Lavoro, la lenta ripresa dell’Italia
Più ombre che luci. Il XXI Rapporto del Cnel su mercato del lavoro e contrattazione collettiva racconta di un Paese ancora in difficoltà su sviluppo economico, investimenti, tutele sociali. Nonostante la lenta ripresa dell’occupazione – risalita al 59,4%, il livello più alto raggiunto dall’inizio della crisi – l’Italia è ancora lontana dalla media europea (69%) e sconta l’alto tasso di disoccupazione giovanile e femminile.
L’esplosione del part time soprattutto involontario, passato dal 5,8% al 12,3%, la ridotta intensità in termini di ore lavorate e l’alta polarizzazione per livelli di qualificazione professionale descrivono un mercato del lavoro che fatica a crescere e ancora segnato da profonde divisioni.
“Occorre un aggiornamento formativo costante, che interroghi il mondo del lavoro”, ha spiegato il Ministro per il Lavoro Nunzia Catalfo intervenuta alla presentazione del Rapporto. “Nei prossimi cinque anni, sei occupati su 10 dovranno avere una laurea o un diploma e il 35% degli occupati dovrà disporre di competenze tecniche. È in atto un turnover che determinerà nel quinquennio un fabbisogno di 2,6 milioni di lavoratori”.
Quasi un quarto della popolazione europea è a rischio povertà e la permanenza di un gender gap occupazionale e retributivo fa registrare un 10% di cosiddetti working poor. Tiziano Treu, Presidente del Cnel, ha proposto di creare “un sistema unico di welfare, un social compact da contrapporre al fiscal compact”. Un patto sociale e istituzionale in grado di intervenire sui bisogni più urgenti dei cittadini e di combattere le diseguaglianze. Anche quelle in tema di welfare, pubblico e privato.
Nei Paesi Ocse ad alto reddito, la spesa pro capite per lavoro e famiglia è cinque volte più alta di quella in cui investono gli Stati a basso reddito. È stato rilevato che le prestazioni sociali riducono di circa un terzo la povertà e gli effetti maggiori sono prodotti dagli interventi sui nuclei familiari (17%) e sull’assistenza (15%). Durante gli anni della crisi, i trasferimenti statali hanno attenuato l’impatto della disoccupazione sulla povertà e i Paesi che hanno avviato le riforme all’inizio della crisi l’hanno contrastata meglio degli altri.
Il gap generato dal Premio di risultato
Sul fronte del welfare privato, il capitolo 17 del Rapporto, dedicato ai temi della produttività e del welfare aziendale, evidenzia le disparità di trattamento dei lavoratori in tema di Premio di risultato (Pdr). Si registra, infatti, un divario marcato nel valore medio del premio erogato dalle aziende in base alle dimensioni dell’impresa stessa.
Nelle organizzazioni con meno di 50 addetti, che in Italia rappresentano il 98,2% delle imprese che hanno disponibilità di forza lavoro, il Pdr è significativamente inferiore rispetto a quello riconosciuto dalle imprese più grandi.
Il valore medio del Pdr è di 1.477,5 euro e aumenta al crescere del numero di dipendenti: si va dai 1.208,4 euro nelle aziende con meno di 15 dipendenti ai 1.744,5 euro nelle realtà che superano i 250 dipendenti. Una simmetria analoga si riscontra anche rispetto alla previsione contrattuale della possibilità di convertire il Pdr in strumenti di welfare aziendale.
L’analisi ha esaminato i dati ricavabili dal repository dei contratti integrativi finalizzati alla detassazione dei premi di produttività, depositati presso il ministero del Lavoro. Sono 14.888 i contratti depositati, che coinvolgono complessivamente 2,220 milioni di lavoratori. Nel 77,3% dei casi si tratta di contratti aziendali, nel 22,7% di contratti territoriali. La maggior parte degli accordi depositati sono stati conclusi al Nord (77,3%) e appena il 7,6% al Sud.
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Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom – Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE.
Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.
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