco di Neet e l’età più bassa di abbandono scolastico d’Europa”.
Superare vecchi inquadramenti
Il problema delle competenze è anche un problema di valore. Definire la ‘costellazione’ di abilità oggi richieste in capo a ciascun lavoratore non è facile, soprattutto ora che occorre superare i vecchi inquadramenti per mestieri e mansioni.
“Quelle contenute in tutti i contratti collettivi risalgono agli Anni 70: sono strumenti inadeguati. La formazione continua diventa più efficace se si rivede la classificazione dei contratti collettivi e si realizza la piena digitalizzazione del libretto elettronico dei lavoratori”, è la proposta di Michele Faioli, Docente di Diritto del Lavoro all’Università Cattolica di Milano.
“Manca un sistema che dia valore alle competenze”, conferma il collega Michele Tiraboschi, Docente di Diritto del Lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia. “Da anni si dibatte se difendere i singoli posti di lavoro o l’occupazione, ma oggi sono entrambe posizioni miopi perché è cambiato il sistema produttivo. Il tema è capire come conservare la solidarietà collettiva riconoscendo al contempo la validità soggettiva delle competenze”.
Il valore d’uso di queste ultime, dunque, non risiede soltanto nei termini oggettivi del contratto, ma porta con sé anche l’elemento tutto soggettivo della professionalità del lavoratore. “Quel che manca oggi è un sistema in cui domanda e offerta di lavoro si incontrino. Occorre costruire ecosistemi in cui si crei valore”.
Dalla scuola al lavoro
Per le imprese, il primo luogo di formazione dev’essere la scuola. A novembre 2018 Federmeccanica ha lanciato una petizione per chiedere al Governo di mantenere le 400 ore di alternanza scuola-lavoro e di riconoscere maggiori dotazioni agli istituti e crediti d’imposta alle aziende coinvolte. “Quello della formazione è l’unico caso in cui non si può avere qualità senza quantità”, spiega Stefano Franchi, Direttore Generale di Federmeccanica.
“Nel nostro Paese non c’è ancora una cultura della formazione, spesso vista come una perdita di tempo invece che come un investimento. Dobbiamo, al contrario, spiegare alle persone il valore di ciò che può creare per il futuro: è uno strumento fondamentale per partecipare alla vita dell’impresa e combattere le disuguaglianze”. L’auspicio di Franchi è che dal concetto di training, che rimanda a un atteggiamento passivo, quasi un essere trascinato, si passi a quello di learning, inteso come coinvolgimento e partecipazione attiva. “Dobbiamo abituarci al cambiamento e sostituire le certezze, che non possiamo più dare, con le sicurezze: più sai, più sei formato, più sei sicuro”.
La formazione, dunque, come salvagente in tempi di grandi crisi. Ma anche come bussola di fronte alle trasformazioni del lavoro. “Il bisogno di qualificazione e di riqualificazione continua anche quando l’azienda vince la sfida del futuro”, sottolinea Giorgio Graziani, Segretario della Cisl Nazionale. “Se è vero che la tecnologia non aspetta, la formazione resta uno degli elementi fondamentali di ogni contrattazione per garantire protezione e uguaglianza al lavoratore”.
Graziani invoca un passaggio culturale, sia all’interno delle organizzazioni sindacali sia all’interno delle aziende, per innovare i progetti di formazione. “Oggi essa è al centro del cambiamento ed è uno degli elementi di maggior competitività delle imprese e del Paese. È un diritto della persona che parte dall’istruzione e deve durare per tutta la vita aziendale del lavoratore”.
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Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom – Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE.
Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.
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