Piccolo manuale di resistenza contro la misoginia in ufficio

Queste pagine sono un modo per parlare di donne e mondo del lavoro attraverso esperienze pratiche, vissute, viste e raccontate. Qui non affrontiamo grandi problemi come il pay gap (che esiste), l’harassment sessuale, la discriminazione da codice penale, ecc. Sono piccole pratiche, che colpiscono (quasi) tutte e che ognuno di noi ha quantomeno testimoniato. L’obiettivo di descriverle è, come lavoratrici, di sentirci meno sole, meno strane. E contemporaneamente di capire che tutti, uomini e donne, abbiamo il potere di fare qualcosa contro di questo, con alcune piccole, costanti e coraggiose mosse di kung-fu.

Piccolo disclaimer: i manuali (soprattutto quelli di non grandi dimensioni) generalizzano e volgarizzano per definizione. Ecco, lo so che quello che state leggendo è banalizzante, mentre il reale è molto più sfumato, ma, se lo considererete con onestà intellettuale, vi troverete qualche volta a pensare che anche voi avete vissuto o visto questa o quella cosa… Quindi date per assunto che prima di ogni frase sia specificato come non sia sempre e ovunque così (ma spesso qui da noi lo è!).

Partiamo da una constatazione, il primo dato misogino è esistenziale: se sei una donna e hai una posizione di un certo rilievo, sei ipso facto antipatica, st***** e ambiziosa. Tutte cose che declinate al femminile suonano proprio male (al maschile non poi così tanto…). A partire quindi dal fatto che sei tecnicamente una strega, ecco alcune pratiche misogine comuni che abbiamo visto capitare più volte e a seguire qualche piccola mossa kung-fu di resistenza.

Il migliorismo delle donne

Le pratiche misogine partono sempre dal presupposto che se una donna vuole raggiungere un uomo deve superarlo. Non ha senso, ma è così. Come avrebbe detto l’attrice Ginger Rogers in una frase a lei attribuita: “I did everything Fred did, only backwards and in high heels”. “Facevo tutto quello che faceva Fred, solo all’indietro e in tacchi alti”. Si chiama migliorismo femminile. Devi essere bravissima e preparata sempre. E anche questo non basta, perché comunque rischi di essere una maestrina…

Le donne che riescono a crescere di solito lo fanno più lentamente, dovendo dimostrare di saper fare le cose molto più degli uomini ed essendo obbligate a darne nuovamente prova in vari momenti della propria vita. Tra l’altro, lanciate nello sforzo di rendere palese che valgono la posizione che vogliono, si concentrano solitamente sul fare, mentre gli uomini possono permettersi di curare maggiormente le relazioni (Stakeholder management, come si dice in azienda). E, attraverso questo, rinsaldare il rapporto con il capo, che, già più affine per gusti e per esperienze, sarà maggiormente disposto a fidarsi di lui (che a questo punto conosce meglio) in un processo di delega, anche se lei magari ha fatto più cose e lavorato il doppio (tirandosi addosso spesso anche lo stereotipo del micromanagement). Be’, indovinate alla fine chi avrà la promozione?

Voi direte: “Però se il capo è donna…”. Eh no, anche qui c’è la fregatura. Perché una donna che ne porta altre in una discussione per le promozioni si sente messa pesantemente sotto giudizio. Può infatti essere giudicata come ‘parziale’ (sia mai! Una donna deve essere ‘ultra’ equa –ancora migliorismo– mentre un uomo ne può proporre altri dieci in fila senza doversi giustificare…).

Quando la donna è aggressiva

Se poi ti arrabbi sono problemi: tutti sanno che l’aggressività è una prerogativa maschile! Ora, una corretta canalizzazione di queste emozioni è una risorsa per le organizzazioni, in gergo ‘aziendalese’ lo chiamiamo gestione del conflitto e spesso fa proprio parte delle competenze chiave delle imprese. Già partiamo con una differenza culturale: per i bambini l’aggressività è trattata come naturale e da incoraggiare, mentre alle bambine viene insegnato a ‘stare tranquille’ e a considerarla come anormale. Quindi, quando poi ci ritroviamo tra le scrivanie, mentre per gli uomini gridare o gesticolare forsennatamente è accettabile e di carattere (se non addirittura segno di carisma), per una donna canalizzare la propria rabbia la fa diventare meno credibile, ‘uterina’.

I capi, come vi immaginerete, trovano grande difficoltà nella gestione dell’aggressività femminile, sia diretta sia indiretta. Perciò, mentre per gli uomini dagli scontri sorgono spesso opportunità e avvicinamenti –e tanti sono molto abili a dirigerli– per le donne i conflitti spesso finiscono solo con il ribadire lo stereotipo dell’isterica, a prescindere dai contenuti della discussione stessa. Piccolo spunto: quando giudicate una donna aggressiva, fermatevi un attimo. Se fosse un uomo a fare le stesse cose, lo valutereste allo stesso modo?

Brothers have the power

Le donne non sono mai al posto giusto nel momento giusto per quanto riguarda il potere. Quando si decide qualcosa noi non siamo (quasi) mai presenti. Perché? Per il fatto che le decisioni, soprattutto nei Paesi latini, non si prendono nelle riunioni a questo dedicate, ma nei corridoi, alle sette di sera, mentre si gioca a golf, si fa un aperitivo o si pratica sport insieme… E indovinate? Noi spesso in quelle occasioni: 1) siamo a preparare la cena; 2) non abbiamo intere mattinate di sabato da dedicare ai campi da golf; 3) siamo ad ansimare più indietro… E quando pretendiamo di capire o vogliamo fare un nostro gioco di potere, oh no, siamo aggressive (Dio ce ne scampi! Una donna aggressiva! Vedi sopra). Però le persone di potere (e intendo quello positivo, in grado di far capitare le cose, non le accezioni negative personalistiche che nelle organizzazioni, ahimè, conosciamo tutti) non compiacciono gli altri: il potere non ti viene dato, te lo prendi.

L’atteggiamento paternalistico

Esistono poi alcuni uomini e capi che sono pieni di buone intenzioni, vogliono aiutare le proprie colleghe e collaboratrici, sono empatici rispetto a momenti chiave della vita di quest’ultime, come matrimoni, gravidanze, separazioni, ecc. Sono perfetti! Un po’ paterni, ti spiegano la vita di azienda (e magari anche in generale), in riunione ti mettono una mano sulla spalla e ripetono a voce più alta (a loro parere più autorevole) le tue opinioniWarning: abbassano la tua autorevolezza (solo tu hai bisogno di essere protetta, ricorda) e, se particolarmente attivi, troveranno il modo per evitarti scelte che loro pensano complesse per te: hai figli? Non ti può essere offerto un assignment all’estero, sarebbe così difficile! Quel progetto fondamentale e di grande visibilità? No, meglio non metterti in situazioni complicate! Che lo faccia Gianni, che ha tanto tempo a disposizione! Insomma, ti sabotano per il tuo stesso bene

Non ci piace la carriera

Entriamo nell’autobiografico: per anni non sono riuscita a dire che avevo una carriera, parlavo invece di percorso professionale. Carriera, brutta. Soldi, sterco del demonio. Potere per gli altri, ma non per me. Io lavoro e basta e non ho bisogno di altro. Peccato che quello aziendale sia un mondo di primati disciplinato da regole base: soldi (budget), potere (numero di collaboratori). In questo sistema di per sé semplice, alle donne vengono spesso proposte mirabolanti opportunità di posizioni ricche di riporti funzionali (quindi non ‘veri’ collaboratori!), ad alto contenuto strategico (cioè senza impatto immediato), dove serve tutta la loro sensibilità per creare consenso (ovvero di poco potere). In termini tecnici, fregature, che i bro sanno ben riconoscere. Ma noi donne no. Perché noi non vogliamo una carriera, del potere e dei soldi. No, noi siamo al servizio dell’azienda e facciamo quello che ci viene chiesto, pensando che così a un certo punto qualcuno ci capirà e allora… Se sei una manager devi essere in grado di guardare uno specchio e dire senza vergognarti: carriera, potere e soldi, in una frase di senso compiuto. Su, proviamo tutte insieme!

Viva la mamma

Qui entriamo in un altro momento chiave della vita della donna, la maternità. Partiamo da una prima constatazione: spesso per i nostri uomini – anche in azienda – questa è la vera realizzazione di qualunque donna, quindi 1) se decidi di non essere madre sei strana, per essere eufemistici; 2) se sei mamma perché vuoi essere anche qualcos’altro?

La maternità diviene una lente in più da cui giudicare (e talvolta scotomizzare) le donne: una brillante manager racconta che quando suo figlio era piccolo, i colleghi maschi facevano ricorrenti battute sulla durata, secondo loro troppo breve, delle sue chiamate al bambino quando lei era in trasferta. Un interessante punto di vista da parte di persone, come rimarca, che spesso, se lasciate da sole con il proprio figlio grandicello, dovevano telefonare alla moglie per sapere cosa mangiasse…

No agli eroismi

Quando viene data una promozione importante a una donna questa si trova subito ad affrontare un grande tribunale fatto di stereotipi (“Eh, non è che sarà andata a letto con qualcuno?”, “Poverina, ha solo la carriera! Ma come faranno i figli?!”, ecc.), ma anche di aspettative sproporzionate, soprattutto da parte femminile. A me viene sempre da dire: speriamo duri cinque anni in quella posizione. Questa è la cosa che deve fare per difendere il suo percorso e con esso quello di tutte noi. Abbiamo diritto ad avere una carriera anche senza eroismi. Come per gli uomini.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Ottobre-Novembre della rivista Persone&Conoscenze.
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