Donne invisibili, anche per i dati
Chiunque, almeno una volta nella vita, si è chiesto (sarebbe meglio dire: “chiesta”) perché nei bagni delle donne ci sia sempre la coda e la stessa cosa non accade per quelli degli uomini. Oppure perché i medici spesso non sono in grado di diagnosticare in tempo un infarto in una donna, ma ci riescono per un uomo. O, ancora, perché gli smartphone sembrano sempre troppo grandi per le mani femminili?
La risposta a queste domande è che la società è costruita a immagine e somiglianza degli uomini, perché questi ricoprono più posizioni di comando rispetto alle donne; quindi le città e i relativi servizi – compresi quelli igienici cui si accennava all’inizio – sono pensati dal punto di vista maschile. La stessa cosa accade con gli smartphone, sviluppati in base alla misura delle mani degli uomini. Infine serve evidenziare che la ricerca medica esclude le donne dai test per una questione di semplificazione.
Partendo da questi casi ed esaminandone moltissimi altri, la giornalista e attivista britannica Caroline Criado Perez ha dato vita a un’indagine che mostra come il vuoto di dati di genere abbia creato un pregiudizio pervasivo e latente che ha un riverbero profondo sulla vita delle donne. È nato da qui il libro Invisibili – come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano (Einaudi, 2020), che numerose testate inglesi e internazionali hanno definito “un’opera magistrale” (The Guardian), “una Bibbia dei nostri tempi” (The New York Times) e “Un libro che tutti i maschi dovrebbero leggere” (Financial Times).
I bias umani sono trasferiti nella tecnologia
Il testo è stato citato di recente da Lucia Scopelliti, HR Organization and Professional Development Director del Comune di Milano, durante il Forum Sviluppo&Organizzazione organizzato dalla casa editrice ESTE e dalla sua omonima rivista. “Anche se siamo nel 2021, metà della popolazione, cioè quella femminile, è ancora sistematicamente ignorata. A testimoniarlo, la sconvolgente assenza di dati disponibili sui corpi, le abitudini e i bisogni femminili”, ha dichiarato la manager, facendo riferimento a un prossimo progetto del Comune di Milano sulle politiche pubbliche e l’impatto sul genere, che deve fare i conti con la mancanza di dati in merito.
“È importante chiarire che l’assenza di dati di genere non è sempre malevola o premeditata: spesso è solo la conseguenza di un modo di pensare che esiste da millenni e che, in un certo senso, è un modo di ‘non pensare’. Gli uomini si danno per scontati e delle donne non si parla neanche”, ha scritto Perez nella prefazione del libro. Ma nella realtà contemporanea i dati (che veicolano informazioni), i numeri, le tecnologie e gli algoritmi sono elementi cruciali nella vita di tutti giorni, e ignorarli quando si parla del mondo femminile per l’autrice può essere pericoloso soprattutto per due aspetti: quello medico per il corpo delle donne e quello sociale per il carico di lavoro non retribuito che grava sulle loro spalle (il 75% a livello globale) e la violenza maschile.
Sono questioni che si ripercuotono in quasi tutti gli ambiti della vita e condizionano le esperienze femminili in molti ambiti, dai trasporti pubblici alla politica, dai luoghi di lavoro agli ambulatori medici. Inoltre, l’Intelligenza Artificiale è programmata dagli esseri umani, quindi è quasi automatico che questi bias siano trasferiti anche a livello tecnologico. Secondo Rachel Tatman, Ricercatrice della Facoltà di Linguistica dell’Università di Washington, per esempio, le probabilità che il software di Google decifri il parlato maschile sono del 70% superiori rispetto a quello femminile. La tesi di Perez è che il vuoto dei dati di genere sia al tempo stesso causa ed effetto di quella sorta di non pensiero che concepisce l’umanità come quasi soltanto maschile, e che raccogliere dati disaggregati sulle donne è il primo passo, ma non l’unico, perché dopo il divario di conoscenza bisogna colmare quello di rappresentanza.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.
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