Il Green Pass in azienda divide imprenditori e manager: il sondaggio di PdM

Non è passata inosservata la proposta (seppur interna e non ufficiale) di Confindustria di imporre il Green Pass per entrare in azienda a lavorare. A poche ore dalla lettera circolata tra gli industriali che ha diviso gli imprenditori e al dibattito scatenato, Parole di Management ha lanciato una survey tra i suoi lettori, proponendo la compilazione di un questionario dal titolo Obbligo del Green Pass al lavoro: occasione o ennesima delega alle aziende?

In poche ore l’iniziativa ha riscosso un successo immediato e prevedibile, dimostrando, oltre agli specifici risultati, il fortissimo interesse degli addetti ai lavori riguardo all’idea di Viale dell’Astronomia. Per esigenze di redazione abbiamo scelto di analizzare le opinione espresse mentre i nostri lettori continuavano a rispondere (in poche ore abbiamo raccolto oltre 400 risposte): per il 40% circa si tratta di imprenditori, Direttori Generali e Amministratori Delegati, mentre il 36% lavora nell’ambito delle Risorse Umane e la percentuale restante è composta da manager delle Operations, consulenti e altri ruoli.

L’evidenza è lampante: dal nostro sondaggio, i lettori sono per la maggior parte d’accordo con l’obbligo di Green Pass sul luogo di lavoro (70%), pur non mancando pareri contrari. Tra questi spicca la risposta di Marco Mantovani, Presidente di Locman Spa – una delle più importanti realtà industriali dell’orologeria italiana – che ci ha tenuto a scrivere via mail alla redazione per dire di essere “profondamente contrario a qualunque obbligo di Green Pass”, dando voce a quel 30% di chi alla proposta di Confindustria ha risposto “No” al sondaggio del nostro quotidiano.

Discriminazione, privacy e competenze

Le motivazioni del disaccordo con il Green Pass in azienda sono variegate e riguardano il rischio a cui andrebbe incontro l’azienda in caso di obbligo di vaccino per i dipendenti. C’è chi teme che i collaboratori no vax siano troppi e quindi si finirebbe per perdere troppo personale (un pericolo concreto se pensiamo che uno dei rispondenti lamenta il 40% dei propri lavoratori non vaccinati). Ma c’è anche chi vede Produzione e Amministrazione a rischio perché le persone in presenza sono una necessità che non può essere sopperita applicando lo Smart working (o qualsiasi forma di lavoro da remoto).

Poi c’è chi ritiene che per alcune attività produttive potrebbe essere difficile sostituire personale privo di Green Pass, lasciando intuire la già nota difficoltà di trovare le competenze adatte. Alcuni hanno evidenziato anche la questione privacy, come già fatto dai sindacati che hanno commentato la proposta di Confindustria spiegando che, per legge, non è possibile richiedere ai dipendenti informazioni specifiche sullo stato di salute e che questo diritto del lavoratore è confermato dal garante per la privacy.

“Non esistono un obbligo legislativo di vaccinazione o trattamenti sanitari obbligatori. Potrebbero esserci problemi anti costituzionali”, ha dichiarato qualcuno contrario al Green Pass in azienda. C’è poi chi ha parlato di “illegittima discriminazione”, ma anche di possibili tensioni che potrebbero portare a un cambiamento all’interno dell’ambiente lavorativo, sia orizzontalmente sia verticalmente, con l’obbligo percepito come azione coercitiva delegata alle imprese di fronte all’incapacità del Governo di prendere decisioni. Infine, qualcuno ha fatto notare il rischio insito nella proposta degli industriali: all’obbligatorietà di vaccinazione probabilmente non corrisponderà un’analoga tutela per le aziende, senza un aggravio dei costi.

Anche la proposta di Brunello Cucinelli, Presidente dell’omonima azienda, che ha parlato dell’immunizzazione come di “obbligo morale” dicendosi pronto a lasciare a casa chi non si vaccinerà, garantendo però lo stipendio per sei mesi, non è risultata gradita dai rispondenti. Ma in questo caso, probabilmente, il disappunto è quello dei favorevoli al Green Pass: si dicono infatti contrari al fatto di pagare lo stipendio (per il 45% non dovrebbe nemmeno essere garantito).

La vaccinazione come obbligo morale

In generale, da quanto è emerso dal questionario (anonimo), i vaccinati in azienda sono più del 50%, anche se il 37% dei lettori ha ammesso di non saper rispondere. Alla luce di questo dato, è interessante capire come e perché la gran parte di loro sia d’accordo con il Green Pass, pur rimanendo convinta del fatto che a verificare l’effettiva vaccinazione dei cittadini debba essere il Governo (oltre il 40%), e non le aziende (solo per il 15%).

Le motivazioni del sì riguardano due ambiti. Il primo è produttivo e di sicurezza: sono numerosi coloro che temono che i non vaccinati riportino il Covid in azienda, rischiando di nuovo una chiusura. “Il Green Pass non esclude il rischio, ma sicuramente lo mitiga”, ha dichiarato qualcuno. C’è poi chi intende l’azienda come una piccola comunità, entrando nella sfera morale: “In una comunità occorre rispettare le regole per il bene dell’altro, probabilmente anche fragile. Essere vaccinati è garanzia di tracciamento, indispensabile per chi svolge un attività a contatto con l’altro, ma anche con l’utenza. Occorre arrivare in una situazione in cui il virus sia meno resistente. Tutte le attività dove esiste una promiscuità sono a rischio”. E ancora: “Un’azienda di servizi pubblici ha anche il dovere di tutelare la salute dei cittadini, oltre che quella dei propri dipendenti”.

Tutto questo trova conferma anche sulla questione dell’obbligo morale: a ritenere la vaccinazione un dovere civico necessario per il bene comune è stato il 65% degli intervistati.

Nota metodologica: Il questionario – somministrato attraverso un portale ad accesso volontario – ha coinvolto 411 manager, per la maggior parte appartenente ad aziende del settore Servizi (33%) e Manufacturing (21%); per il 32% si tratta di imprese con meno di 50 dipendenti, ma il 18% ne ha oltre 100, mentre quelle tra 201 e 500 sono state il 17%, contro il 14% delle organizzazioni con 51-100 collaboratori.

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Sara Polotti

Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.

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