Organizzare la comunicazione per lavorare da remoto

Di recente, WhatsApp ha avuto un problema tecnico ed è andato down per circa un’ora. Tanto è bastato a scatenare il panico sul web, perché la stessa sorte è toccata alle altre piattaforme del gruppo, Facebook e Instagram. Queste App di messaggistica e social network sono ormai parte integrante delle nostre vite, non solo a livello personale, ma veicolano anche moltissime informazioni di lavoro. Basti pensare che una sentenza del 2017 del Tribunale di Catania ha stabilito che il licenziamento intimato a un dipendente a mezzo WhatsApp avesse pienamente assolto l’onere della comunicazione in forma scritta.

Tra le criticità maggiormente dibattute in tale senso c’è il tema del diritto alla disconnessione, ovvero se sia lecito o meno che il datore di lavoro pretenda l’esecuzione di prestazioni di lavoro fuori orario, magari inviando attività da svolgere o comunicazioni proprio attraverso i sistemi di messaggistica privati. Questi sistemi di comunicazione smart hanno reso tutti i lavoratori sempre reperibili, sebbene la giurisprudenza fatichi a stare al passo con trasformazioni che, di fatto, hanno già travolto le aziende.

Ancora, è stata considerata giusta causa di licenziamento il fatto che un dipendente avesse denigrato il responsabile via social o in una chat privata, ma condivisa con alcuni colleghi, aprendo il delicato capitolo della digital reputation. Altre sentenze sono state più favorevoli ai dipendenti, come quella che ha stabilito che fosse sufficiente un messaggio su WhatsApp per comunicare al datore di lavoro un’assenza.

Ma sappiamo bene che, in Italia, si applica la civil law e non la common law, per cui queste sentenze, seppure interessanti, non costituiscono precedenti di legge. Ecco perché, anche per evitare problemi più banali come il mal funzionamento di un’App, gli esperti suggeriscono alle aziende di dotarsi di regolamenti e di strumenti idonei alla comunicazione interna. La pandemia da Covid-19, che ha imposto – e impone ancora – a tanti di lavorare da remoto, ha accelerato la necessità di prendere in considerazione la questione.

La comunicazione a distanza e in presenza

Paolo Grotto, Socio Amministratore e Direttore Commerciale di Arket, azienda di software e consulenza per la digitalizzazione dei processi aziendali, si è interrogato proprio sulla necessità di delegare al digitale anche i flussi comunicativi. La mancata presenza dei dipendenti in azienda ha favorito il superamento dei limiti legati alla fisicità. Uno di questi, di solito scarsamente considerato, riguarda i processi comunicativi interni.

“Se consideriamo come sono veicolate le comunicazioni aziendali, prima ancora delle email o dell’intranet, viene in mente la macchinetta del caffè. Molti colleghi usano la pausa per scambiarsi informazioni, talvolta molto importanti, di cui non resta traccia”, osserva Grotto. Ma il coffee time è bene che resti tale solo per le chiacchiere: i processi informativi devono essere codificati, scegliendo modalità, tempi e luoghi opportuni.

Il lavoro da remoto, che non prevede questi momenti di condivisione informale, impone la digitalizzazione e l’organizzazione della comunicazione: chiaramente, le aziende devono essere in grado, in qualche modo, di mantenere comunque i legami interpersonali, limite fondamentale del lavoro a distanza, in cui entrano in gioco non solo gli strumenti messi a disposizione dell’azienda, ma anche la buona volontà delle persone, per sentirsi comunque parte attiva della propria organizzazione, pur operando da casa.

Nell’offrire la propria consulenza, Arket parte dai numeri: rendere misurabile il miglioramento dei singoli processi permette alle aziende di prendere coscienza, in maniera tangibile, del beneficio ottenuto. Infatti, la comunicazione stessa ha valore anche in relazione al tempo: la classica dialettica relatore-uditori non è più credibile. È il momento di lasciar parlare i numeri e i dati. Questi ultimi devono rilevare lo status quo in maniera più oggettiva possibile: ciò è fondamentale perché l’azienda capisca dove intervenire e sappia, poi, quantificare il miglioramento in maniera oggettiva, agendo sul tempo di lavoro delle persone e, quindi, sulla sua qualità.

Arket individua, dunque, alcuni indicatori di performance per ogni obiettivo progettuale, con l’intento di rappresentare efficacemente il vantaggio dell’introduzione di processi digitali, facendo emergere i cosiddetti ‘colli di bottiglia’, ovvero gli ostacoli alla fluidità delle azioni. Un’azienda efficiente, infatti, è quella in cui tutti sanno dove e come reperire informazioni, un’azienda ‘senza carta’, che può quindi passare agevolmente dal lavoro in presenza a quello a distanza senza perdere nulla nel transito. Questa positiva organizzazione, inoltre, lascia meno spazio ai possibili ostacoli raccontati all’inizio.

Una buona comunicazione, dunque, ha un valore anche economico, che si concretizza in un risparmio di tempo e in una più facile reperibilità dei contenuti condivisi: questo permette una migliore qualità del lavoro, che incide positivamente sul benessere dei dipendenti e dei manager.

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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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