Il blocco dei licenziamenti e i costi (poco noti) del turnover

Le aziende che attendono la finestra per licenziare hanno fatto i conti di quanto costi l’operazione? Si parla spesso dei licenziamenti come la soluzione per togliere ‘zavorra’ alle imprese e consentire loro una rapida ripartenza. Ma al di là delle scelte etiche e umane, il licenziamento porta con sé numerose spese che è bene valutare.

Com’è noto, il blocco dei licenziamenti, con scadenza precedentemente prevista al 31 marzo 2021, è stato prorogato di tre mesi, fino al 30 giugno 2021. Da settimane i media preannunciavano uno scenario apocalittico nel mercato del lavoro, ipotizzando un’ondata di licenziamenti allo scadere della misura adottata con l’arrivo del Covid-19. Ma dopo un anno, il blocco è ancora attivo, anche se la fine della misura è solo rimandata: da luglio 2021 le aziende potranno tornare a ristrutturare il loro organico, anche licenziando.

Il blocco dei licenziamenti, si sa, ha visto posizioni contrapposte: da un lato, i sindacati – con Maurizio Landini, Segretario Generale della Cgil – erano (e restano) a favore della proroga del blocco per tutti; dall’altro, Confindustria sosteneva la necessità di smuovere il mercato del lavoro ormai in paralisi puntando sulle misure per assumere e non per licenziare (il Presidente degli industriali Carlo Bonomi, prima della conferma della proroga, chiedeva la sospensione solo per quelle attività chiuse per decreto). Ma queste posizioni sono più legate al ruolo che sindacati e associazioni datoriali si sono dati piuttosto che ad altro. Vogliamo quindi concentrarci sugli aspetti finanziari connessi alla possibilità o meno di licenziare.

Al di là della narrazione, sovente retorica dei media, non è infatti detto che il licenziamento sia la soluzione salvifica che qualcuno immagina. È vero che alcune aziende stanno studiando un ridimensionamento delle attività, ma è anche vero che molte affrontano la questione con una certa leggerezza, senza valutare con attenzione tutti gli aspetti connessi, in particolare quelli legati al costo dell’operazione. E senza mettere a budget quelli eventualmente necessari per formare nuove risorse (sempre che queste ultime non siano macchine…).

Pianificare e mettere i costi a budget

La prima domanda è come possa un’azienda impostare una strategia senza avere la possibilità di agire sul proprio organico. Ci sono, per la verità, alcune soluzioni già applicabili. Per esempio la proroga del Contratto di espansione promossa con la legge di Bilancio 2021, ampliata a imprese con almeno 250 dipendenti (prima la soglia era 1.000 e successivamente era scesa a 500), risponde a esigenze diversificate delle imprese che necessitano di ristrutturare le attività e i processi interni in un’ottica di progresso e sviluppo.

Questo strumento prevede, infatti, incentivi per la riqualificazione dei lavoratori – associato al Fondo nuove competenze, finanziato con 730 milioni per l’erogazione di contributi destinati alla formazione del personale – e l’alleggerimento degli organici per un cambio generazionale, con l’accompagnamento verso la pensione dei dipendenti più anziani. Dunque, la revisione degli organici è possibile, eppure tiene sempre banco la questione dei licenziamenti.

Rispetto al licenziamento, invece, come suggerisce Valerio Vimercati, Chief Financial Officer (CFO) e Amministratore di Ratinglab, società che offre supporto finanziario professionale alle imprese, serve valutare con attenzione tutti i costi connessi. Dal suo osservatorio di consulente finanziario, l’esperto spiega che mediamente le aziende italiane faticano a pianificare con anticipo la gestione di questi aspetti. Si tratta di costi che si traducono, per esempio, nel pagamento del trattamento di fine rapporto (Tfr) – il cui impatto sulle casse aziendali può essere rilevante, soprattutto se la risorsa ha una lunga anzianità lavorativa in azienda – piuttosto che nella gestione della quota Naspi, l’indennità che spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che perdono involontariamente l’occupazione.

Sebbene non siano cifre esorbitanti, moltiplicate per ogni dipendente potrebbero trasformarsi in un problema di non facile gestione. La questione vale anche per quelle aziende dei settori più colpiti dalla pandemia e dal blocco delle attività: queste imprese usufruiscono della cassa integrazione e permettono ai dipendenti di cumulare mensilmente la quota del Tfr. Dunque, più passa il tempo e più l’eventuale licenziamento rischia di diventare oneroso per l’azienda.

A questi costi, poi, rischiano di aggiungersene altri, come spiega Ernesto Di Seri, Docente a contratto di Diritto per l’Ingegneria all’Università Liuc Carlo Cattaneo di Castellanza e membro del Comitato Scientifico della rivista Sviluppo&Organizzazione (bimestrale edito dalla casa editrice ESTE, editore anche del nostro quotidiano). Il riferimento è ai costi relativi all’impugnativa del licenziamento: il dipendente ha la possibilità di contestare la decisione dell’azienda entro 60 giorni; in questo caso il rischio è di dover mettere a budget le spese della causa oppure per arrivare all’accordo con il dipendente. “A volte l’azienda propone un incentivo al lavoratore per evitare l’impugnativa”, ammette Di Seri. Secondo la sua esperienza, nella maggior parte dei casi la trattativa si conclude con una conciliazione tra datore di lavoro e dipendente, evitando così di ricorrere all’impugnativa.

Simulare gli scenari (per le piccole imprese)

È vero che la Banca d’Italia ha stimato che, in assenza di interventi da parte dello Stato, con l’emergenza i licenziamenti sarebbero aumentati di circa il 30% nel 2020 rispetto gli anni precedenti, arrivando a oltre quota 700mila esuberi. Ma è anche vero che le aziende dovrebbero studiare un piano d’azione specifico e contemplare tutte le possibili variabili implicate prima di prendere determinate decisioni, come appunto quelle che prevedono le fuoriuscite del personale: per esempio, il tipo di dipendente, la struttura organizzativa, le agevolazioni dello Stato, gli incentivi per i nuovi investimenti, il coinvolgimento di nuove tecnologie.

Questo discorso vale soprattutto per le piccole imprese (che in Italia rappresentano la stragrande maggioranza delle aziende); quelle più grandi, solitamente, sono seguite finanziariamente e dunque sono in grado di calcolare preventivamente le spese legate al licenziamento. “Può succedere per le piccole imprese, che organizzano l’intero operato da sé e non sono seguite economicamente da nessun esperto, di non rendersi conto dei costi”, aggiunge Di Seri.

Si ipotizza così che, con adeguate considerazioni, si possa costruire uno scenario in cui fare investimenti costi meno che licenziare. Ma, talvolta, in assenza di analisi specifiche, ecco che le aziende rischiano di assumere decisioni che non tengono conto dell’impatto. “C’è un certo fervore in questa fase. Le aziende dovrebbero simulare degli scenari e fare considerazioni prospettiche a 360 gradi sotto ogni ambito, ma sono restie nel farlo”, commenta Vimercati. Anche perché, in questo periodo storico, concentrandosi sull’avvento del digitale e della tecnologia, da un lato si auspica un efficientamento dei processi, ma dall’altro la situazione del mercato del lavoro subisce delle trasformazioni.

Ma cosa succede se la tecnologia ‘sostituisce’ le persone? Molte aziende stanno valutando concretamente il fatto di sopperire alla forza lavoro umana con la tecnologia; del resto, alcune tipologie di attività possono essere sostituite da macchine, come sembra indicare la Digital transformation; è un processo che risulta inarrestabile, sia nello scenario in cui il blocco dei licenziamenti continui sia nell’ipotesi in cui si arresti. “Talvolta con un investimento cospicuo nelle nuove tecnologie si ha un efficientamento del lavoro importante; le aziende, quindi, non esitano a valutare questa opzione”, conclude Vimercati. Non ci resta che attendere e capire cosa succederà non appena il Governo toglierà il blocco dei licenziamenti.

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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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