In cammino verso la sostenibilità: il ruolo dell’HR fra etica e business
Solo negli ultimi anni la prospettiva della sostenibilità è stata utilizzata per definire strategie di lungo termine.
L’idea di sviluppo sostenibile nasce negli Anni 70, a seguito della progressiva presa di coscienza sulle problematiche ambientali e sul futuro del Pianeta. Il dibattito ha coinvolto organizzazioni internazionali, movimenti di opinione, Governi e studiosi, approdando così a tale concetto: “Lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che quelle future riescano a soddisfare i propri”, secondo la definizione data nel 1987 dalla politica norvegese Gro Harlem Brundtland.
Nel percorso dalla Conferenza di Stoccolma delle Nazioni unite sull’ambiente umano del 1972, al Summit del 2015 per l’adozione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile le idee si sono precisate fino a prendere la forma di 17 obiettivi globali e 169 target (Sustainable development goals).
In ambito aziendale il percorso è stato più lento. Solo negli ultimi anni la prospettiva della sostenibilità ha cominciato a essere utilizzata per definire strategie rivolte a qualcosa di più ampio della sola massimizzazione degli interessi degli azionisti, in una prospettiva non di breve, ma di lungo termine.
Nell’estate del 2019, 200 tra le principali aziende di Wall Street e i colossi finanziari –da Jp Morgan ad Amazon, da BlackRock a General Motors– hanno reso pubblico un documento in cui sostengono che per creare valore di lungo periodo le aziende non devono limitarsi a portare dividendi ai propri azionisti. L’attenzione al profitto è giusta, ma dev’essere solo una delle linee guida per le scelte dei manager, che devono considerare anche l’impatto sull’ambiente e le comunità locali, i rapporti corretti con i fornitori, il rispetto dei consumatori e le condizioni offerte ai propri dipendenti.
Oggi, anche a causa della pandemia, questa consapevolezza sembra ancora più forte e diffusa. È ormai evidente che non si possono separare gli ambiti di sostenibilità. Non ci si può occupare solo di una componente del sistema mondo, per esempio l’economia e al suo interno l’Impresa, perché sono tutte collegate e la loro relazione è complessa. Come hanno affermato Kevin Sneader e Shubham Singhal, partner di McKinsey, “dirigenti e lavoratori sono anche cittadini, genitori, vicini di casa e quelle parti della loro vita non si fermano quando entrano in ufficio”.
Sostenibilità per le persone che lavorano
Questo lungo percorso comincia solo ora a scendere all’interno delle imprese. In particolare, per quanto riguarda i dipendenti, la domanda che comincia a formarsi è la seguente: cosa significa avere una prospettiva di sostenibilità nella relazione tra datore di lavoro e impiegati?
Per provare a rispondere è utile riprendere alcune delle radici filosofiche che ben prima degli Anni 70 hanno sostenuto il dibattito tra due visioni del mondo. Esponenti del confronto (a un secolo di distanza tra loro) sono stati Baruch Spinoza e Adam Smith. Spinoza sosteneva che “la natura siamo noi, non c’è altro che determina il mondo se non noi stessi”.
Nel rapporto con la natura, quindi, dobbiamo essere saggi, etici, auto-limitanti, perché il male che facciamo a lei inevitabilmente si ripercuote anche su noi stessi. Smith, invece, separava ‘noi’ dalla natura, concepita come riserva di materie prime necessarie alla produzione e allo sviluppo economico. La prospettiva era la crescita continua e illimitata, che è sinonimo di progresso. La scienza e la tecnologia erano il mezzo con cui realizzarla. L’etica, la saggezza, la limitazione non erano considerate.
Per lungo tempo Smith ha dominato incontrastato il pensiero economico. Ora la bilancia si sta spostando a favore di una prospettiva più olistica, come dimostrano le prese di posizione di cui abbiamo visto alcuni esempi.
Il significato di sostenibilità, quindi, è legato a conservazione, equilibrio, salute, responsabilità nel consumo, equa distribuzione delle risorse e dei vantaggi che la natura, ma anche il nostro operato, ci mettono a disposizione. I riferimenti occupano uno spazio più ampio della sola azienda: le comunità, la nazione, il mondo, oltre a una prospettiva temporale di medio-lungo termine.
Una prima parte della risposta alla domanda, allora, potrebbe essere la seguente: una gestione sostenibile delle persone in azienda ha come obiettivo primario l’equilibrio, la salute, la ‘conservazione’ e il benessere delle persone e una equa (non egualitaria) gestione dei vantaggi e degli svantaggi dell’appartenenza.
Barry-Wehmiller è un gruppo americano da 3,8 miliardi di dollari di fatturato e 12mila persone, presente anche in Italia. La sua visione si riassume così: “Misuriamo il nostro successo da come tocchiamo la vita delle persone”. La promessa agli azionisti è un reddito equo, non ai massimi livelli di mercato, con una prospettiva di medio-lungo termine.
Nel 2008, in piena crisi, per non licenziare è stata tra le prime aziende in Italia a introdurre la solidarietà estesa a tutti i dipendenti, dirigenti compresi. In più i dirigenti si sono autoridotti lo stipendio di un ulteriore 5%, perché, come ha spiegato Sergio Casella, Presidente di Divisione, “Sicuramente avevamo, come classe dirigente, una maggiore responsabilità delle persone che ora subiscono gli effetti della situazione che si era creata”. Un meccanismo simile è stato applicato anche durante la crisi nata con il covid-19.
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Laureato in Psicologia, prima in azienda poi in consulenza da 35 anni, Corrado Bottio si occupa di sistemi di sviluppo delle Risorse Umane. Partner di Mida, si è specializzato sui temi dell’Age management e dell’HR sostenibile. È co-fondatore e membro del Comitato guida dell’osservatorio senior e Presidente della fondazione Human Plus, organizzazione di ricerca su innovatori e innovazione nei contesti di lavoro. Insegna al Master Executive in Communication and Human Resources dello Iulm. È Consigliere di Amministrazione di organizzazioni non profit.
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