Shecession
Dalla recession alla shecession il passo è brevissimo. Shecession è un neologismo di cui non avvertivamo il bisogno. Eppure con la seconda ondata di Covid e spettri di lockdown, se pure parziali, la recessione colpisce le donne più degli uomini. I numeri sono impietosi e li riporta il Corriere della Sera. Il 65% delle donne tra i 25 e i 49 anni con figli al di sotto dei 5 anni non possono lavorare per il peso dei lavori di cura. Numeri che ha reso noti la sottosegretaria al ministero dell’Economia e delle Finanze Maria Cecilia Guerra, che sottolinea come la situazione delle donne sia fortemente discriminata. Dai part time involontari –si arriva al 60,4%– al divario salariale, le donne nel nostro Paese continuano a non passarsela troppo bene. Il problema è rappresentato dai servizi all’infanzia: un incremento di offerta di asili nido alleggerirebbe il lavoro di cura e incrementerebbe l’occupazione in un settore prevalentemente svolto da donne.
Purtroppo andiamo sempre a sbattere con un tema culturale se il 51% degli italiani concorda sul fatto che il ruolo primario della donna sia occuparsi della casa e dei figli. Il successo professionale resta una cosa da uomini, a dispetto delle evidenze dei numeri e delle esperienze degli altri Paesi, dove al diminuire delle disuguaglianze cresce anche il Pil.
Ma noi i numeri non li guardiamo e delle statistiche non ci curiamo, così al salire dei contagi la prima cosa che sacrifichiamo sono le scuole. E pazienza se non è lì che ci si contagia, iniziamo da chi è più debole e non vota. Tanto a casa ci sono le mamme, che nel frattempo riescono a gestire riunioni su zoom e didattica a distanza. Fanno tenerezza studenti che hanno improvvisato banchi fuori dalla scuola per protesta, come a dire, la scuola non è solo didattica, è socialità, interazione, confronto.
Chiusi in casa, quasi mai da soli, magari senza nemmeno una stanza tutta per sé, come potranno mai coltivare il desiderio di imparare? La scuola non solo deve rimanere aperta, deve spalancare porte e finestre, come peraltro tutti raccomandano, e diventare l’epicentro della vita dei ragazzi. Si rimodulino gli orari se il problema sono i trasporti, è lì che ci si infetta, non in classe. Ma non richiudiamo in casa una generazione che cresce se le consentiamo di socializzare nei luoghi della cultura, non solo in quelli del divertimento. Resistono tra enormi difficoltà le scuole d’infanzia e le primarie, che rimangono aperte salvo quarantene localizzate delle classi dove si segnalano casi di positività.
Poi ci sono i più grandi, quelli che si sono laureati davanti a un monitor e ora vedono come un miraggio uno stage non retribuito. Si può fare uno stage, o un praticantato, in smart working? E poi quelli che sono partiti per fare un’esperienza all’estero ora devono stare chiusi in una stanza; ragazzi desiderosi di cimentarsi con nuove esperienze costretti a cancellare programmi, rimandare progetti, accantonare idee. Noi genitori, noi adulti abbiamo la responsabilità di intercettare questo disagio e magari cercare di capire se ci sono modi diversi per concretizzare progettualità cancellate da un virus. Per evitare che i sogni non rimangano in stand by.
covid-19, lockdown, scuola, recessione, Maria Cecilia Guerra