Lasciamo il lavoro ai computer

Fin dalla prima scimmia comparsa sul Pianeta abbiamo sempre trovato un modo per svolgere i lavori utili alla nostra sopravvivenza faticando il meno possibile. Abbiamo iniziato utilizzando utensili improvvisati, pietre o bastoni, per poi modellare quelle stesse pietre e bastoni secondo le nostre esigenze. Chissà il clamore generato dal primo ominide che da una selce scheggiata ha tratto una lama da caccia. Le nostre macchine e i computer non sono altro che passi successivi a quella selce scheggiata perché tutta la nostra tecnologia risponde alla necessità di fare qualcosa, con meno fatica possibile e in meno tempo.

Siamo nati animali e fin dall’inizio abbiamo subito la pressione per 24 ore al giorno, per il fatto di essere predatori che cercano di evitare a loro volta di diventare prede, per raccogliere frutti e non farci sorprendere dal coccodrillo nascosto sotto il pelo dell’acqua. La tecnologia ci ha permesso di arrivare ai giorni nostri con la possibilità di dormire sereni nel nostro letto, mangiare ogni giorno senza la preoccupazione del leone nelle vicinanze. Lavoriamo molto meno dei nostri antenati e alcuni di noi operano persino seduti su poltrone in uffici climatizzati; il nostro lavoro è molto meno faticoso, stressante e pericoloso di quello che svolgeva il nostro antenato nei boschi. Che si tratti di caccia, di raccolta di frutti o di mandare delle email, il fine di questi lavori è sempre il solito: sopravvivere.

La tecnologia ha senso se riduce tempi e costi

Con l’avanzare della tecnologia aumenta la possibilità di migliorare ancora di più la nostra condizione, lavorare più comodi e per meno tempo; la tecnologia, in fin dei conti serve proprio a questo: è al nostro servizio per farci vivere meglio. Abbiamo costruito le macchine perché lavorassero per noi, o meglio, per fare il labor, inteso come “sofferenza”, al posto nostro. Abbiamo fatto faticare i buoi e gli asini per secoli, adesso ‘affatichiamo’ i pistoni dei motori a combustione e stiamo per iniziare ad affaticare i motori elettrici che, si spera, saranno più efficienti.

Ogni miglioramento tecnologico ha senso, infatti, solo se è finalizzato al risparmio, sia di tempo sia economico. A questo proposito, un imprenditore cinese particolarmente illuminato e riconosciuto a livello internazionale mi ha detto che la nostra attenzione deve sempre essere rivolta a “fare qualcosa in meno tempo e con meno soldi”: questa è la base di un’azienda di successo che vuole evolversi.

L’uomo è poco efficiente nel lavoro

Il lavoro umano è sopravvalutato e le persone non sono efficienti, sbagliano spesso, si lasciano condizionare dai propri bias, dagli umori, dalla cultura in cui sono cresciute al punto da essere ancora orientate a credere che gli orientali siano più bravi degli occidentali in matematica, anziché ammettere che nella propria cultura –la nostra– chi studia è ‘un secchione’ e che per molti sembra quasi essere un vanto affermare “io di matematica, proprio, non capisco niente”.

L’uomo fisicamente non è efficiente. È un animale molto versatile, ma è debole e lento, e utilizzarlo per lavori manuali è una scelta pessima sotto ogni punto di vista. Ancora peggiore la scelta di utilizzarlo per lavori ripetitivi, perché proprio l’iterazione di un algoritmo è il compito più facile da assegnare a una macchina. Ed è per questo che tiro un sospiro di sollievo ogni volta che trovo una biglietteria o una cassa automatica: dovrò affrontare paletti molto rigidi, ma almeno non dovrò fare i conti con lavoratori svogliati, frustrati, alienati che si sono messi dietro a un vetro con il solo scopo di percepire uno stipendio alla fine del mese.

Non abbiamo bisogno di impiegare persone per stare allo sportello delle poste, alla biglietteria o al casello per tirare su una sbarra, e in un futuro che spero più prossimo non avremo proprio nessun bisogno degli esseri umani. Anche il lavoro creativo, che al momento vede uomini e donne come migliori interpreti in tutto il regno animale può essere appreso da una macchina, non tanto nel creare opere, quanto nel generare le emozioni che le opere ci trasmettono. In fin dei conti le emozioni sono complesse reazioni biologiche a un determinato stimolo, quindi basterebbe che una macchina fosse in grado di analizzare tali reazioni nel nostro corpo per poterle replicare.

Quando ascoltiamo una determinata canzone percepiamo alcune frequenze che scatenano puntuali reazioni; una macchina potrebbe ricomporre le frequenze, anche senza una vera e propria musica, e provocare in noi la stessa reazione piacevole. O spiacevole, a nostra scelta. Reti neurali potranno imparare a comporre musica vera di qualità ben superiore a quella che siamo costretti a subire e che, a pensarci bene, è composta solo per andare alla ricerca del denaro. Le macchine potranno addirittura fornirci musica di qualità e non più solo tormentoni estivi. Inoltre potranno darci le emozioni che il mercato dell’arte attuale non può più regalarci.

Le macchine potranno svolgere qualunque lavoro umano e in breve tempo la tecnologia potrà soppiantare tutti i lavori fisici e ripetitivi: in futuro si potranno soppiantare le persone anche in quelli creativi. In questo momento la nostra sfida è quella di renderci utili, anziché abbandonarci dietro a uno sportello o collegati a un telefono per assistere un cliente che vuole semplicemente bloccare una carta di credito smarrita.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Giugno 2021 della rivista Persone&Conoscenze.
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Luca Frediani

Dopo la laurea in Informatica e un titolo di Campione d’Italia di korfball, Luca Frediani è entrato nel settore lapideo in un’azienda della sua città. Ha imparato il cinese da autodidatta e ha iniziato a occuparsi dei rapporti con i clienti di tutto il mondo –in particolare nel mercato cinese– oltre a coordinare le attività all’interno dell’azienda. Nel tempo che resta scrive romanzi, tra cui un libro che racconta dei suoi viaggi in Oriente.


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