HeidelbergCement-Italcementi, quando il prodotto non è solo materiale
Con il cemento edifichiamo case, ponti, dighe. Ma non è solo materiale da costruzione, è ricerca, innovazione, competenze. All’ex Italcementi, nel polo dell’innovazione Kilometro rosso a Bergamo – non dunque nel profondo Sud – c’è il centro di ricerca di HeidelbergCement, storica azienda tedesca, colosso mondiale del cemento con 70mila dipendenti in tutto il mondo, che nel 2015 ha rilevato le quote dell’azienda italiana, acquisendone poi nel 2016 il pieno controllo.
Una multinazionale dunque che, come tante, ha trovato conveniente fare shopping nel nostro Paese, approfittando soprattutto della fragilità dell’imprenditoria italiana. Le garanzie occupazionali e produttive, come avviene nella maggior parte dei casi di acquisizione da parte di big player internazionali, sono state regolarmente date. Ma a Bergamo è in gioco un’ altra partita, che nei giorni dominati dal Covid, è passata in sordina: l’azienda ha comunicato la propria volontà di concentrare a livello globale ad Heidelberg in Germania le attività di innovazione e ricerca di prodotto, ufficialmente “per meglio valorizzare le importanti competenze maturate a Bergamo, mettendole a disposizione di tutti i Paesi che fanno parte del gruppo”.
La decisione non ha provocato rumore, forse perché in gioco vi sono ‘soltanto’ 32 ricercatori, ai quali sono già stati dati generici affidamenti per una riallocazione interna o esterna. Ma la partita qui è un’altra, e non si gioca solo sul consueto terreno occupazionale.
La costante ricerca della massimizzazione del profitto
L’azienda bergamasca è all’avanguardia nel settore delle costruzioni per le grandi infrastrutture. Da quel piccolo centro di ricerca sono uscite, per citarne alcune, le soluzioni innovative per i muri e le paratie del Mose di Venezia, l’asfalto ecosostenibile del Ponte San Giorgio di Genova, gli edifici realizzati con le stampanti 3D.
D’altra parte, proprio la centralizzazione delle funzioni di ricerca in una sola location enfatizza l’importanza che l’azienda tedesca annette nel futuro alla strategia dell’innovazione nel cemento e nel calcestruzzo, e al tempo stesso conferma la gravità del danno che reca non solo a Bergamo e alla Lombardia.
Certo, è fuori discussione il diritto della proprietà aziendale di riorganizzare e ottimizzare le proprie attività, di aprirle e di chiuderle, ma è tutto da discutere il suo potere assoluto di disfare un capitale di competenze locali, profondamente connesse con il territorio e l’università, costruite nel tempo e con una forte tradizione nella propria storia. C’è anche da chiedersi come sia possibile ottimizzare ad Heidelberg le attività di ricerca e sviluppo e le competenze di Bergamo se poi si preannuncia la riallocazione dei ricercatori italiani fuori dal perimetro del centro di ricerca.
È un copione già visto e oggi ancora più frequente; la multinazionale che acquista ha sempre le stesse due priorità: la massimizzazione del profitto e le ricadute sul proprio Paese. Non importa se, come ha fatto, per esempio la Whirlpool a Napoli, poi su un centro periferico mette una “x” sulla mappa delle proprie location nel mondo.
La partita della difesa del capitale intangibile va giocata dalla politica e dalla classe dirigente tutta con la stessa determinazione delle partite occupazionali. Perderla vorrebbe dire condannare progressivamente la capacità industriale del nostro Paese al ruolo marginale di mera fornitura, dipendente dagli umori non negoziabili di clienti distanti e certo non interessati a generare sviluppo nel territorio. Una partita che, in sordina, oggi si gioca a Bergamo, al Sud della Germania.
Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale.
Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale – prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016).
Cura la rubrica “Impresa Imperfetta” sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).
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