Lavorare (un giorno in) meno per reagire alla crisi
Tra bassa produttività e la pandemia che obbliga a ripensare le risorse, si torna a parlare di four-day week.
Di fronte alla crisi economica innescata dalla pandemia, molte imprese hanno saputo rimboccarsi le maniche e lavorare sodo ancor più di prima. Non tutte, però, sono state nelle condizioni di mantenere lo stesso carico di lavoro né le stesse condizioni retributive per i propri dipendenti. E se questa volta la risposta migliore alla crisi non fosse lavorare di più, ma… di meno?
Sembra andare in questa direzione l’esperienza di Target Publishing, editore inglese indipendente. La società che pubblica 20 diverse testate, da Natural Lifestyle a Health Food Business, dopo il primo lockdown ha dovuto tagliare del 20% lo stipendio del suo staff e ha deciso perciò di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni, come contropartita del sacrificio richiesto ai dipendenti.
Come ha raccontato al The Guardian il fondatore e proprietario della società David Cann, il cambiamento ha portato benefici immediati: le riunioni sono diventate più veloci, le persone hanno lavorato in modo più efficace e produttivo e i risultati sono stati raggiunti in più breve tempo. Tanto che a luglio 2020, quando la situazione è migliorata, la società è stata in grado di ripristinare la retribuzione originaria per tutti i dipendenti, mantenendo la settimana ‘corta’.
Alla fine di novembre 2020, un endorsement significativo a favore della campagna che da tempo sostiene la four-day week è arrivato da Unilever. Dal 7 dicembre 2020, infatti, tutti i dipendenti neozelandesi della società lavorano un giorno in meno alla settimana, continuando a percepire lo stesso stipendio. Una settimana dopo quell’annuncio, anche la compagnia di online marketing Awin ha comunicato la decisione di voler consentire ai suoi mille dipendenti di lavorare quattro giorni su sette.
Aidan Harper, sostenitore della settimana corta insieme con i colleghi del think tank New Economics Foundation (NEF) e co-autore del libro The case for a four-day week, è convinto che sia ormai arrivato il tempo di porre il tema all’ordine del giorno. Secondo Harper, se durante la maggior parte del XX secolo, le imprese sono state indotte dai sindacati, dalla politica o dalla carenza di manodopera a distribuire ai lavoratori una fetta dei guadagni ottenuti in termini di produttività, a partire dagli Anni 80 questa redistribuzione è cessata.
Oggi, con un tasso di crescita della produttività rimasto vicino a zero sin dalla crisi economica del 2008 e con la pandemia che sta forzando le imprese a ripensare il modo in cui utilizzano le proprie risorse, le aspettative di cambiamento stanno crescendo e potrebbero andare proprio nella direzione di ridurre i giorni di lavoro a parità di stipendio. Per lavorare meno e produrre di più.
Fonte: The Guardian
Articolo a cura di
Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom – Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE.
Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.
produttività, settimana corta, Covid, four day week