Chi non si vaccina rischia il posto di lavoro?
Può un’azienda obbligare le sue persone a vaccinarsi? E chi si dovesse rifiutare, rischia il posto? Nonostante la campagna vaccinale prosegua a rilento, sono queste le domande che iniziano a circolare nelle imprese, per capire come agire nei confronti del personale che non vorrà farsi vaccinare.
A un anno esatto dalla diffusione della pandemia di Covid-19, anche nel nostro Paese si è iniziata la somministrazione dei primi vaccini. Una boccata d’ossigeno per molte aziende, che intravedono la possibilità di far tornare a regime la produzione – recuperando il terreno perso nel 2020 – e poter presto rivedere (e magari superare) i numeri pre Coronavirus.
Tuttavia, ci sono persone che si sono apertamente già dichiarate contrarie al vaccino. E dunque resta da capire come le aziende possano agire nei confronti di questi collaboratori e quali provvedimenti è possibile prendere nei loro confronti. A indagare su questo tema è stata una ricerca realizzata a livello globale da Ius Laboris – alleanza internazionale di specialisti in Diritto del Lavoro – insieme con lo studio legale Toffoletto De Luca Tamajo, che ha raccolto l’opinione di 17 Paesi proprio sull’obbligatorietà di vaccinare i lavoratori contro il Covid-19.
Licenziamento solo come estrema ratio (e in casi specifici)
Il primo aspetto emerso dall’indagine è che nessun Paese tra quelli esaminati ha introdotto una legge che impone ai lavoratori di vaccinarsi. In moltissimi Stati – fra cui l’Italia – non è possibile obbligare una persona a sottoporsi a un trattamento sanitario, come ha spiegato anche Aldo Bottini, Partner di Toffoletto De Luca Tamajo.
Tuttavia, se questa è la legge, diversa può essere la prassi, soprattutto alla luce del fatto che ormai le aziende sono chiamate a tamponare i limiti dello Stato, facendosi anche carico della salute dei propri dipendenti. E poi ci sono imprese che operano a contatto con il pubblico – per esempio ospedali e supermercati – e che quindi hanno una responsabilità anche nei confronti di soggetti terzi. Ecco perché il vaccino rappresenta una protezione della collettività, non solo del singolo individuo. Per questo, secondo Bottini, “il datore di lavoro può considerare il lavoratore che non si sottopone alla profilassi temporaneamente non idoneo allo svolgimento della sua mansione perché impossibilitato a renderla in sicurezza, per sé e per gli altri”.
Così, se in molti Paesi il licenziamento per la mancata vaccinazione non è contemplato, in quanto considerato illegittimo (è il caso di Belgio, Repubblica Ceca, Polonia, Lussemburgo, Messico e Argentina), l’azienda può tuttavia decidere di isolare il dipendente che si rifiuta di sottoporsi al trattamento vaccinale, farlo lavorare da remoto, imporre un cambio di mansione o addirittura sospenderlo senza diritto alla retribuzione.
In altri Paesi, fra cui l’Italia, il licenziamento resta un rimedio estremo e valutabile solo dopo aver tentato di applicare tutti gli altri provvedimenti, e che riguarda solo in settori ad alto rischio di contagio. Qualora l’allontanamento dal posto di lavoro si prolunghi, arrecando pregiudizio all’organizzazione, è dunque ipotizzabile un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
L’ipotesi di premiare chi aderisce alla vaccinazione
La ricerca di Ius Laboris ha poi fatto emergere anche un’altra questione che riguarda il trattamento dei dati sanitari dei lavoratori da parte delle aziende. Se in Polonia, Germania e Brasile i datori di lavoro possono accedervi e utilizzare i dati in ogni momento e senza una specifica ragione, in Messico, Repubblica Ceca e Russia è consentito conoscer le informazioni sulle vaccinazioni dei propri dipendenti solo se queste sono necessarie allo svolgimento della mansione; in Italia, invece, come anche in Lussemburgo, le informazioni sanitarie dei lavoratori possono essere gestite esclusivamente dal medico competente per verificarne l’idoneità a svolgere la prestazione.
In questo periodo di forte incertezza, insomma, vige confusione anche dal punto di vista normativo e la soluzione più indicata potrebbe essere quella di inserire la vaccinazione fra i requisiti necessari per accedere alle professioni a contatto con il pubblico. “Alcuni Paesi, soprattutto nel Nord Europa, permettono ai datori di lavoro di destinare un premio ai dipendenti che si sottopongono al vaccino, anche se potrebbe essere considerato un trattamento discriminatorio verso chi, per esempio, non può essere vaccinato”, ha proseguito Bottini, sollevando un’ulteriore questione.
Come possono quindi le aziende giocare un ruolo decisivo in questa situazione? Per evitare di giungere a interventi disciplinari estremi, le imprese dovrebbero, nel loro (nuovo) ruolo di garanti della salute, promuovere una campagna formativa-informativa volta a sensibilizzare i lavoratori sull’importanza di sottoporsi alla vaccinazione anti Covid-19. Ecco, dunque, che spetta (ancora) alle organizzazioni occuparsi della cura delle persone.
Laureata in Scienze Umanistiche per la Comunicazione – percorso del teatro e dello spettacolo – Francesca Albergo ha successivamente conseguito un master in Professioni e Prodotti per l’Editoria. Dopo un’esperienza di cinque anni nelle Risorse Umane – durante i quali non ha mai abbandonato lettura e stesura di testi – la passione per le parole, la scrittura e (soprattutto) la grammatica l’ha portata a riprendere la sua strada, imparando a ‘vivere per lavorare’, come le consigliò un professore al liceo.
Amante della carta e del ‘profumo dei libri’ si è adattata alla frontiera digital dell’Editoria, sviluppando anche competenze nella gestione di CMS. Attualmente collabora in qualità di editor e redattrice con case editrici e portali web.
Nella sua borsa non mancano mai un buon libro, una penna (rigorosamente rossa) e un blocco per gli appunti, perché quando un’idea arriva bisogna esser pronti ad accoglierla.
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