L’era delle incertezze si gestisce con i talenti
La pandemia sta cambiando anche il mondo del recruiting: maggiore forza dei datori di lavoro, minore mobilità dei talenti.
La pandemia di Covid-19 sta avendo forti ripercussioni sul mercato, portando i recruiter a rivedere il loro approccio alla ricerca del personale. La recessione e la crescita di disoccupazione sono state interpretate da tanti cacciatori di talenti come il passaggio all’employer-driven market, nel quale il datore di lavoro si trova in una posizione di forza e si permette di spendere meno per attirare le nuove risorse nell’azienda.
Ma ora la situazione non è così semplice e la crisi in atto è diversa da quella del 2008. Il periodo di massima instabilità che stiamo vivendo può essere proprio il momento giusto per investire nelle persone che possono aumentare i profitti dell’azienda e di conseguenza dare una spinta all’economia in generale.
Gli esperti americani di recruiting stanno costatando che la recessione in atto è davvero anomala. La si potrebbe descrivere come una crisi dello squilibrio e del cambiamento strutturale. Mentre alcune aziende sono state distrutte, altre prosperano, non hanno subito nessun danno oppure sono riuscite a riprendersi velocemente. E i processi sul mercato del lavoro potrebbero essere riassunti nel concetto della “distruzione creativa” dell’economista austriaco Joseph Schumpeter. Tanti posti di lavoro stanno scomparendo e ricomparendo allo stesso tempo.
Il rischio contagio rende complicata la ricerca
Per calibrare la loro strategia i recruiter devono considerare alcune peculiarità dell’attuale crisi. Per esempio, negli Stati Uniti, entrano in gioco diversi fattori. In primis, la crescita di disoccupazione da Covid con il livello record ad aprile 2020 (14,7%) si è ridotta abbastanza velocemente scendendo sotto la soglia del 9% in quattro mesi. Mentre durante la crisi del 2008 ci sono voluti due anni perché la disoccupazione si abbassasse a quel livello.
Inoltre, tante posizioni che richiedono la presenza fisica rimangono vacanti a causa dei rischi di contagio e ciò porta i datori di lavoro a innalzare lo stipendio del personale. È da considerare anche il fattore di discrepanza geografica tra le posizioni aperte e persone disponibili scaturito dalla minore mobilità dei talenti nella situazione attuale, soprattutto per quanto riguarda i ruoli senior.
Il dato più importante da tener presente nelle scelte di recruiting è quello dei nuovi posti di lavoro. In America a luglio 2020 sono saliti a 6,6 milioni, il doppio della media del 2009. Quindi i recruiter non devono farsi ingannare da alto tasso di disoccupazione. Il dato va contestualizzato per capire come la pandemia sta influenzando la disponibilità dei talenti per ruoli chiave di una determinata azienda. Forse non è affatto il momento di risparmiare sugli sforzi per attirare persone valide nella propria impresa. Anzi, il mercato del lavoro attuale può essere visto come una curva stretta sul circuito da sfruttare per sorpassare altre aziende in competizione per i talenti.
Fonte: Harvard Business Review
Giornalista professionista dal 2015, da sette anni collabora con varie testate sui temi legati alla Russia e all’Europa dell’Est. Dal 2013 scrive sulle tematiche ebraiche per i canali di comunicazione della Comunità ebraica di Milano. Nel 2016 ha avuto una parentesi giornalistica in Francia come stagista presso il settimanale La Vie del gruppo Le Monde e nel 2015 ha fatto parte del team dell’ufficio stampa del Media Centre di Expo Milano. Nel 2014 ha scritto anche per Lettera43.it. È stata allieva della Scuola di giornalismo Walter Tobagi dell’Università Statale di Milano (biennio 2012-14). Prima di trasferirsi in Italia, si è laureata in Lingua italiana e Letterature Europee presso l’Università Statale di Mosca M.V. Lomonosov nel 2011.
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