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Smart working come leva del nuovo approccio al lavoro

Alla luce dei provvedimenti emanati con il Decreto Cura Italia per contenere l’emergenza coronavirus, ogni organizzazione – piccola o grande, pubblica o privata – ha reagito alle vicissitudini che l’hanno travolta tenendo saldi tre obiettivi: contenere il danno economico causato dalla pandemia; mantenere la posizione sul mercato, pianificare una ripartenza che possa definirsi efficace.

Per poter iniziare questo lungo, incerto e tortuoso percorso, in perfetta sintonia con le misure di distanziamento sociale imposte dal Governo per contenere l’epidemia, il primo modello organizzativo messo in campo dalle singole realtà aziendali è stato lo Smart working che, grazie a un decreto attuativo, è stato reso applicabile da subito anche senza un accordo preventivo con i dipendenti (così come richiede invece la Legge 81/2017).

Se volessimo fare qualche riflessione sulle modalità con cui lo Smart working ha trovato applicazione in questo momento emergenziale, dovremmo sicuramente sottolineare che la prima attuazione ha visto il trasferimento, nella propria abitazione, delle modalità di lavoro svolte presso il proprio ufficio secondo ritmi e orari stabiliti, spesso, da altri.

Eppure, la definizione pura di Smart working è molto lontana da questa acerba applicazione. Per comprenderne al meglio le peculiarità, l’analisi parte dalla definizione comunemente condivisa, secondo cui si tratta di “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Le capacità personali diventano indispensabili

Alla luce di questa nuova filosofia manageriale, le caratteristiche personali che diventano indispensabili nei singoli lavoratori per l’evoluzione di questo processo sono la flessibilità, la capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti, la creatività e il senso di responsabilità. 

Dopo essersi organizzati con gli strumenti e le tecnologie adeguate, è parso necessario, infatti, acquisire una maggior consapevolezza non solo sulle proprie competenze e capacità, ma anche sui propri limiti, per porre il massimo dell’attenzione sulla gestione del proprio tempo, sull’organizzazione delle priorità e sulla pianificazione degli step volti al raggiungimento degli obiettivi assegnati (a tal proposito, per rendere tutti più consapevoli, focalizzati e produttivi è sempre consigliata la condivisione della roadmap aziendale che, come un faro sulla costa, possa rendere evidente il percorso verso gli obiettivi da raggiungere).

Se volessimo enucleare il primo risultato positivo ottenuto a seguito di questo cambiamento, non potremmo fare a meno di notare che nelle nostre realtà lavorative iniziano a emergere le vere professionalità presenti. Spiccano coloro che riescono a dare un importante contributo nonostante le difficoltà di assestamento e che sono in grado di organizzare autonomamente il proprio lavoro, di ridisegnare la propria routine e di ripensare il proprio modus operandi.

L’ago della bilancia, per la valutazione dell’operato di ogni dipendente si sposta, quindi, dalla quantità alla qualità, da una valutazione basata sul tempo a una basata sui risultati della prestazione svolta.

Il nuovo tema che entra in gioco è il tema della fiducia nei propri dipendenti e nel loro operato. Si tratta di un vero e proprio banco di prova per conoscere il valore dei propri collaboratori o dei colleghi con cui siamo chiamati a lavorare.

La comunicazione torna a essere fondamentale

Anche sugli stili manageriali individuiamo delle importanti novità: la comunicazione, per esempio, acquisisce un ruolo di rilievo. I primi promotori di questo cambiamento sono i manager, chiamati a dare l’esempio, asciugando il loro stile di comunicazione e fornendo risposte sintetiche, ma esaustive agli interrogativi che gli vengono posti.

Diventa necessario trasmettere obiettivi chiari e regole il cui contenuto sia inequivocabile, rendere accessibili le informazioni, snellire le gerarchie comunicative, fornire deleghe espresse, distribuire le funzioni operative e indicare riferimenti disponibili per il confronto. Inoltre, diventa prioritario incentivare un nuovo sistema di comunicazione tra colleghi e stabilire nuove routine per la condivisione delle informazioni e per fare il punto sul lavoro svolto o ancora da svolgere.

Inevitabilmente anche l’ascolto ricopre un ruolo fondamentale in questa rivoluzione. Per la buona riuscita di questo rapido processo evolutivo, tutti sono chiamati a potenziare la propria capacità di ascolto attivo e di ricezione.

Disorientamento e preoccupazioni nello Smart working forzato

Come è facile dedurre da quanto sopra descritto, lo Smart Working innesca un processo di profondo cambiamento culturale che richiede un’evoluzione graduale del mindset aziendale e dei modelli organizzativi. Relativamente all’attuazione di questo ambizioso progetto, alcune realtà del nostro tessuto economico (quelle più lungimiranti e strutturate) avevano già sperimentato l’applicazione dello Smart working, mettendo in piedi un piano organizzativo capace di amalgamare lo strumento innovativo con le tradizionali dinamiche aziendali, rispettando i tempi della naturale catena di eventi che porta a ogni cambiamento ponderato e che è sintetizzabile nel ‘Testa, Misura e Impara’. 

Tale catena di eventi passa dalla gestazione alla sperimentazione fino ad arrivare all’accettazione e al consolidamento che, solitamente, si conclude con la stesura di nuovi processi che contengono una rappresentazione di dinamiche aziendali inedite e, nella maggior parte dei casi, più produttive.

Tuttavia, le realtà che costituiscono la macchina produttiva del nostro Paese, nella maggior parte dei casi, hanno vissuto l’introduzione obbligata dello Smart working come una vera e propria ‘doccia fredda’ che non ha dato loro il tempo di razionalizzare e metabolizzare i nuovi processi, né tanto meno di sensibilizzare ed educare coloro che sarebbero diventati i protagonisti di questa nuova rivoluzione, gli ‘Smart worker’.

Il fatto di trovarsi catapultati in questo mondo, quasi sconosciuto, ha creato non poche preoccupazioni. L’accelerata sull’utilizzo dello Smart working causata dalla pandemia ha portato con sé una serie di quesiti che quotidianamente vengono presentati sui tavoli di lavoro dei dipartimenti HR. Tali interrogativi sono solitamente legati alla gestione, al controllo, al monitoraggio del lavoro svolto dai propri dipendenti e all’introduzione di nuove modalità di collaborazione che possano ritenersi efficaci, anche in questa circostanza, che non consente un rapido dietrofront al modello precedente considerato, a oggi, più rassicurante.

In questa circostanza straordinaria, tutti siamo stati chiamati a prendere rapidamente atto dell’emergenza e a rimboccarci le maniche affinché tutto funzioni per il meglio: si pensi, per esempio, ai dipartimenti IT oberati dalle richieste di intervento e alle piattaforme utilizzate per il lavoro in Smart working non testate prima del loro utilizzo diffuso e improvviso. Non poche le problematiche di lancio e le perplessità della compliance, ma una volta avviato lo strumento e oleata la macchina, tutto ha cominciato ad avere un sapore e un aspetto diversi.

Il punto di vista comune comincia a capovolgersi, l’obiettivo non è più la replica dell’ufficio all’interno delle mura domestiche, ma la creazione di un approccio al lavoro nuovo, basato su condizioni inedite, che potrebbe avere come risultato un sorprendente aumento della produttività.

La crisi come opportunità

L’ondata del cambiamento intrapreso è da considerarsi permanente e continuerà anche alla fine della pandemia. Le circostanze stanno modificando il nostro modo di lavorare e ci stanno trasformando: si parla diffusamente di un’evoluzione scaturita dalla crisi e di crisi come opportunità. 

Alla luce di tutto questo, le domande da porsi sul futuro sono evidenti e quasi scontate: Che ne sarà dello Smart working quando l’emergenza sarà rientrata? Quali comportamenti messi in atto durante questo periodo potranno essere considerati come best practice da mantenere e potenziare per il futuro?

Quando ritorneremo alla tanta agognata normalità, molte cose saranno diverse, tra queste anche il nostro modo di lavorare. Probabilmente avremo una considerazione più alta della nostra professionalità e sarà importante mantenere viva e alimentare la miscela di elementi positivi che ci hanno consentito di portare avanti il nostro lavoro in piena autonomia anche durante questo periodo.

Lavoratrici in equilibrio tra vita professionale e privata

In conclusione, vorrei dedicare qualche riga esclusivamente all’universo femminile facendo una breve considerazione legata alle modalità con cui le lavoratrici, che spesso sono anche madri, stanno vivendo questa prima fase di Smart working. La visione positiva dello Smart working e la produttività di ciascuno passano anche dal luogo in cui si lavora. 

È importante, quindi, svolgere la propria attività in maniera confortevole, senza fattori esterni che contribuiscono ad aumentare i livelli di stress e affaticamento. Tuttavia, come nella maggior parte delle circostanze, le lavoratrici si trovano a confrontarsi con complicazioni aggiuntive che le hanno rese delle wonderwoman chiamate a essere madri, mogli, insegnanti, colf, compagne di giochi, donne in carriera e lavoratrici super performanti nello stesso lasso di tempo. 

Durante questa fase di assestamento in cui l’equilibrio tra vita professionale e vita privata sembra vacillare, dobbiamo tenere bene a mente che, quando l’emergenza sarà rientrata e il mondo avrà ripreso i ritmi ordinari, lo Smart working diventerà un solido alleato per poter equilibrare al meglio queste dimensioni che oggi appaiono più in conflitto del solito. Lo Smart working può diventare, infatti, il modello organizzativo che aiuterà tutti a far crescere la propria produttività e a conciliare i tempi di vita e lavoro in maniera efficace e proficua.

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