Non di sola AI vive il recruiter: il ruolo delle intelligenze multiple
Il futuro ruolo del recruiter? Guardare al passato con un occhio rivolto all’innovazione. Prendiamo per esempio la robo-psicologa Susan Calvin, la dottoressa dei robot nata dalla penna di Isaac Asimov il cui ruolo era occuparsi della salute mentale delle macchine: una figura che potrebbe sembrare fantascientifica e arcaica, in realtà incarna bene ciò che il rapporto tra i selezionatori e l’Intelligenza Artificiale (AI) dovrebbe essere. Nell’ambito della selezione del personale, il recruiter è destinato a diventare una sorta di mediatore tra le soluzioni tecnologiche e il rapporto personale. Perché non c’è AI che tenga: l’apporto umano è indispensabile.
L’esigenza di una mediazione è essenziale. Lo conferma Christian Crotti, Product Sales Manager di nCoreHR, azienda specializzata in soluzioni per il recruting: “Porteresti in azienda un candidato solo perché un computer te l’ha detto, senza sapere come si inserirà nella squadra o quale sarà la sua attitudine?”. Dunque l’AI e il selezionatore devono andare verso la direzione del lavoro di squadra, che divide i compiti e moltiplica il successo. Quindi, la vera domanda è: le macchine e l’umanità sono alleati o nemici?
Considerare le diverse intelligenze del candidato è sempre più necessario
La sfida non è tra AI e umanità, bensì riguarda la collaborazione. “Quando si parla di AI a livello pratico non la si comprende bene e si pensa che ‘ruberà’ il lavoro ai recruiter…”, dice Crotti. Ma prima di parlare di AI e dei suoi effetti sull’occupazione, sarebbe più opportuno inquadrare il concetto di “intelligenza”: “Oggi è intesa quasi esclusivamente come intelligenza logica. Dici ‘programmatore’ e pensi a una persona particolarmente intelligente”, prosegue il manager di nCoreHR. Invece c’è tutta un’intelligenza che spesso dimentichiamo. Anzi, meglio sarebbe parlare di “intelligenze” al plurale: vi sono quella emotiva ed empatica, quella spaziale, quella visiva… “C’è chi è più bravo a fare calcoli, chi a immaginare, chi a scrivere, chi a muoversi”.
Ad avere teorizzato le intelligenze multiple sono diversi studiosi e psicologi, a partire da Howard Gardner, che nel suo libro Frames of mind inquadrava l’intelligenza come un insieme di competenze e capacità peculiari di ogni essere umano, piuttosto che in un determinato modo di ragionare inteso come intelligenza standardizzata. “E poi c’è Daniel Goleman che parla soprattutto di intelligenza emotiva. Lo psicologo statunitense è stato il primo a dire che è la competenza probabilmente più importante, perché se coltivata dà il maggior valore aggiunto”, aggiunge Crotti.
L’intelligenza non è dunque qualcosa di statico ed è ciò che amplifica le possibilità, anche in ambito recruiting: cercare l’intelligenza emotiva ed empatica tra le skill di un candidato può diventare davvero prezioso. Ma spesso non basta affidarsi a un software, perché le sfumature — soprattutto nel caso delle intelligenze diverse da quella logica — sono sottili e solo umanamente rilevabili.
Il fattore umano può superare i problemi dell’AI
Accanto alle sfumature dell’intelligenza, difficilmente intercettabili dalle macchine, è necessario tenere in considerazione gli altri due maggiori problemi dell’AI: i bias e la cosiddetta “black box”. “I data bias sono le discriminazioni a livello di dati causate dalla classificazione errata delle informazioni e spesso fondata sui pregiudizi umani”: spiega il manager di nCoreHR, specificando quindi come gli algoritmi abbiano sempre una base umana e per questo a rischio di errore. “I bias, pregiudizi insiti negli esseri umani, sono riportati nell’algoritmo”.
Per chiarire di cosa si tratti, Crotti propone l’esempio di Amazon. È noto che qualche tempo fa l’internet company più di successo al mondo ha dovuto interrompere l’utilizzo del proprio Applicant tracking system (ATS, un sistema che le Risorse Umane utilizzano per la gestione automatizzata delle candidature durante il recuiting) perché selezionava un numero maggiore di lavoratori bianchi e maschi ritenendoli potenzialmente migliori rispetto a quelli di pelle scura e di sesso femminile. “Questo accadeva perché il sistema teneva conto dell’alto numero di dipendenti bianchi e maschi già impiegati nell’organizzazione”. Insomma, il software non faceva altro che replicare un modello già esistente.
L’altro problema che riguarda le AI è la “black box”, che Crotti semplifica così per individuare una definizione condivisa: “Il programmatore programma il sistema, ma non sa giustificare i risultati dei calcoli della macchina. Quelli sono restituiti sono visibili, ma il processo che porta a essi rimane in larga parte oscuro”.
I successi evidenti dell’AI nel mondo HR restano di certo innegabili; si pensi ai contributi che dà ai recruiter, come l’analisi predittiva — ovvero la possibilità di prevedere quale sarà il miglior candidato — la scrittura automatizzata e precisa delle job position per attirare più candidati, l’aiuto e l’accompagnamento, le video interviste, le analisi sincrone e asincrone, gli assessment… Ma ci sono anche problemi, come abbiamo appena visto. “Gli errori discriminatori su tutti, ma anche quelli di riconoscimento, come per esempio sui gemelli nel caso dei colloqui video oppure sulle grafiche dei curriculum che rischiano di creare difficoltà nell’analisi da parte dei software. Infine, tutti gli strumenti sono spesso pensati per l’inglese e quando parliamo in italiano, francese o spagnolo tutto diventa più complicato”.
Al recruiter, in conclusione, sono utili entrambe le cose: l’AI, ma anche l’intelligenza umana in tutte le sue sfaccettature. Perché solo quando dialogano possono dare un contributo estremamente prezioso, molto più prezioso di quando lavorano singolarmente.
Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.
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