Una nuova bussola per la terra incognita
Non esiste vento a favore per chi non sa dove andare. Le parole attribuite a Seneca ci possono aiutare a riflettere: se incognita è la meta, che il mare sia calmo o in tempesta, fa poca differenza. Non sappiamo dove stiamo andando, non abbiamo idea di come saranno le coste sulle quali ci apprestiamo ad approdare. Ma come sempre, per chi naviga, la stella polare fornisce un orientamento, così nel mondo messo in stand by dalla pandemia possiamo affinare le nostre capacità di osservazione e cercare con sguardo attento e critico i punti cardinali da scoprire.
Partiamo allora dalla situazione nella quale ci troviamo: una crisi o una rivoluzione, si domanda Sebastiano Barisoni nel suo libro Terra incognita. Attendere che l’emergenza sanitaria finisca per tornare a prima è un atteggiamento miope. Non torneremo a prima perché, Covid o no, il nostro mondo era già cambiato. All’inizio del 2020 non c’erano i sintomi tipici delle grandi crisi che abbiamo vissuto negli ultimi 15 anni, ma a gennaio erano già evidentissimi i segnali non di un cambiamento, ma di un cambio d’epoca. Barisoni cita Zygmunt Bauman, che con il termine “retrotopia” indica un atteggiamo di rifiuto verso il futuro e di auspicabile ritorno al passato.
Possiamo augurarci di sconfiggere presto la pandemia, tuttavia nel nostro mondo c’erano già altri paradigmi che si erano imposti, indipendentemente dalla crisi che si è propagata dal wet market di Wuhan. E che hanno contribuito a dare nuove forme al nostro agire. Partendo dalla Quarta rivoluzione industriale: il suffisso “4.0”, ma più in generale Internet, hanno ribaltato i punti di forza tra chi compra e chi vende, l’asimmetria informativa non esiste più. Chi compra ha potenzialmente più informazioni di chi vende, per valutare diverse offerte basta un clic e la vetrina è il mondo: se compro avrò molti vantaggi, se vendo devo saper gestire un consumatore sempre più informato, esigente e svincolato dalla prossimità dell’offerta. Un consumatore che, se mantiene o aumenta la sua capacità di spesa, attribuisce un valore differente ai beni. E questo sempre grazie al web.
L’auto non si acquista, si noleggia; i 20enni di oggi sono molto meno interessati al possesso dell’auto di quanto non lo fossimo noi alla loro età – mentre un 18enne non può rinunciare all’ultimo modello di smartphone – e la percentuale di neopatentati diminuisce. E il 18enne che abita in uno sperduto paese di montagna può accedere alle medesime informazioni di un coetaneo che vive in una metropoli. E può acquistare un volo, un soggiorno, confrontare un servizio. Il problema non è dunque di chi acquista, ma di chi vende. Una rivoluzione schizofrenica, perché il tassista che si lamenta della concorrenza di Uber potrebbe avere ordinato una cena su Just Eat, avvantaggiandosi comunque dei servizi della Rete. E indietro non si torna.
A questo punto la domanda che ci dobbiamo porre è: come si ricerca il valore aggiunto? E soprattutto, cosa significa? In un’epoca nella quale i nostri gusti, acquisti e comportamenti sono spesso orientati dall’Intelligenza Artificiale, la differenza sta nella capacità dell’essere umano di essere empatico. Le macchine non sono ancora in grado di capire con precisione quali sono i nostri interessi, ecco che il valore aggiunto sta nella consulenza.
L’empatia, dunque, come costellazione alla quale guardare per trovare punti di riferimento: occorrono altri punti cardinali e bisogna mettere in conto di poter fare errori, ma bisogna essere preparati. In questo nuovo mondo, in cui nessuno si salva da solo, devono vincere competenza e merito, soprattutto dei leader. Qualsiasi riferimento al passato è fuorviante e pericoloso: la terra incognita presuppone la capacità e la volontà di guardare al nuovo mondo con gli occhi dei nostri figli, che un mondo diverso non l’hanno mai conosciuto.
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