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Prendersi cura delle persone e del talento con la formazione

Lo Smart working svolto durante l’emergenza sanitaria, in realtà, non è stato affatto ‘smart’: si è trattato più che altro di un home working, che ha visto i lavoratori barcamenarsi tra la cura di figli e genitori anziani, della casa e l’improvvisazione di performance da insegnanti, per la didattica a distanza. Tutto questo si è accompagnato a una minore possibilità di accesso ai servizi sanitari, con un aggravio considerevole sulla salute in generale.

Anche quando abbiamo potuto ricominciare il lavoro in presenza, le scuole non hanno riaperto. I nonni, per esempio, sono rimasti soggetti a rischio, i bonus (ferie, congedi, permessi) si sono rivelati insufficienti. Tra il senso di colpa per avere trascurato sia i figli sia il lavoro, non ce la stiamo passando bene. È questo il quadro che emerge dal workshop sul tema della formazione, organizzato nell’ambito dell’edizione 2020 de Il Convivio di Persone&Conoscenze, il più grande evento dedicato ai temi HR organizzato dalla casa editrice ESTE e dalla sua rivista Persone&Conoscenze, di cui Parole di Management è stato Media Partner.

Tale situazione è stata rappresentata da Sabrina Colombo di Mastermamma, che ha raccontato il caso delle “mamme equilibriste” (definizione di Save the children) che, appunto, faticano a trovare una stabilità nella conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Non che il panorama pre Covid fosse roseo, ma molte mamme lavoratrici avevano, per lo meno, trovato il loro equilibrio. L’emergenza sanitaria ci ha imposto di ripensare completamente il delicato rapporto tra i diritti di lavoratori, ma anche di cittadini, e quelli di cura di bambini e bambine e persone fragili. E poi c’è il tema scuole che non sappiamo se e come riapriranno a settembre. Questo rende evidente che i vari benefit non bastano per fare programmi sul medio e lungo e periodo.

Se lo Smart working e l’accesso privilegiato ai servizi sanitari possono essere un aiuto, la soluzione va individuata nella formazione. È questo il nuovo trend del welfare aziendale, che comprende, oltre ai più tradizionali servizi di conciliazione vita-lavoro e all’assistenza sanitaria integrata, anche supporti psicologici al lavoro di cura, supporto al benessere digitale, policy di active ageing e un life-long learning, inteso come sviluppo di hard e soft skill e dei talenti, quali strumenti per la tenuta dell’employability.

Rafforzare questi aspetti di welfare, secondo Colombo, permette di accelerare quel processo di neo-umanesimo che il futuro del mondo del lavoro richiede con sempre maggiore insistenza. Le aziende saranno protagoniste di questa “umanizzazione”: da esse passerà lo “sviluppo integrale” della persona e della collettività. Mastermamma ne ha fatto una mission, creando una piattaforma di formazione genitoriale, per supportare le aziende nel sostenere il valore della maternità e paternità come risorsa.

Questo permette alle imprese di prendersi cura delle persone e dei talenti, migliorando la performance aziendale attraverso la formazione. D’altra parte, l’Istat dice che il 55-60% delle mamme tra i 25 e i 50 anni ha un lavoro, così come l’88-90% dei papà. Sono dunque per lo più genitori i lavoratori da cui dipende la performance aziendale e questo dato non è trascurabile. Anche il welfare dovrà adattarsi: dovrà essere sempre meno legato ai flexible benefit e sempre di più al people care.

Formazione tecnica e personale: due facce della medaglia

Chiaramente, la formazione aziendale non può esaurirsi negli aspetti più personali. Anche quella tecnica deve trovare giusta collocazione e valorizzazione. È il caso di Yamaha, azienda con un centinaio di dipendenti, con un’età media di 42 anni. Un’impresa giovane, dunque, che gode di un alto livello di engagement legato al brand: alzi la mano chi non vorrebbe essere collega di Valentino Rossi. Tuttavia, anche in un contesto in cui la tecnica sembra far da padrona, i piani di formazione sono legati a doppio filo alle attitudini del singolo. I due binari corrono paralleli: la formazione tecnica si lega al consolidamento delle competenze professionali, mente quella personale si orienta verso lo sviluppo di attitudini considerate determinanti per una proficua collaborazione tra l’azienda e il dipendente. Il secondo aspetto è più importante per il conseguimento degli obiettivi aziendali, ma più critico.

Per questo Yamaha ha ideato un metodo di valutazione delle competenze di ruolo, che tenga conto delle relazioni esistenti tra mission aziendale, attività e competenze. Lo scopo di tale analisi è quello di evidenziare i punti di forza e debolezza del know how, definendo così le politiche formative. La conseguenza più immediata è quella dell’identificazione tempestiva di possibili evoluzioni di ruoli per le persone, migliorando così, allo stesso tempo, le competenze del singolo e il buon funzionamento del gruppo.

La tabella di valutazione mette in relazione l’attività svolta dal dipendente con le competenze specifiche per il ruolo, applicando una metrica su base 5. Tuttavia, un alto livello di competenze tecniche non garantisce prestazioni eccellenti: gli elementi che concorrono alla valutazione della perfomance sono molteplici e vanno dalla capacità di lavorare in team, a quella di relazione, sino alla personalità del singolo. L’attitudine ha a che fare con le competenze trasversali e queste, a loro volta, sono più o meno utili a seconda dei rapporti di relazione che intercorrono in azienda, con l’interno e l’esterno.

Anche le soft skill sono valutabili, preferibilmente con la collaborazione tra HR Manager e responsabile diretto: ciò aiuta una giusta collocazione delle persone, fondamentale per il buon funzionamento del sistema. Questa visione composita del lavoratore fa sì che esso venga valutato come persona nel suo complesso, non solo in base alle mansioni.

Yamaha, insomma, mette al centro la persona, non il business, che è una conseguenza del benessere aziendale. Ecco perché la formazione del singolo concorre al raggiungimento degli obiettivi collettivi: lo sviluppo personale, raggiunto attraverso una formazione specifica e personalizzata, che aumenti la fiducia in sé e negli altri, è il presupposto per il successo di un’azienda.

Aggiornare la formazione alle nuove necessità

“Persone al centro” sembra uno slogan, eppure non può essere un caso che quasi tutte le aziende prefigurino un nuovo umanesimo post Covid. Non è un mistero che la pandemia ci abbia cambiati e abbia contribuito a un’evoluzione del mercato del lavoro. Andrea Langfelder, HCM Strategy Leader di Oracle, ha prospettato che “non torneremo più come prima”. Non è necessariamente una cattiva notizia, ma per evolverci in positivo servono empatia, resilienza e partnership. Al centro dell’attenzione, oltre alle persone, sono poste idee nuove e la rete dei partner.

Per ridisegnare il nostro futuro professionale occorre concepire una formazione più moderna: le organizzazioni, per prime, devono riadattarsi, rendendo prioritario in azienda un upskilling o reskilling. Le imprese devono riuscire a capire i bisogni futuri, per facilitare l’accesso a una formazione utile e adeguata, incentivando anche la crescita e l’uso degli strumenti digitali. Un cambiamento, insomma, di mezzi e contenuti, che ci lasci più tempo per coltivare i nostri interessi.

Questi aspetti di “ecologia della formazione” sono determinanti per renderla più efficace: essa dovrà essere sempre più on demand, personalizzata sulle attitudini del singolo, prevedendo, allo stesso tempo, un social learning più collaborativo, che coinvolga anche le filiere del proprio mercato. Dovrà, quindi, coinvolgere sempre di più i fruitori, attirandoli con la tecnologia, con temi e strumenti accattivanti, o con la gamification: in ogni caso, la formazione non dovrà mai essere finalizzata a se stessa. Essa deve sviluppare processi a livello personale e professionale, mettendo a frutto anche quegli insegnamenti implicati dalle circostanze stesse, come nel caso della pandemia da Covid-19. Una buona formazione, infatti, non può prescindere dai contesti e dalle situazioni specifiche: deve avere visione di futuro, non basarsi sul passato.

Personalizzazione e visione di futuro, la nuova formazione

Luca Bauckneht, Direttore del Personale di Faac, condivide la chiave di lettura di Oracle in merito alla personalizzazione e alla prospettiva a lungo termine della formazione. L’azienda bolognese, infatti, ha ideato un Management development program che è stato anticipato da alcune attività già nel 2018, per poi essere disegnato nel 2019 e trovare la sua delivery nel 2020, con un rallentamento dovuto alla pandemia.

Nulla di improvvisato, dunque, ma un percorso che avrà il suo apice nel 2021-22: un progetto a catena che si innesca in un programma ragionato e di visione di Change management. La tempistica rende necessaria una progettazione dinamica, che coinvolge diverse figure professionali e ambisce a un respiro internazionale.

La metafora che meglio lo rappresenta è quella della barca: deve avere una rotta, ma anche l’equipaggio giusto, collocato nelle mansioni più appropriate. Per stabilirlo, Faac ha predisposto un sistema di valutazione delle competenze: sono stati individuati tre cluster (Relationship area, Management area, Innovation area), ognuno composto di 10 competenze specifiche. La chiave di tutte, però, è la capacità di adattarsi al cambiamento: una concezione un po’ darwinista del management, che tiene conto della fluidità del contesto sociale, professionale, tecnologico, relazionale in cui siamo immersi.

La crisi è una condizione stabile

Secondo Marco Valcamonica, Managing Director di Talent One, la crisi cominciata nel 2008 merita, ormai, una definizione più appropriata. Non si tratta, infatti, di un evento straordinario e temporaneo, ma di una condizione che ci ha portati a un cambiamento stabile. Per reagire serve un adattamento e un riposizionamento: da questi presupposti nasce il progetto Augment HR solution, che tiene conto del fatto che ogni azienda ha reagito in maniera peculiare alla situazione.

Il presupposto è la fiducia reciproca tra collaboratore e imprenditore. Questa si costruisce attraverso maggiori attenzioni verso il welfare aziendale, verso le aspettative personali del singolo e tramite una maggiore responsabilizzazione. Secondo Talent One l’eccellenza si raggiunge attraverso un approccio agile e una gestione flessibile delle Risorse Umane, la costruzione partecipativa di un’esperienza lavorativa appagante per i talenti nuovi ed esistenti, la trasformazione digitale delle HR e una gestione mirata dell’emergenza.

L’idea di Valcamonica, infatti, è che non esista più un impiego a vita, ma una impiegabilità a vita. Il focus, dunque, è tutto sbilanciato sulla qualità dei talenti. Se al lavoratore è sempre più richiesta flessibilità, d’altro lato gli obiettivi aziendali devono essere condivisi ed incentrati sul team. La repentina digitalizzazione cui la pandemia ci ha obbligati potrà aiutarci a maturare in breve tempo processi formativi solitamente più lenti: saper cogliere i vantaggi delle crisi, d’altra parte, è una competenza che una buona formazione mirata può aiutare a sviluppare.

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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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