Se nella ripartenza ci si dimentica delle madri (e dei padri)

La parità di genere si raggiunge attraverso cambiamenti culturali, i più difficili da innescare, ed erogazioni adeguate da parte delle istituzioni.

Se n’è accorta anche la sindaca di Torino Chiara Appendino che con un post sui social relativo alla sua seconda gravidanza ha ribadito la necessità di misure di welfare che consentano a “ogni donna e ogni uomo di diventare genitori in piena libertà, al riparo da ogni paura, con tutti gli strumenti normativi che uno Stato moderno può mettere a disposizione”. Ottimo che si faccia riferimento al concetto di genitorialità e non ci si limiti solo ad alzare la retorica bandiera della rivendicazione ‘per le donne’ perché l’affare riguarda tutti.

Ottimo che chi ha visibilità e ricopre una posizione istituzionale porti al centro del dibattito temi strategici per la crescita di un intero Paese. Meglio ancora sarebbe se le rivendicazioni arrivassero all’attenzione della pubblica piazza anche per bocca di qualcuno che possa concretamente mettere mano a un bel portafogli per finanziare la causa.

Perché tra i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), quelli destinati esplicitamente a colmare il gender gap occupazionale rappresentano solo il 4% dei quasi 200 miliardi stanziati. Il 57% dei soldi che ci arrivano dall’Europa sono destinati a promuovere il percorso di digitalizzazione e le iniziative del Green deal: entrambi ambiti a prevalenza occupazionale maschile. Dunque, nemmeno per il tramite di altre misure di crescita le donne guadagneranno un briciolo di giustizia di genere in più.

I tassi di occupazione femminile sono quindi destinati a non muoversi troppo da quel 48% (che era 50% solo due anni fa) e a cristallizzarsi ulteriormente come elemento di debolezza strutturale del nostro Paese. Evidentemente non è ancora chiaro che se le donne non lavorano siamo tutti più poveri.

Superare il mito del multitasking

In occasione del Summit del Woman20, il gruppo del G20 dedicato alla parità di genere, la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha dichiarato che l’Ue ha come obiettivo quello di ridurre il divario occupazionale di genere del 50% entro il 2030: “Per raggiungere questo obiettivo le donne hanno bisogno del giusto sostegno. Abbiamo bisogno di pagamenti parentali e congedo parentale per madri e padri. Abbiamo bisogno di offrire maggiore e migliore assistenza all’infanzia. Dobbiamo rafforzare l’assistenza agli anziani”. Precisi ambiti di intervento per i quali è necessario stanziare misure economiche adeguate che ancora una volta non sono arrivate nelle casse dello Stato.

Ancora una volta dovremo andare avanti invocando il mito del multitasking e di quella maledetta Wonder Woman, a suon di ‘se vuoi puoi’ perché ‘se non ce la fai è perché non ti impegni abbastanza’: tutte invocazioni frutto di una cultura pubblica che maschera la propria incapacità di offrire un impianto di welfare degno di questo nome con le mancanze personali dei singoli. Da un affare che dovrebbe essere di competenza pubblica, la questione dell’insuccesso è spostata su un piano personalistico e ridotta ad affare del singolo, legandola a doppio filo alla sua inadeguatezza.

“A troppe di noi è stato detto che dovevamo scegliere tra essere madre e far carriera. Come madre di sette figli e come presidente della Commissione europea mi permetto di dissentire. Ma conosco gli ostacoli che le donne affrontano. Dobbiamo quindi sforzarci di creare le condizioni giuste affinché tutte le donne possano godere di un accesso paritario al mercato del lavoro”. In questa parte del discorso Von der Leyen porta l’attenzione su di sé e porge il fianco ai commenti che si scatenano a livello mediatico: uomini e donne si indignano e sostengono che sia troppo facile dichiarare di aver conciliato carriera e maternità da una posizione certamente economicamente privilegiata. “Certo, con un marito alle spalle che paga tata e colf sono brave tutte!”, o ancora “L’ennesima milionaria che viene a spiegare a noi povere come dovremmo comportarci”.

Si perde insomma di vista il fatto che Von der Leyen si stia impegnando per garantire le stesse possibilità di conciliazione a tutte le donne. Ed è questo il passaggio che avrebbe dovuto fare presa sull’interlocutore, che invece è innegabilmente annebbiato da un bias sessista.

Ancora una volta il focus è stato spostato su un discorso di merito personale che associa in maniera proporzionale la fatica al successo. Soprattutto se ad avere successo sono le donne, il nostro paradigma culturale recrimina loro di aver lasciato indietro qualcosa (normalmente la cura dei figli).

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha di recente dichiarato: “Intendiamo lavorare puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro”. Esattamente la stessa strategia di intenti presentata da Von der Leyen. Mi chiedo perché nessuno si sia permesso di fare domande al nostro Premier circa il suo ruolo di genitore e perché nessuno ne faccia mai ai nostri leader politici uomini.

Qualcuno ha chiesto a Draghi come ha fatto a tirar su i suoi figli mentre era impegnato a far carriera o quante tate avesse assoldato per badare ai ragazzi in sua assenza? Siamo di fronte a una testimonianza di quel sessismo introiettato, di una cultura patriarcale da cui mai ci allontaneremo di un millimetro finché i soldi non arriveranno.

Martina Galbiati cura la rubrica “Risorse Umane e non Umane” sulla rivista Persone&Conoscenze.
Per informazioni sull’acquisto scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

welfare, genitorialità, maternità, Ursula Von der Leyen, Chiara Appendino


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Martina Galbiati

Martina Galbiati è Responsabile Marketing della casa editrice ESTE

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