La C-suite si ricorda delle persone
Il 63% degli executive italiani, con l’avvento del Covid-19, ha introdotto in azienda misure volte a migliorare il work-life balance e il wellbeing dei propri collaboratori. A dichiararlo è l’11esima Global human capital trends survey dal titolo The social enterprise in a world disrupted, ricerca di Deloitte che analizza l’opportunità delle imprese di riprogettare il lavoro, sfruttando la new way of work imposta dalla pandemia e implementando strategie che puntino sul personale.
Per riuscire a reagire alle criticità impreviste affrontandole in modo efficace, infatti, il 78% degli intervistati del nostro Paese (e il 75% a livello mondiale) ha individuato come essenziali le competenze di adattamento e riqualificazione dei loro collaboratori. Una valutazione che spinge la C-suite a studiare un piano strategico flessibile e con focus ‘multi-scenario’ – volto a poter agire in un contesto imprevedibile – ma con una forte connotazione ‘umana’ che sproni lo sviluppo individuale e professionale dei lavoratori, fattore chiave per il cambiamento.
“Le questioni relative al capitale umano non sono più relegate unicamente alle Risorse Umane”, ha affermato Drew Keith, Human Capital Leader Italia di Deloitte. “Durante i momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, il futuro delle aziende è determinato anche dalla capacità della forza lavoro, in particolare sono cruciali collaborazione, creatività, giudizio e flessibilità dei dipendenti”.
Dal wellbeing all’interazione uomo-macchina
Non solo wellbeing, dunque. Per sviluppare le giuste competenze ‘soft’ nei propri collaboratori, incentivando l’aumento di produttività e competitività, le imprese devono investire nel life-long learning e nel reskilling. Così, dopo aver introdotto ‘forzatamente’ il Remote working, che per il 70% dei dirigenti ha significato elevare il livello di benessere dei lavoratori, il 63% ha dichiarato di voler puntare – nei prossimi tre anni – sulla loro digitalizzazione e, soprattutto, sulla ‘partnership’ uomo-macchina.
Dallo studio, infatti, emerge la consapevolezza dei dirigenti verso i vantaggi di una collaborazione sinergica fra lavoratori e tecnologia. Questa cooperazione porterebbe alla creazione di un ‘superteam’ in grado di incrementare innovazione e produttività e, compensando uno le mancanze dell’altro, raggiungere gli obiettivi con maggiore rapidità. “Questa combinazione vincente consentirà di dare maggior spazio alle skill individuali dei lavoratori, oltre a offrire nuove modalità di apprendimento ed execution che consentiranno di conseguire risultati migliori per le aziende, accrescendo al contempo la soddisfazione del singolo”, ha proseguito Keith.
Riqualificazione dei dipendenti a rilento
Nonostante le ammirevoli intenzioni della C-suite, però, solo il 17% degli intervistati ritiene che la propria azienda sia pronta ad affrontare il processo di riqualificazione dei propri dipendenti. E, concentrandosi sul nostro Paese, il dato scende al 9%. Inoltre, i dirigenti hanno identificato l’eccesso di priorità da gestire contemporaneamente e la mancanza di preparazione e di vision per il futuro come ostacoli al cambiamento.
Tuttavia, l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha aumentato vertiginosamente la fiducia dei dirigenti nel dipartimento HR e nelle capacità di gestire il cambiamento nei prossimi tre-cinque anni: il 62% dei rispondenti si dichiara “fiducioso” e il 20% si dichiara “molto fiducioso”. Anche se l’idea di cambiamento dei leader è ancora molto operativa: il miglioramento del benessere dei dipendenti è stato classificato al penultimo posto. Aspetto che conferma quanto ancora non vi sia chiarezza su come progettare l’organizzazione in un futuro incerto e imprevedibile. Quello che è certo, però, è che il benessere dei lavoratori è fondamentale, quale che sia la strada per raggiungerlo.
“Le aziende che integrano il benessere nella progettazione del lavoro a livello individuale, di squadra e organizzativo costruiranno un futuro sostenibile in cui i lavoratori possano lavorare al meglio sentendosi più appagati. La pandemia ci ha mostrato che le strategie di lavoro incentrate sull’uomo non sono solo un nice to have, ma un vero e proprio must have”, ha concluso Keith.