Smart worker con la valigia
Più flessibilità, a ogni costo. La pandemia non ha cambiato solo le abitudini professionali di milioni di lavoratori, ma ha influenzato anche le loro preferenze… abitative. Se prima il legame tra grandi città e prospettive di carriera appariva quasi scontato, adesso lo Smart working ha fatto ricredere in molti. Secondo un’indagine commissionata da Citrix all’istituto di ricerca OnePoll, i lavoratori della conoscenza oggi hanno le idee più chiare e cercano soprattutto flessibilità. A costo persino di tagliarsi parte dello stipendio.
Il 57% degli intervistati prenderebbe, infatti, in considerazione l’idea di trasferirsi da una città a un’area rurale se potesse continuare a lavorare in modo flessibile. Il 76% vorrebbe trasferirsi perché pensa di poter svolgere il proprio lavoro da ovunque. Tre quarti vorrebbero lavorare in maniera più flessibile e da casa. Quasi quattro lavoratori su 10 stanno progettando di trasferirsi altrove, perché a causa della pandemia lavorano esclusivamente da remoto: in una città o Paese più piccolo nella stessa Regione (11%), in una città simile in altra Regione (10%) o addirittura in una città più piccola in uno Stato diverso (6%).
“È un passaggio culturale significativo: si è passati dal vedere il Remote working come qualcosa di difficile da gestire, con tutti i limiti tecnologici, amministrativi e di regolamentazione che portava con sé, al fatto che oggi moltissime persone, i tre quarti dei nostri intervistati, sono convinte di poter lavorare da qualsiasi luogo”, ha sottolineato Fabio Luinetti, Country Manager Italy di Citrix. “Nella nostra azienda abbiamo sempre considerato il lavoro non come un posto fisico, ma come un’attività da poter fare indipendentemente dal dispositivo e dalla location”.
La grande città non è più indispensabile
Prima del lockdown, il 55% dei lavoratori d’ufficio pensava che vivere in una grande città potesse avere un effetto positivo sulle opportunità di carriera. Considerando il tempo presente, invece, solo il 36% lo pensa ancora. Il 45% ora crede che non faccia alcuna differenza e il 13% è convinto che vivere in una grande città abbia addirittura un effetto negativo. “Se prima vivere vicino al posto di lavoro era considerato quasi obbligatorio per avere un’opportunità professionale, oggi non solo non è più necessario, ma si rende anche più democratico l’accesso alle opportunità per chi ha il giusto merito e valore”, ha fatto notare Francesca Parviero, Digital Learning Experience Designer.
Da ex Direttrice delle Risorse Umane, 10 anni di studio del futuro del lavoro alle spalle e grande sostenitrice del design thinking applicato alla vita, Parviero è convinta che la diffusione del Remote working non sia solo un tema economico, ma anche emotivo e di dinamiche sociali rispetto a determinate cerchie di appartenenza. “Nel giro di tre o quattro settimane, 8 milioni di persone hanno potuto lavorare da casa quando prima ciò era considerato impossibile. C’è un tema di legislazione e un tema culturale: le persone che dettano le strategie e i valori di un’azienda e a cascata tutti coloro che operano dentro le aziende sono in grado di comprendere che ciò che conta non è dove lavori, ma come e quanto lavori”.
Il più grande vantaggio del lavoro da casa viene individuato dagli intervistati nella possibilità di utilizzare in maniera produttiva il tempo normalmente destinato al pendolarismo (61%). C’è poi chi ne fa anche una questione di sostenibilità ambientale: il 50% dei lavoratori ritiene che il Remote working riduca in modo significativo le emissioni e aiuti a proteggere l’ambiente. Tra i benefici, anche la possibilità di limitare o ridurre lo stress degli spostamenti (48%), di passare più tempo con la famiglia (42%) e di avere una migliore capacità di concentrazione in un ambiente più tranquillo (39%).
È diffusa, infatti, la percezione che si riesca a ottenere un livello di produttività più alto quando si lavora da casa piuttosto che in ufficio (45%). Solo il 19% degli intervistati afferma di essere più produttivo in ufficio, meno della metà (43%) vorrebbe tornare a lavorare full time una volta che sarà sicuro farlo, anche se potesse continuare a farlo da casa.
Riduzione dello stipendio in cambio di più flessibilità
Tra coloro che stanno progettando di trasferirsi o lo hanno già fatto, come conseguenza del lavoro da remoto, il 37% desidera vivere in luogo più tranquillo, il 36% si sposta attratto dal costo della vita più basso, il 28% attirato dal prezzo più basso di case e affitti e il 24% perché ormai lavora sempre da remoto a causa della pandemia. Il 36% può limitarsi ad andare in ufficio solo una volta a settimana, l’8% una volta al mese.
Ma quanto costa cambiare vita? Più della metà dei lavoratori (53%) accetterebbe o ha già accettato una riduzione di stipendio in cambio di un ruolo al 100% da remoto che permetta di lavorare ovunque. Un terzo degli intervistati arriverebbe fino al 15%, poco più di un decimo fino al 20%. Significativa è anche l’età di quanti sarebbero disposti a sacrificare lo stipendio in cambio di maggiore flessibilità: la prospettiva interessa, com’è naturale, i più giovani, che hanno meno incombenze o una famiglia alle spalle che possa ancora sostenerle. L’idea, infatti, piace al 26% di quanti hanno tra i 18 e i 24 anni, mentre si ferma all’8% tra chi ha dai 45 ai 54 anni.
“Ci sono momenti in cui la società cambia e anche gli equilibri economici all’interno di essa sono destinati a cambiare”, ha concluso Luinetti. “Anche in questo momento legato alla pandemia, è importante riuscire a valorizzare gli elementi positivi e riscoprire un mondo diverso di fare le cose. E noi di Citrix siamo convinti che la tecnologia sia l’elemento abilitante che può consentire cambiamento”.
Articolo a cura di
Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom – Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE.
Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.
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