Oltre la privatizzazione della conoscenza
È difficile pensare al futuro del lavoro e delle organizzazioni senza considerare come possono evolvere nel tempo le modalità di produzione, diffusione e utilizzazione della conoscenza. Per questo, il recente libro di Massimo Florio, La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oligopoli, (Laterza, 2021) ha indubbio rilievo dal punto di vista delle scienze dell’organizzazione.
L’autore parte dalla constatazione di un paradosso che è emerso con la crisi pandemica. In estrema sintesi, si può osservare che “la scienza dei nostri giorni nasce – sotto vari profili – come bene pubblico, ma finisce con l’essere privatizzata”. Il mercato globale non offre risposte adeguate alle sfide più importanti, quelle da cui dipende la nostra vita. Lo abbiamo visto con il coronavirus, che le imprese farmaceutiche non hanno affrontato per tempo con ricerche su antivirali e vaccini, nonostante gli allarmi fossero evidenti da oltre un decennio, ma soltanto quando i Governi hanno offerto enormi sussidi alla ricerca e contratti di acquisto “a scatola chiusa”. È anche il caso del cambiamento climatico, nel cui campo “sappiamo da molto tempo che occorre trovare nuove tecnologie di produzione e consumo compatibili con una radicale svolta ‘verde’, ma le imprese hanno altre priorità, ad esempio l’uso dell’intelligenza artificiale per le auto che si guidano da sé, sistemi ibridi di combustione, auto elettriche”, tutte innovazioni volte a sostenere il mercato dell’automobile più che la transizione a modelli di trasporto radicalmente innovativi; o ancora, vediamo “il crescente potere di mercato e di influenza sulle nostre vite di un oligopolio digitale che sfrutta i dati di tutti per accumulare ricchezza per pochi”.
Gli investimenti delle imprese e i loro tempi “non sono dettati dall’emergenza a medio lungo termine, ma dalla tutela degli interessi a breve termine degli azionisti e dei dirigenti”. Di fronte a questo paradosso, Florio compie un’operazione provocatoria, riproponendo quello strumento dell’impresa pubblica che gli economisti hanno da tempo ritenuto superato. E lo fa in termini nuovi, non certo ideologici, ma sulla base di un’analisi estensiva e molto aggiornata dello stato della scienza e dell’innovazione nei settori destinati ad avere maggiore impatto sul futuro delle società umane.
Generare un ecosistema user friendly nel campo dei servizi digitali
Il percorso del volume si snoda quindi attraverso tappe come “l’analisi dei luoghi della conoscenza, dalla Big science alle infrastrutture di ricerca”, i cambiamenti della ricerca nelle imprese e nell’università, il rapporto tra scienza, diseguaglianza e politiche pubbliche, per addentrarsi poi nelle complesse questioni che attengono al ruolo dell’Europa nei settori più rilevanti e critici proprio per il futuro: “Biomed Europa: i farmaci che nessun altro ci darà”; “Green Europa: scienza e tecnologia per salvare il pianeta”; “Digital Europa: come riprenderci i nostri dati”.
Sulla base di questo impegnativo lavoro di analisi, Florio inserisce le sue proposte nel contesto di una finestra di opportunità per politiche radicalmente innovative, che si stanno aprendo nell’Unione europea e anche in alcune sedi internazionali dove si affrontano problemi globali come quelli del clima e della salute.
La prima proposta riguarda il tema salute e consiste nella “creazione di una infrastruttura di R&S biomedica integrata con l’intero ciclo della ricerca, dello sviluppo, della produzione e della distribuzione di nuovi farmaci”, ma anche estesa a campi di innovazione collegati. Ciò configura un complesso funzionalmente integrato di diversi laboratori che comprendano anche strutture di massimo livello di sicurezza per lo studio di patogeni letali, aperto a interazione e collaborazione con tutte le altre organizzazioni attive in questi campi.
La seconda proposta riguarda una organizzazione europea “che assuma come propria esclusiva missione quella di vincere la sfida scientifica e tecnologica del cambiamento climatico, quindi della transizione energetica e della sostenibilità ambientale dei processi di produzione e consumo”. Questo nuovo organismo o agenzia opererebbe non più attribuendo risorse come oggi avviene a progetti di terzi selezionati mediante bandi competitivi, ma attraverso contratti per lo sviluppo comune di progetti dei quali manterrebbe la proprietà intellettuale in modo da gestirne le ricadute diffusive. In questo modo l’agenzia dovrebbe misurare il proprio successo e insuccesso “in un’ottica che dall’Europa vada all’intero Pianeta”, nell’orizzonte temporale del 2050 già enunciato dalla Commissione europea.
La terza proposta riguarda il monopolio digitale che si potrebbe contrastare attraverso una infrastruttura pubblica in grado di competere con le Tech giant e di offrire servizi che queste non sono al momento interessate a offrire. In questo senso è possibile innestarsi su progetti come Gaia-X, sul quale si stanno confrontando Governi e istituzioni di ricerca, nel senso di una federazione di cloud che convergono nell’adottare comuni protocolli generando un ecosistema user friendly nel campo dei servizi digitali. Si tratta però di andare oltre, costituendo un soggetto sovranazionale europeo, con funzioni non solo di coordinamento, ma dotato a tutti gli effetti di autonomia manageriale, di bilancio, di capitale tangibile e intangibile, di personale dedicato con la missione di creare una piattaforma tecnologica alternativa.
Organizzare per produrre un futuro
Di fatto, in tutti questi campi agenzie e istituzioni pubbliche di varia natura esistono e operano attualmente. Altri progetti sono in fase di definizione e si tratterebbe di fare un ulteriore passo in avanti configurando alcuni poli di riferimento con obiettivi ambiziosi di trasformazione per le problematiche fondamentali oggetto delle tre proposte.
La combinazione di infrastruttura di ricerca e impresa pubblica è la forma che consente di mettere in campo risorse adeguate, non più disperse in una miriade di progetti che non possono fare massa critica rispetto ai budget di ‘chi si intende sfidare’.
Riferimenti ideali possono essere organizzazioni come il Cern di Ginevra, per la fisica delle particelle, o come il Fraunhofer-Gesellschaft, struttura del Governo federale tedesco per la promozione della ricerca applicata e della tecnologia. Sono entità aperte a molteplici forme di collaborazione istituzionalizzata con terze parti, ma dotate di una propria tecnostruttura forte, come fondamento per svolgere un ruolo di indirizzo nel più ampio ecosistema.
Nel presentare le sue coraggiose proposte, Florio si basa su un ragionamento di fondo di carattere prettamente organizzativo. Politiche pubbliche avanzate in campi di grande complessità tecnico-scientifica non possono rivelarsi efficaci se non dispongono di un preciso riferimento in un’organizzazione dotata di forte consistenza, la cui missione e i cui obiettivi possano in sostanza contare su risorse professionali dedicate, sulle quali investire in logica di accumulazione di esperienze e di apprendimento, attraverso il confronto diretto con gli aspetti scientifici e tecnici di maggiore spessore. Questo non può avvenire soltanto distribuendo fondi a organizzazioni che hanno finalità proprie e in genere più limitate, spesso divergenti dal nucleo centrale del problema. Un assetto istituzionale e organizzativo forte è il presupposto anche per il coinvolgimento di altri soggetti nell’ambito degli ecosistemi.
L’autore, con le sue proposte, ci porta quindi al cuore della questione del futuro delle organizzazioni, che consiste proprio nell’organizzare per produrre un futuro nel quale siano affrontati con efficacia i gravi problemi di cui oggi si discute molto senza che si profilino percorsi persuasivi per affrontarli.
Se la scienza, con i suoi vertiginosi sviluppi, è la grande risorsa nella quale si ripongono le maggiori speranze, occorre innervare il mondo che la produce con assetti di governance, strutturali e organizzativi in grado di proporre e sostenere obiettivi di grande valenza strategica e trasformativa. Servono organizzazioni di nuova concezione per realizzare pienamente il grande potenziale degli scienziati, dei tecnologi, dei ricercatori e per attrarre i giovani più capaci verso queste carriere, orientandole più decisamente verso il bene e l’interesse pubblico.
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