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Coronavirus, dal dubbio del contagio alla certezza della recessione

Gli effetti del coronavirus sull’economia hanno iniziato a bussare alle porte delle nostre imprese. Il virus si è diffuso nelle regioni più produttive del Paese, e questo amplifica il problema. Il decreto diramato il 4 marzo 2020 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha validità sino al 3 aprile 2020: i grandi eventi fieristici sono già stati spostati – ha capitolato anche il Vinitaly, spostato alla metà di giugno 2020 – il traffico di merci è compromesso, le fabbriche all’interno della zona rossa sono ferme. E la reputazione dell’Italia nel mondo è a rischio.

Qualche giorno fa la Presidente di Confindustria Udine Anna Mareschi Danieli ha lanciato un appello dalle pagine de Il Sole 24Ore, “torniamo a lavorare o sarà una catastrofe”. Il nostro Nord, che contribuisce a oltre il 50% del Pil nazionale, con la sola Lombardia che vale un quinto del Pil, è in ginocchio. Pare ormai impossibile bloccare la diffusione del virus, ma lasciamo la polemica sulla sua pericolosità agli infettivologi e cerchiamo di occuparci delle conseguenze per le imprese nel medio-lungo periodo.

Se la fornitura di componenti dalla Cina si interrompe, se le Supply chain globali mostrano la loro fragilità, come intervenire? Il reshoring può essere una risposta? Cambiare velocemente modello di business può essere una soluzione? Abbiamo girato la domanda a Marco Taisch, Presidente del MADE Competence Center e Professore Ordinario di Advanced & Sustainable Manufacturing al Politecnico di Milano – School of Management Manufacturing Group che ci aiuta a leggere quanto sta accadendo in questi giorni in chiave di sviluppo industriale.

Non credo la Cina smetterà di essere la fabbrica del mondo”, esordisce Taisch, che tra le varie cariche è anche membro del Comitato Scientifico della rivista di ESTE, Sistemi&Impresa. “Credo gli eventi di queste settimane abbiano messo in risalto ciò che avevamo anticipato nell’edizione del World Manufacturing Forum del 2018, e cioè che le Supply chain globali, e molto connesse tra di loro, sono maggiormente esposte a rischi. Eventi di grande impatto, naturali o legati a epidemie, amplificano la loro portata e si propagano lungo tutta la Supply chain”.

Il docente ricorda che questa non è la prima volta che si verifica un caso analogo. “Come spesso capita, tendiamo a rimuovere il passato. Molti si sono già scordati del terremoto di Fukushima che nel 2016 ha paralizzato il Giappone. Per tre mesi le fabbriche di quella zona, concentrate nell’Automotive, avevano azzerato la capacità di esportazione dei componenti che, non arrivando più in Europa, avevano costretto molte aziende ad adottare lo strumento della cassa integrazione. A quel punto il problema era spiegare a un operaio italiano che perdeva il lavoro perché dall’altra parte del mondo c’era stato un terremoto”.

Il butterfly effect e l’effetto sulle catene di fornitura

Taisch fa riferimento al fenomeno chiamato “butterfly effect, il battito d’ali di una farfalla che provoca un uragano dall’altra parte del mondo. Difficile spiegare a un operaio della produzione che un terremoto in Giappone mette a rischio il suo posto di lavoro in Lombardia. La domanda, quindi, è se possiamo contenere gli effetti del fenomeno?

“Possiamo contenere gli effetti, ma le Supply chain devono essere progettate in maniera tale da essere più resilienti ai fenomeni inattesi: il terremoto ieri, il virus oggi, domani potremo attenderci eventi legati a calamità naturali. E, per fronteggiarli, non credo la soluzione sia necessariamente il reshoring. Le imprese dovrebbero attrezzarsi per attingere a fonti di approvvigionamento alternative. E questo non è facile da realizzare se si persegue una politica di riduzione dei costi. Le aziende devono scegliere se avere Supply chain robuste, e quindi più costose, o stressare la riduzione dei costi. Questa seconda soluzione porterà ad avere Supply chain più fragili e impreparate a gestire eventi inattesi. E questo è il fenomeno che abbiamo sotto gli occhi in questi giorni”.

Se il reshoring non è la soluzione

Il reshoring potrebbe non essere la soluzione anche perché, come stiamo vedendo in questi giorni, ci sono zone dove le fabbriche sono chiuse e alle persone non viene consentito di recarsi al lavoro, questo a conferma del fatto che ci confrontiamo con un fenomeno complesso, e non esistono soluzioni semplici. Il reshoring potrebbe riportare dei posti di lavoro in Italia, ma questo è un altro tema. L’appello della Presidente di Confindustria Udine a prendersi cura della salute delle persone in maniera scientifica e non emotiva è anche la dimostrazione che nel nostro Paese c’è stata, forse, una reazione eccessiva al problema.

“Chiudere le aziende, con la prospettiva di lasciar e a casa i lavoratori è una decisione politica forte, che altri Paesi vicini a noi peraltro non hanno preso”, conferma Taisch. Dal dubbio del contagio stiamo passando alla certezza della recessione, la domanda è quali costi sociali siamo disposti a sostenere come Paese.

“Ci saranno aziende che chiuderanno e persone che perderanno il lavoro, scopriremo solo dopo se la reazione è stata eccessiva o se i provvedimenti sono stati corretti. Rilevo che l’attenzione mediatica riservata alle vite umane che stiamo perdendo a causa del coronavirus non ha nessun corrispettivo con il risalto dato alle vittime di normali influenze. Concordo con Danieli, torniamo a lavorare, prendendo tutte le precauzioni del caso”.

Gli strumenti digitali rendono più resilienti

Fino a ora media e istituzioni hanno lanciato messaggi contraddittori. Gli imprenditori devono trovare, velocemente, nuove soluzioni, ma hanno urgenza di tornare alla normalità. E tutto ciò non sta accadendo. “È chiara la necessità di proteggere alcune fasce di popolazione ma credo sia davvero arrivato il momento di riprendere l’operatività. Il Governo deve essere anche veloce nel mettere a punto misure che, al di là dell’aspetto economico, possano rassicurare l’opinione pubblica e accelerare il ritorno a una vita professionale normale”.

Nella serata di giovedì 5 marzo 2020 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esortato a evitare stati d’ansia immotivati e spesso controproducenti. Un messaggio di buon senso, ma che arriva a valle di tante, troppe dichiarazioni contraddittorie.

Agli imprenditori è richiesta una grande velocità di reazione, ma come si fa a cambiare rapidamente modello di business? “Non deve cambiare per forza, devono cambiare i modelli di lavoro e i modelli organizzativi. Questo evento ha dimostrato che chi utilizza strumenti digitali è molto più resiliente di chi non li ha introdotti. Noi in università siamo stati capaci in tre giorni di organizzare aule virtuali evitando un danno ai nostri studenti; l’utilizzo di strumenti digitali ha fatto la differenza”.

Questo aspetto per Taisch dimostra che il passaggio al digitale è imprescindibile per evitare di sospendere l’operatività. “Quanto accade in università può essere traslato al mondo imprese: per realtà che avevano già effettuato un percorso di trasformazione digitale introdurre, per esempio, lo Smart working è stato più facile. Molti dipendenti avevano già strumenti da utilizzare in remoto, i dati erano già in Rete, i file nel cloud. Il digitale ha creato la ridondanza e prodotto la resilienza che serve”.

È presto per fare la conta dei danni, è certo che chi non ha abbracciato la strada della trasformazione digitale si trova oggi in una condizione di fragilità molto maggiore. E la ripresa potrebbe non arrivare.

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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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