Team performance

Costruire una cultura per le alte performance

All’interno delle organizzazioni, solo una minoranza delle persone si identifica principalmente come giver (qualcuno che dà) o taker (chi prende, riceve). Gli altri scelgono un terzo stile: il matching. Si tratta, per quest’ultima modalità, di una corrispondenza tra dare e avere. Ma qual è il più produttivo e quale ha più successo? Attraverso ricerche sulle performance e sulla produttività di numerosi professionisti, ho scoperto che i giver erano sovra-rappresentati su entrambi gli estremi: avevano maggiori probabilità di fallire rispetto agli altri due, ma anche più occasioni di avere successo.

A lungo termine i giver tendono a prosperare perché costruiscono più fiducia e capitale sociale, imparano di più dalle persone che li circondano e svolgono costantemente attività che sono al di fuori dei confini del lavoro. Esiste un paradosso secondo cui aiutare gli altri potrebbe far affondare la carriera o aiutare ad accelerarla. Ma quindi, come si costruisce una cultura della generosità produttiva? Come si crea un ambiente in cui ‘chi dà’ è in grado di avere successo e rendere l’organizzazione più efficace nel processo?

A riguardo, il consiglio è quello di seguire quattro passaggi: in primis, bisogna tenere le persone sbagliate lontane, ovvero eliminare i taker in modo da rimanere con persone che si identificano con gli altri due stili, focalizzandosi sui comportamenti che preoccupano di più nell’organizzazione; poi è necessario cambiare il sistema di ricompensa, misurando il contributo dei lavoratori al successo degli altri e migliorando i team; il terzo step è prevenire il burnout e creare un ambiente in cui i giver non provino stress nell’essere d’aiuto; infine serve incoraggiare la ricerca di supporto (questo approccio limita la frustrazione sul posto di lavoro, normalizzando la pratica).

Le organizzazioni dovrebbero misurare il comportamento strategico che fa avanzare le loro mission e che dovrebbe essere valutato, ricompensato, pagato e promosso. In questo modo, si incentivano i taker a spostarsi nella direzione del dare o nella direzione del matching, ricompensando e riconoscendo anche i giver.

Ma come si previene il burnout sul posto di lavoro? La chiave sta nel chiedere aiuto: alcune teorie rivelano che sostenere una persona un giorno alla settimana ha un impatto diverso rispetto a farlo con gruppi di persone. Proprio per questo, per sviluppare ulteriormente una cultura della generosità produttiva, è necessario coltivare la ricerca di appoggio. Le persone devono essere in grado di chiedere e sentirsi vulnerabili e, in qualità di leader, serve far sentire i team a proprio agio; in questo modo, si creano preziosi rapporti di lavoro e ambienti confortevoli. Se tale cultura non è benvenuta, allora si avranno giver frustrati che sarebbero disposti a contribuire e aiutare ma, poiché nessuno risponde al loro bisogno, non possono farlo.

Liberare il pensiero creativo

Per costruire una cultura dell’innovazione e del pensiero originale, i leader dovrebbero diffondere prima di tutto una sicurezza psicologica, incoraggiando coloro che sono bravi a rilevare i problemi, a parlarne apertamente, anche se non hanno le soluzioni. Le organizzazioni che adottano una mentalità “non portarmi problemi, portami soluzioni”, non sentiranno mai parlare di questioni reali che potrebbero essere troppo complesse per essere risolte da una sola persona. Servirebbe capovolgere l’idea della ‘scatola dei suggerimenti’, inventando una ‘scatola dei problemi’ e aumentandone la consapevolezza, non importa quanto grandi o piccoli siano. Questo può influenzare idee creative e innovative.

La creatività e l’innovazione spesso iniziano quando i leader condividono un po’ di più su ciò che stanno cercando di cambiare o su quello in cui stanno migliorando, in modo che i loro team possano affrontare i problemi che riconoscono. Le organizzazioni dovrebbero sviluppare un sistema che consenta la trasparenza, che spesso può essere trascurata nelle impostazioni di gruppo, e devono affrontare tre sfide durante le riunioni di gruppo: la prima è il blocco della produzione, ovvero il fatto che non è possibile parlare tutti in una volta, in quanto porta alla perdita di alcune idee; la seconda riguarda la minaccia dell’ego, che avviene quando, per non sembrare ‘stupidi’, si sta zitti; l’ultima, invece, è la conformità, vale a dire la presenza di un elevato pensiero convergente e scarsità di pensiero divergente.

Le organizzazioni dovrebbero passare dal brainstorming al brainwriting. Fornendo alle persone l’argomento, dando suggerimenti in anticipo e lasciando poi che lavorino in modo indipendente, svilupperanno idee da soli; il leader, poi, può raccoglierle, valutarle e perfezionarle, lavorando come un team per migliorarle. Quando i manager giudicano i pensieri, scelgono di giocare sul sicuro, confrontando i nuovi con quelli vecchi. Ma bisogna trovare persone che stanno al di fuori del dominio principale del leader, quelle che hanno un obiettivo grandangolare e che trovino ragioni per dire di sì invece di no. Il consiglio è di aprirsi a nuovi punti di vista, dedicando cinque minuti a fare brainstorming o avvicinandosi ai colleghi creativi che sono entusiasti di cercare motivi per dire: “Questa idea è diversa, proviamola”. Più possibilità si testano, più se ne avranno di inciampare in qualcosa di più originale e di impatto.

Le abilità cognitive per un mondo in rapida evoluzione

Assumere il potenziale o i rischi di innumerevoli idee originali è qualcosa su cui le organizzazioni tendono a fallire. Invece di supporre, i leader dovrebbero essere aperti a ripensare a come sono strutturate le loro aziende e sfidare vecchie concezioni che potrebbero non essere più attuabili. Spesso i manager tendono ad adottare due mentalità: la prima riguarda il ‘pensare come predicatori’, cioè protendono a credere di aver già trovato la verità sul modo migliore per gestire le loro organizzazioni; la seconda, invece, riflette il ‘pensare come accusa’, respingendo idee e argomenti opposti anche se sono razionali e basati sui dati.

I lavoratori, d’altra parte, tendono ad adottare erroneamente la mentalità di ‘pensare come un politico’, in cui si avvicinano e dicono ai loro responsabili ciò che questi si vogliono sentire dire invece di ciò che credono veramente riguardo una tematica.

Dobbiamo costruire organizzazioni in cui rivalutare è la norma anziché l’eccezione. Poiché viviamo in un mondo in rapida evoluzione, diventiamo velocemente esperti in una realtà che poco dopo non esiste più. Ciò che è servito in passato tratterrà effettivamente in futuro; ma per adattarsi e continuare a crescere come organizzazioni, i leader dovrebbero adottare e rafforzare il seguente insieme di abilità cognitive: ‘pensare come uno scienziato’, dando valore all’umiltà rispetto all’orgoglio e alla curiosità rispetto alla convinzione, circondandosi di persone che sfidano le idee e ascoltando prospettive che permettono di pensare in modo diverso. La seconda abilità si traduce in ‘sapere quello che non si sa’: è importante, in quest’ottica, essere umili riguardo la propria esperienza e conoscenza. Poi, bisogna essere più di un ‘impostore’. Quando ci si sente così, si è nella migliore posizione possibile per diventare uno studente fiducioso, perché si è aperti a nuove idee.

Un’altra capacità è quella di costruire una rete di sfide di persone che sono i critici più attenti, coloro che aiutano a pensare in modo più ampio e danno contributi significativi sul posto di lavoro. I giver sgradevoli, di solito, sono i sostenitori più credibili. Infatti, avere disaccordi produttivi è più efficace nell’aprire le menti degli altri e nel motivarli a ripensare le convinzioni altrui, invece di avere argomenti distruttivi. Infine, è bene riconsiderare le pratiche consolidate, cercandone di migliori, costruendo una cultura dell’apprendimento in cui le persone siano disposte a rinnovarsi. Un buon punto di partenza è misurare non solo i risultati conseguiti, ma anche i processi con cui si sono raggiunti.

Quando le organizzazioni o i leader commettono un errore non è solo questione di sapere se il risultato è quello che volevamo, ma soprattutto, se abbiamo fatto abbastanza ripensamenti lungo la strada. Ponendosi questa domanda, si è in una posizione di gran lunga migliore per adattarsi mentre il mondo intorno cambia.

L’articolo è tratto dall’Executive summary di Adam Grant, relatore di una delle masterclass del WOBI 2021. Durante questo evento, lo psicologo rivela i fattori e le caratteristiche alla base delle culture dalle alte performance, inclusi i tre differenti stili di leadership presenti in tutte le organizzazioni e le migliori pratiche che i leader possono adottare quando si tratta di assunzione, collaborazione, riconoscimento e ricompensa. Per informazioni sull’evento clicca qui

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Adam Grant

Adam Grant è psicologo dell’organizzazione e professore della Wharton School, oltre che una delle menti più brillanti e uno dei consulenti più influenti di oggi. Nel corso della sua carriera ha sviluppato studi pionieristici sulla dinamica del posto di lavoro, formulando idee uniche supportate dalla scienza della gestione basata sui dati e da case study. Il suo approccio altamente razionale è apprezzato dalle organizzazioni che hanno bisogno di capire chi assumere, come mantenere i dipendenti motivati e come costruire una sana cultura del posto di lavoro. Le intuizioni di Grant sono state plasmate in quattro libri di successo: Give and take: a revolutionary approach to success, Originals. How non-conformists change the world, Option B: facing adversity, building resilience, and finding joy e Power Moves. Il suo ultimo libro è Think again: The Power of Knowing What You Don’t Know, pubblicato nel 2021.

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