Lavorare da remoto come dall’ufficio
La gestione dell’attuale crisi generata dell’emergenza coronavirus va di pari passo con l’impegno nell’assicurare il regolare svolgimento delle attività lavorative. Le aziende sono chiamate ad adattare con rapidità i processi HR per gestire in modo efficiente la nuova situazione.
Sono sempre più numerose le realtà che hanno adottato modelli di lavoro agile – più che Smart working si deve parlare di remote working – per assicurare la continuità delle attività lavorative al tempo del Covid-19: addirittura oltre il 90% secondo una recente ricerca della società internazionale di consulenza sul capitale umano, Mercer Italia.
Lo studio, condotta su oltre 2mila persone, ha evidenziato che i principali timori per i lavoratori, in questo momento, sono la perdita del lavoro una volta finita l’emergenza e, parallelamente, di non possedere le capacità per utilizzare gli strumenti tecnologici per il lavoro a distanza.
“L’aspetto positivo è che queste risposte sono già proiettate verso il futuro, in cui possiamo ormai pensare che il modo di lavorare cambierà”, ha spiegato Alberto Navarra, Co-leader career business di Mercer Italia.
Le azioni più efficaci da parte delle organizzazioni per vivere al meglio la situazione del lavoro da remoto sono risultate tre: avere una comunicazione della leadership continuativa e trasparente; ricevere pillole formative di best practice per lavorare al meglio a distanza (elearning, open learning, tutorial); la vicinanza virtuale dei manager. Il contatto quindi, anche se virtuale, è molto apprezzato: un esempio sono le riunioni di team (telefoniche o tramite le varie piattaforme di videocall) in cui si danno obiettivi giornalieri o comunque a breve termine che siano facilmente verificabili anche a distanza, anche per avere un ritmo di lavoro durante la giornata.
All’interno dei team, invece, circa il 60% delle persone cerca spazi in cui poter parlare e confrontarsi anche sulla situazione attuale, al di là del lavoro, ponendosi in un contesto positivo. I dipendenti risultano anche molto soddisfatti della fiducia accordata dai manager e dei loro colleghi, dato che è inevitabile che da remoto i sistemi di ‘controllo’ mutino o scompaiano, così come le barriere sociali o gerarchiche tradizionali.
“La flessibilità presuppone infatti da parte delle persone, dei manager e delle aziende fiducia reciproca, orientamento al risultato e lavoro per obiettivi. Senza dimenticare che dall’engagement delle persone nasce la qualità dei risultati”, ha precisato Navarra.
Passaggio al cloud come leva per il nuovo modello di lavoro
Per fare remote working (che finita l’emergenza diventerà Smart working) in modo efficiente, quindi, non basta essere online durante l’orario di lavoro. Serve anche assicurare alle persone che lavorano lontano dalla sede e dai colleghi la stessa esperienza di quando sono alla loro scrivania in ufficio.
“Lo Smart working è il termometro della modernità culturale di un’azienda”, ha affermato Paolo Oberti, Head of Solutions & Architecture Consulting di Workday, che fornisce applicazioni aziendali in cloud per la gestione finanziaria e delle risorse umane. “L’importante è ottenere i risultati, non verificare quando e dove il lavoro sia svolto”.
Secondo una vecchia concezione, nello Smart working il manager ‘perderebbe’ parte del suo potere, ma in realtà compie un salto di qualità, passando dall’essere controllore a essere abilitatore del lavoro a distanza, fidandosi della serietà del dipendente. “Un fattore fondamentale per gestire dei team di lavoratori da remoto è avere chiari i ruoli, le responsabilità, i processi e le modalità di ingaggio”, ha aggiunto Oberti. Serve una grande maturità organizzativa, quindi, per gestire al meglio l’efficienza dello staff.
Quando è iniziata l’emergenza coronavirus, molte aziende che non erano pronte a far operare la propria forza lavoro in Smart working hanno dovuto convertire in poco tempo le infrastrutture tecnologiche in scala massiva per garantire la continuità del lavoro. Chi non c’è riuscito ha dovuto sospendere l’attività, perché precedentemente non aveva investito in soluzioni tecnologiche o per altri motivi.
Per chi ce l’ha fatta, invece, sono sorti alcuni problemi tra cui l’instabilità dei collegamenti internet, il relativo ritardo nelle risposte alle email, ecc. Questo può essere un ostacolo anche per le Risorse Umane, che non riescono a raggiungere i dipendenti da remoto.
“Nei casi di emergenza le tecnologie cloud native possono sopperire a molte mancanze, dal controllo di un documento nel server principale alla possibilità per il dipendente di richiedere le ferie attraverso un programma specifico, senza dover contattare direttamente le Risorse Umane”, ha osservato il manager di Workday. Anche l’intelligenza analitica può aiutare nella gestione della crisi, dato che può fornire i dati all’HR per valutare la capacità produttiva o gli aspetti critici dell’organizzazione, e sostenere poi decisioni informate.
Sanofi, tutela della salute e continuità del business
La multinazionale farmaceutica Sanofi ha affrontato l’emergenza sanitaria in Italia con l’istituzione di due comitati, quello di crisi e quello di business continuity, che sin da subito hanno dovuto avere un’autonomia decisionale rapida ed effettiva. “L’azienda già da cinque anni aveva introdotto lo Smart working per due giorni alla settimana, ma ovviamente farlo tutti i giorni è un grande cambiamento”, ha raccontato Laura Bruno, HR Director Italia e Malta di Sanofi.
“Inizialmente abbiamo comunicato che la salute dei collaboratori è al primo posto, poi abbiamo usato le nostre conoscenze scientifiche istituendo delle chat interne informative sul coronavirus, grazie anche ai medici aziendali, insieme al supporto psicologico telefonico da parte di assistenti sociali, se richiesto”, continua Bruno.
A gennaio 2020, prima dei decreti ministeriali, l’azienda ha bloccato completamente la forza vendita, accelerando l’avvio di un progetto che era già stato pensato dal management e che riguardava lo Smart working per gli informatori farmaceutici.
“Per quanto riguarda la produzione, essendo un settore essenziale, 800 persone stanno lavorando negli stabilimenti italiani con misure eccezionali di salvaguardia, come la misurazione della febbre all’entrata, protezioni individuali e turni appositamente pensati per favorire le distanze”, ha riportato Bruno.
Il Direttore HR, che è ‘sponsor’ del comitato di crisi, ha confermato che i manager dell’azienda hanno dovuto dimostrare di essere capaci di prendere decisioni rapidamente, soprattutto nei comitati. Proprio da questi è stata creata una casella e-mail da cui quasi quotidianamente partono delle informazioni per i dipendenti, sia sullo stato delle attività sia sullo stato di salute dei colleghi (nel rispetto della privacy), e che può essere usata dai collaboratori per fare domande o avere informazioni aggiuntive.
Tutto ciò è stato possibile grazie a un protocollo di business continuity che già Sanofi aveva, aggiornato annualmente ma che non era mai stato usato.
Comunicazione efficace per affrontare le difficoltà
È indispensabile, quindi, preparare un piano di gestione della crisi, a prescindere dalla contingenza, come ha fatto notare Alberto Bubbio dalle pagine del nostro quotidiano. Dalla ricerca di Mercer Italia è emerso che soltanto il 50% delle organizzazioni aveva un protocollo di business continuity prima dell’emergenza coronavirus, che, però, ha dovuto subire degli aggiustamenti perché (fortunatamente) non era mai stato usato.
“Avere un piano fa sì che la comunicazione da parte della dirigenza sia subito chiara, perché sono chiari i ruoli nella gestione della crisi”, ha spiegato Navarra. Il 77% dei manager ha dichiarato di prendere decisioni ‘compassionevoli’ in questo momento, cioè dirette all’aiuto delle persone, puntando la comunicazione e l’employee experience verso l’individuo e la sua sicurezza.
“La differenziazione di target, tuttavia, dovrebbe rimanere: la comunicazione è diversa se rivolta dal top management al management, dal management alla forza lavoro, o dal top management all’esterno”, ha avvertito il manager di Mercer Italia. L’importante è avere linee guida concrete, anche con spazi per domande e risposte, nel caso di problemi come, per esempio, un contagio in casa o la sicurezza negli spostamenti lavorativi necessari.
Bruno ha concordato nell’assoluta rilevanza di una giusta comunicazione anche con i sindacati e i dipendenti stessi, che nel suo caso hanno aiutato la Direzione HR a ridefinire i turni della produzione.
Formazione flessibile, resilienza e fiducia: il futuro dello Smart working
Tornando in Sanofi, Bruno ha precisato che l’azienda sta usando questo periodo per fare formazione elearning, soprattutto sul lavoro a distanza, la gestione delle priorità e il work-life balance, che, in questo periodo, è particolarmente compromesso.
Attualmente, infatti, mantenere una sana routine anche a casa è consigliato, perché dà sicurezza e aiuta a bilanciare le priorità lavorative con quelle famigliari. Sfruttando magari il tempo che prima era assorbito dagli spostamenti per l’apprendimento, senza esagerare.
“Questa crisi ha rotto definitivamente la barriera culturale del dover essere in ufficio, ma non solo. Ha dimostrato che le relazioni e le transazioni lavorative possono essere svolte anche da remoto o in mobilità, azzerando i tempi morti degli spostamenti e impiegandoli in altro modo”, ha confermato Oberti.
Secondo Bruno, uno dei trend del lavoro futuro, una volta finita l’emergenza, sarà la maggiore autonomia e fiducia nel lavoro a distanza delle persone. Poi potrebbe cambiare la concezione della tecnologia, che prima era vista da alcuni quasi come una barriera per le comunicazioni interpersonali, mentre ora sta agevolando molti processi.
Un altro grande vantaggio sarà la digitalizzazione dei documenti cartacei e la ‘deburocratizzazione’ che tutti stanno imparando e vivendo, perché chi non ha una stampante a casa deve ingegnarsi con strumenti digitali.
Un ultimo aspetto, da non sottovalutare per Navarra, è la resilienza: “Se ne sta parlando tanto, ma è vero che le crisi mettono in luce le persone veramente resilienti: le organizzazioni possono fare qualcosa per insegnarle a propri collaboratori, perché non tutti nascono con livelli di resilienza adeguati a gestire il cambiamento”.
Dal punto di vista personale, significa tararsi su nuove sfide lavorative, meglio se guidati da un forte crisis management, e puntare sulla cura delle relazioni, al di là del percorso assistenziale che dovrebbe essere già garantito dal welfare aziendale.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.
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