L’ora dei leader disciplinati
Nell’ultima settimana la scomparsa di Diego Armando Maradona ha dominato tutti i media del mondo. A distanza di un po’ di giorni, per esempio, il New York Times continua a pubblicare editoriali e servizi dedicati al Pibe de oro: ne ho letto uno il 3 dicembre 2020 che ne elogiava le performance sportive, dimenticando, però, tutto il contorno della vita privata del campione argentino, non proprio edificante.
Anche Parole di Management – quotidiano che dirigo e che ospita il mio blog sulla corsa – ha commentato la vicenda, interrogandosi se le aziende abbiano bisogno di talenti puri, ma con comportamenti non etici, oppure preferiscano manager con competenze meno vicine a quelle di un fuoriclasse colmate, tuttavia, da un forte senso etico. Nella puntata del 4 dicembre 2020 di PdM Talk – il talk show di Parole di Management – il caso Maradona ci ha permesso di confrontarsi su quale sia il leader in cui vogliamo identificarci.
Ai tempi d’oro di Maradona ero poco più di un bambino; seguivo il calcio – che non era certamente pervasivo come oggi – e, da milanista, alle giocate straordinarie del campione sudamericano preferivo il mix di talento e, soprattutto, rigore tecnico-tattico del Milan di Arrigo Sacchi, infarcito di stelle sapientemente gestite. E così non mi sono mai trovato nella schiera dei ‘fedelissimi’ di Maradona; riconosco che sia stato il più grande di tutti in campo, ma se potessi scegliere non baratterei mai il Milan degli Invincibili per l’argentino (ho sentito dire che negli Anni 80 Silvio Berlusconi, Presidente del club rossonero, provò a portare a Milano Maradona, offrendogli un contratto stellare, ma fallì).
Durante PdM Talk, l’intervento di Francesco Varanini, Direttore della rivista ESTE Persone&Conoscenze, secondo cui dobbiamo saper scegliere i ‘miti’ cui ispirarci mi ha fatto riflettere e aiutato a ricordare i motivi per cui mi sono sentito umanamente distante da Maradona; la presenza di Franca Fiacconi, unica donna italiana a vincere la Maratona di New York (1998) ha fatto il resto.
Follia creativa solo nella performance
Nella corsa, Fiacconi è di certo un mito: ho avuto l’onore di tratteggiarne il ritratto sulla rivista Sviluppo&Organizzazione nel 2019; nell’intervista abbiamo chiacchierato di fatica e di risultati. Se volessimo paragonarla a un calciatore, sarebbe una da Milan degli Invincibili: un’atleta nata con una grande dote, ma che ha saputo coltivarla e perfezionarla, allenandosi con costanza e vivendo una vita dedicata allo sport. Il Maradona della corsa – per restare nella metafora – è di certo Eliud Kipchoge.
Per chi non lo avesse mai sentito nominare, basti sapere che il keniota è l’attuale detentore del record in Maratona (2:01.39 a Berlino nel 2018), nonché vincitore dell’oro olimpico nella disciplina a Rio de Janeiro (2016) e, soprattutto, è l’unico essere umano al mondo ad aver percorso la distanza della Maratona (42,195 chilometri) in meno di due ore (il percorso non era omologato e l’atleta ha potuto godere di alcuni ‘vantaggi’, come la macchina che, precedendolo, gli dava il passo oppure le tante ‘lepri’ che gli tagliavano l’aria). Insomma, Kipchoge è un mito per chi corre. Per avere un’idea delle sue doti, in questo video alcune persone ‘normali’ tentano di correre per qualche secondo al ritmo che il keniano ha tenuto per tutta la durata della prestazione: https://www.youtube.com/watch?v=SRYtn0j5ccA
Kipchoge è anche un esempio lontano dalla pista e della strada. A differenza dei grandi campioni degli sport più in vista, infatti, vive in una fattoria in Kenya; ma non una fattoria nello stile a cui siamo abituati quando noi italiani portiamo i bambini a vedere gli animali. Quella di Kipchoge è un po’ più semplice e, come lui, è più sostanza che apparenza. “Non vivo in una villa sfarzosa”, ha detto di recente l’atleta in un’intervista a La Repubblica. In occasione del primo tentativo di correre i 42,195 chilometri in meno di due ore, National Geographic gli ha dedicato un interessante documentario, che svela il dietro le quinte della sua quotidianità in cui si conoscono i retroscena dell’atleta che non ama stare sotto i riflettori: https://www.youtube.com/watch?v=7XW63dM_1d0
Non che a Kipchoge manchino i soldi. Per esempio, per il tentativo di correre la distanza della maratona in meno di due ore, ha ricevuto 1 milione di dollari; è poi uno dei volti della Nike, che paga per apporre il suo baffo sulle scarpe e la canottiera dell’atleta. Potrebbe quindi permettersi di avere (e di fare) tutto ciò che gli passa per la testa. Ma lui, come detto in tante occasioni, non corre per soldi. E soprattutto non dimentica che la prestazione è il risultato di una lunga serie di comportamenti.
Non dimenticherò mai ciò che mi ha raccontato Fiacconi in merito alla sua vittoria a New York. Nel 1998 doveva vedersela contro Tegla Loroupe, che la Maratona nella Grande Mela l’aveva già vinta due volte e che quell’anno si presentava come grande favorita. Non sapeva, la keniana, che l’azzurra si era allenata con un solo obiettivo sui saliscendi in Italia proprio per essere pronta a dare battaglia dentro Central Park. La dedizione per l’allenamento, associata a una grande voglia di riscatto, ha permesso a Fiacconi di prendersi la meritata vittoria. Ancora oggi, della sua passione per la corsa dice: “È un amore fatto di libertà, ma anche di tanta disciplina”. Qualcuno nasce mito; qualcun altro lo diventa. Ho da sempre un debole per chi, con fatica, raggiunge i risultati straordinari costruendoli pezzo dopo pezzo.
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