Conoscere le emozioni per alimentare lo sviluppo organizzativo
Siamo stati costretti dall’emergenza a proteggerci e a fermarci. Abbiamo fatto esperienza di come si possa lavorare insieme in condizioni di distanziamento sociale obbligatorio: possiamo farne tesoro per costruire relazioni sociali e di lavoro più solide e sincere. La molla per agire, ora, è la fiducia in se stessi.
Parole di Management è stato Media Partner dell’edizione 2020 de Il Convivio di Persone&Conoscenze, il più grande evento dedicato ai temi HR organizzato dalla casa editrice ESTE e dalla sua rivista Persone&Conoscenze, il cui tema principale è proprio la fiducia in se stessi. Ma a parte la componente umana, possono esserci degli strumenti che ci aiutano a conquistare fiducia?
Durante la sessione dedicata allo sviluppo, i relatori hanno cercato di rispondere a questa domanda puntando sulle loro esperienze in ambito di sviluppo organizzativo, suggerendo degli strumenti innovativi di sviluppo e benessere dell’organizzazione aziendale per rafforzare la fiducia e l’autoconsapevolezza dei lavoratori.
“Una consapevolezza che deve abbracciare più dimensioni (cognitiva, emotiva, culturale, del potere, ecc.), perché dopo il lockdown le aziende devono tenere conto di tutte le emozioni dei dipendenti, compresa la paura, che determinano i loro comportamenti”, è il pensiero di Maria Emanuela Salati, Training, Development Process and Welfare di Atm.
La consapevolezza emozionale per andare avanti
Fino a qualche mese fa, infatti, nelle aziende si cercavano di adottare modelli organizzativi fluidi e reattivi, con focus su nuovi ruoli e nuove competenze. Ora ci siamo fermati e guardiamo a tutto in modo diverso. “I nuovi modelli di cui parlavamo si sono imposti e concretizzati, i nuovi ruoli si sono affacciati quasi con prepotenza nelle nostre organizzazioni e, al tempo stesso, molti ruoli tradizionali sono stati ripensati. In qualità di HR, per dare supporto alla Direzione Aziendale, dobbiamo ora andare oltre il contenuto descrittivo delle posizioni ed offrire un approccio di interpretazione emozionale”, ha dichiarato Laura Bosser, Corporate HR Organization and Development Manager di Mapei.
Questo significa rendere consapevoli i manager delle emozioni, anche della paura dell’incertezza, e sostenerli nella capacità di abbracciare il presente e fare scelte coraggiose. Le competenze che servirebbero ora nelle organizzazioni, quindi, sono: la capacità di gestione della complessità del contesto e la resilienza; la capacità decisionale senza bloccarsi davanti a imprevisti; la risposta al cambiamento vista come voglia di uscire dalla comfort zone; l’utilizzo della comunicazione non come gestione di potere ma come scambio reciproco; la coerenza e la responsabilità; l’intelligenza emotiva.
Per Bosser quello che stiamo vivendo, infatti, può essere visto come un’opportunità di cambiamento per riscoprire la fiducia in noi stessi, negli altri, e la voglia di andare avanti. “Diamoci la possibilità di fare errori e di sbagliare, ma comunque andando avanti”.
La molteplicità di ruoli come fonte di ricchezza per le aziende
Ogni persona vive più ruoli ed emozioni contemporaneamente, sia a livello professionale sia personale. Una realtà che, soprattutto dopo lo scoppio del Covid-19, può generare stress e frustrazione, portando a vivere situazioni di conflitto tra vita privata e lavoro. Ma l’accumulo dei ruoli può trasformarsi in un’occasione di crescita e arricchimento personale e, allo stesso tempo, di creazione di valore per le aziende.
A sostenerlo è stato Aureliano Gherbini, Head of Customer Experience di Lifeed by Maam, che ha presentato un tool digitale per cui i vari ruoli delle persone sono una ricchezza, cioè MultiMe, un programma che permette di creare il proprio ritratto multidimensionale. “Le dimensioni identitarie che le persone inseriscono nel programma vengono aggregate ed elaborate in informazioni utili per il mondo HR, raccolte in modo più continuativo ed efficace rispetto ai sondaggi tradizionali, poi trasformate in un vero e proprio tesoro di conoscenza al servizio delle organizzazioni”.
Aprendo MultiMe, all’inizio appare un test che interroga l’utente sui suoi vari ruoli (per esempio lavoratore-lavoratrice, fidanzato-fidanzata, figlio-figlia, padre-madre, ecc.), poi prosegue con domande legate alle caratteristiche di ogni ruolo. Dopo 24 ore si riceve un report con qualità e competenze che sono emerse nel profilo.
“Le aziende ricevono questo report in formato anonimo, e per ora lo abbiamo testato su circa 12mila persone: in base a questi dati è possibile prendere decisioni importanti, ad esempio su politiche di welfare o formazione”, ha aggiunto Gherbini. L’obiettivo è far capire a chi lo utilizza che le competenze e le energie non dovrebbero entrare in conflitto nel rapporto vita-lavoro, ma al contrario dovrebbero integrarsi. Per esempio, la soft skill dell’empatia è una competenza che viene naturalmente allenata in contesti famigliari, ma può essere applicata anche all’ambiente lavorativo, e viceversa.
Evoluzione del Performant management: il Performance feedback
A proposito di competenze, tra gli strumenti con cui i manager gestiscono le persone, il performance management che le valuta è uno di quelli chiave attorno a cui ruotano molte decisioni e spesso anche molti fantasmi. Maria Chiara Barabino, Global HR Director di Saati, ha raccontato che nell’ultimo anno in azienda hanno sentito l’esigenza di un’evoluzione del sistema di valutazione e feedback che andasse al di là dell’autovalutazione, già presente.
“La valutazione finale avveniva una volta l’anno, ma questa periodicità ci portava a elaborare una mole enorme di informazioni, quindi poi finivamo per concentrarci solo sugli eventi più recenti: è un aspetto che ci stava stretto. Avevamo già eliminato un punteggio finale di valutazione, ma veniva comunque percepita più questa rispetto al feedback”, ha dichiarato Barabino.
Insoddisfatti dai tradizionali approcci, l’azienda ha scelto di sperimentare un metodo di Performance Feedback presso l’headquarter di Saati che rendesse il momento dello scambio tra capo e collaboratore più vero, aperto e capace di creare micro-cambiamenti nelle abitudini. E soprattutto slegato da considerazioni valutative con impatti su retribuzione e carriera, da gestirsi separatamente.
“Invece che fare un incontro annuale, ci incontriamo ogni tre o quattro mesi. È un momento di scambio snello e pratico, dove ci concentriamo sui comportamenti e sui modi di agire dei lavoratori sia normalmente sia di fronte alle difficoltà. Il feedback che ricevono è basato sui risultati dei 3 mesi precedenti, sugli atteggiamenti quotidiani e sui traguardi per il futuro”, ha spiegato Barabino.
I livelli di valutazione tengono conto dell’energia del lavoratore, dello spirito di innovazione e dei modi di agire. Riguardo il futuro, invece, si danno consigli su eventuali conoscenze da potenziare o nuovi compiti da affrontare. Nel feedback delle posizioni apicali viene inserita anche la parte dell’engagement e delle esperienze di arricchimento. Per quanto riguarda i comportamenti, invece, vengono offerti i servizi di un coach esterno tramite un colloquio ogni tre mesi. La sperimentazione è iniziata a gennaio 2020 ed è stata mantenuta con successo durante il lockdown: lo scopo è estendere questo nuovo approccio anche alle filiali estere del gruppo.
Anche i leader devono riscoprire il bisogno della socializzazione e della solidarietà
Molto attento al tema del feedback è anche Claudio Allievi, Presidente di K-REV, per cui la valutazione e lo sviluppo sono due cose completamente diverse, anche se in Italia ancora questa idea fatica ad affermarsi. Notando che nelle organizzazioni non c’è molta differenza tra leader e follower, Allievi ha coniato il termine “Fòlleader”, che indica una nuova figura specifica.
“Tra follia e lucidità, un po’ follower un po’ leader, il fòlleader appartiene alla folla, talvolta si perde nella massa e qualche volta emerge alla testa di un gruppo. Dalle Sardine a Greta Thunberg; dalla più giovane premier al mondo, la finlandese Sanna Marin, nata da due madri, a Jacinda Ardern premier 38enne della Nuova Zelanda, che ha mostrato al mondo il volto di un leader umano dopo l’attacco alla moschea Christchurch; dal Covid-19 alla rivolta del popolo americano all’uccisione di Floyd; evidenziato il fallimento della globalizzazione consumistica che ha portato individualismo e disgregazione sociale, riscopriamo il bisogno della socializzazione e della solidarietà”.
Le organizzazioni possono accettare questo cambiamento o esserne travolti, anche dal punto di vista del lessico usato. “La parola ufficio fa già pensare al dovere: con lo Smart working possiamo fare tantissime cose a casa, quindi nel momento in cui scegliamo di andare in azienda è perché lo vogliamo, abbiamo intenzione di incontrare i colleghi e riscoprire la socialità”, è stato il pensiero di Allievi.
L’opportunità dei serious game formativi
La cultura digitale si è imposta con forza negli ultimi mesi in Italia. Per quanto riguarda la formazione online, però, su 28 Paesi analizzati dall’ultima indagine dell’Istituto superiore di formazione e ricerca (Isfor) siamo al 20esimo posto per partecipazione ad attività di elearning, e solo il 25% delle persone completa i percorsi.
“La presenza del digitale in ambito formativo, ormai da anni, è rappresentata dalla modalità della formazione a distanza, che viene prevalentemente utilizzata per la trasmissione di contenuti professionali e abilitanti. È noto che tale attività ha dimostrato i propri limiti nonostante le diverse implementazioni che le aziende hanno attuato”, ha fatto notare Ettore Fareri, Amministratore Unico L&P.
Lo sviluppo di nuovi modelli consente quindi di coprire anche aree fino ad ora poco presidiate da tale attività digitale, come le soft skill, aumentando il livello di interazione e di engagement in tutti i partecipanti. Un esempio dei nuovi strumenti sono i serious game, cioè videogame formativi.
“Con i videogame, sei o sette ore di gioco equivalgono a due giorni di formazione in aula”, ha garantito Fareri. La grafica e le animazioni sono molto attrattive, e al loro interno ci sono elementi formativi e personaggi a tema come: investigatori per la cybersecurity; mercanti veneziani del 500 per imparare la negoziazione; un’isola deserta per testare la leadership; la divisione tra buoni e cattivi; il mondo da salvare. “In questo momento abbiamo 13 titoli di videogame, ognuno collegato a una soft skill. In futuro però i nostri giochi saranno personalizzabili sia a livello di contenuti sia di layout”. Il tasso di completamento dei serious game è del 94%.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.
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