Dimissioni

Yolo economy e Great resignation: perché le persone cambiano posto di lavoro

Due sono gli eventi che indicano come il lavoro cambierà nei prossimi anni: da un lato il consolidarsi del trend di un lavoro asincrono, da remoto, all’insegna della Yolo economy (You only live once, teorizzata da Kevin Roose, esperto di innovazione nell’articolo pubblicato il 22 aprile 2021 dal The New York Times e dal titolo “Welcome to the Yolo economy”) e della “The Great resignation” che rappresenta concretamente l’impatto della Yolo economy sulle organizzazioni.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte a due eventi inediti che hanno avuto una accelerazione negli ultimi due anni caratterizzati dalla pandemia. Serve sbrogliare parte della matassa creata dalle interferenze reciproche per individuare un approccio che permetta alle organizzazioni aziendali di cogliere la sfida di una maggiore fidelizzazione dei collaboratori partendo dall’analisi di che cosa può significare per l’impresa dover gestire collaboratori che, in modo più o meno consapevole, condividono l’approccio ‘Yolo’ alla vita professionale.

I giovani vogliono soddisfare le loro passioni

La Yolo economy è una corrente di pensiero sempre più diffusa tra i giovani, soprattutto tra i Millennial. L’impatto sul lavoro e sulle organizzazioni è destinato a vedersi nei prossimi anni, ma già si avvertono le prime avvisaglie in Usa e Regno Unito e, in modo minore, anche in Italia: persone che lasciano il lavoro sicuro per inseguire le opportunità che una situazione di crisi crea.

La Yolo economy si concretizza in uno stile di vita e in un approccio ai processi decisionali, caratterizzato nel prendere decisioni ardite e non temere di esporsi ai rischi che queste comportano. I Millennial che la abbracciano sono maggiormente propensi ad abbandonare il loro lavoro per cercarne un altro più flessibile oppure a lanciare una attività propria – spesso imprenditoriale – che prende le mosse dalle loro passioni e dai loro hobby.

Secondo una indagine di Ipsos su un campione inglese di lavoratori, un terzo dei Millennial afferma che lascerà il lavoro se dovesse tornare in ufficio in modalità full time alla fine della pandemia. Una quota consistente giovani considera i costi economici, psicologici e sociali del rientro in ufficio maggiori di quanto possano essere i benefici. Questa consapevolezza induce una quota consistente di loro a cercare nuove strade.

Il dato raccolto indica in modo sufficientemente chiaro che esiste una relazione tra Yolo economy, Great resignation e necessità di cambiamento permanente delle organizzazioni nonostante le posizioni ufficiali nel Regno Unito, così come in Italia, incoraggino un graduale rientro al posto di lavoro per evitare l’impatto dello Smart-Remote working sulle città e su alcuni settori economici profondamente colpiti dai cambiamenti indotti dall’emergenza Covid.

Nuove esperienze, competenze e priorità

La pandemia ha indotto le persone a ripensare alle priorità a cui attribuire importanza nella pianificazione della propria vita professionale e personale. Le indagini condotte ci dicono che i lavoratori, dopo l’esperienza dello Smart working emergenziale, attribuiscono maggiore importanza al tempo da dedicare alla famiglia e agli amici, ai genitori anziani che hanno problemi di salute e a se stessi.

Molti smart worker si sono tenuti impegnati con corsi online, acquisendo skill diverse da quelle possedute o recuperando gap di competenza spesso nell’ambito IT; altri si sono dedicati ad alcuni hobby o alla famiglia; altri ancora hanno praticato sport e si sono maggiormente presi cura del proprio corpo, il tutto in totale autonomia, tenendo conto delle restrizioni imposte, cercando informazioni utili, coach e personal trainer (spesso sul web) e costruendo relazioni de-materializzate.

Certamente l’emergenza sanitaria ha allenato le persone alla resilienza e le problematiche inedite che il lavoro in remoto comporta hanno reso gli smart worker maggiormente pro-attivi, più orientati al problem solving e information seeker. Il tempo risparmiato con la riduzione dei trasferimenti e l’ottimizzazione dei tempi di lavoro si è tradotto in una gestione più appagante dei tempi di vita.

Dall’interazione tra le esperienze fatte e le competenze acquisite è emersa la consapevolezza che il ritorno al lavoro tradizionale sarebbe potuto essere limitante. Alcuni hanno vissuto il ritorno full time al lavoro come un ‘passo indietro’ e i costi da pagare (viaggi e trasferimenti, la faticosità delle relazioni, il ritorno a un lavoro controllato a vista) sono stati percepiti come un minus. Secondo l’Us Bureau of labor statistics, 4 milioni di americani hanno lasciato il lavoro nel luglio 2021, le dimissioni hanno raggiunto il picco in aprile con un record di 10,9 milioni di posti di lavoro aperti a fine luglio. Alcune statistiche dell’Association for entrepreneurship Usa citate dal Presidente Charles Jackson confermano l’aumento della propensione ad avviare una propria impresa: nel 2020 si è registrato il 24,13% delle domande di avvio d’imprese gestite dai Millennial.

In genere la permanenza in una data impresa, come spiega Antony Klotz, Anthony Klotz, Professore Associato di Management presso la Texas A&M University  è determinata dal fatto che i “i costi di lasciare sono più alti di quelli di restare”: quindi si deve capire quali sono i criteri che i collaboratori utilizzano nella scelta di lasciare la propria azienda, le aspettative mutate e ciò che è considerato davvero importante per restare.

Le ragioni del cambiamento in atto

Esplorare e comprendere le ragioni di questo cambiamento è necessario per rispondere a una domanda che un numero crescente di imprese si pone: come possiamo trattenere i nostri collaboratori, soprattutto quelli capaci e che hanno l’opportunità di lavorare altrove? Le ragioni sono molteplici e generano incertezza per collaboratori e imprese. Le indagini effettuate sulle imprese in Usa da Ian Cook (HBR, settembre 2021) rilevano che i dimissionari sono dipendenti di medio livello e si ha una presenza maggiore di dimissioni volontarie nelle imprese tecnologiche e del settore health care. Di seguito l’analisi più dettagliata.

I tassi di dimissioni sono più alti tra i dipendenti a metà carriera, di età compresa tra 30 e 45 anni, dove si rileva un aumento del 20% rispetto al 2021 delle dimissioni. Il dato conferma la tendenza già osservata negli anni precedenti di una maggiore propensione tra i dipendenti giovani a dimettersi, ma nelle indagini più recenti è rilevato che a fronte di una diminuzione del tasso di dimissioni tra i più giovani (20-25 anni) e i più anziani (Over 65) e una tendenziale stabilità nelle fasce 25-35 anni; il gruppo che registra tassi di dimissioni superiori rispetto al 2020 è quello dei 30-45 anni.

Ma non c’è solo una questiona anagrafica, si rileva anche una differenza tra i diversi settori: mentre le dimissioni sono diminuite nei settori come la Produzione e la Finanza, sono invece aumentate laddove si sono registrati aumenti della domanda a causa del Covid (il settore tecnologico e quello legato alla salute in primis).

L’analisi dei dati raccolti in Usa e Regno Unito permette la formulazione di quattro ipotesi sulle cause del cambiamento in atto. Per prima cosa le imprese hanno assunto o cercato di trattenere persone con più esperienza perché consapevoli che assumere collaboratori con poca esperienza è rischioso in una situazione in cui non è facile formare e orientare la persona. Ciò ha determinato una maggiore domanda per i dipendenti a metà carriera e quindi una maggiore possibilità a cambiare lavoro per questo gruppo di lavoratori.

In secondo luogo, il Covid ha messo in stand by alcune attività di gestione delle risorse umane: dal lato aziendale sono venuti meno i passaggi di categoria e le promozioni, quindi le dimissioni possono essere il risultato di aspettative di crescita frustrate, dall’altro lato, quello dei collaboratori, i dipendenti che se ne volevano andare hanno messo in ‘pausa’ la propria decisione in attesa che il momento diventasse più favorevole al trasferimento in altra azienda.

Una terza ipotesi riguarda lo stress causato dal Covid e dal lavoro in remoto che hanno spinto i lavoratori ad andarsene ridisegnando i propri obiettivi professionali, dopo mesi di elevati carichi di lavoro, pressioni rispetto ai risultati, incertezza e scarsa qualità nella relazione con colleghi e capi, soprattutto nei settori che vedono un aumento della domanda di prodotto-servizio e quindi hanno aumentato la pressione e determinato più frequentemente dei fenomeni di burnout.

Infine, i settori più vivaci (Tecnologico e Salute) hanno un mercato del lavoro più dinamico che permette una crescita maggiore delle persone che ambiscono alla carriera, quindi appartenenti a quelle classi di età in cui si è maturata una buona esperienza e l’ambizione di crescere è più presente

Sintetizzando le ipotesi di lettura dei cambiamenti che vediamo nelle imprese, si può sostenere che le ragioni devono essere ricercate in un mix di condizioni strutturali come il settore di appartenenza dell’impresa e la situazione del mercato del lavoro, situazioni personali-relazionali come la qualità del rapporto con colleghi e capi.

Non meno importante appare però essere l’organizzazione del lavoro e le condizioni organizzative: sistemi incentivanti e percorsi di carriera che siano in grado di cogliere le aspettative dei collaboratori e orientarle, i carichi di lavoro e la pressione sui risultati che possono generare il burnout sono gli aspetti da tenere sotto controllo per evitare che i propri collaboratori maturino la decisione di andarsene.

I cambiamenti che oggi rileviamo nelle imprese sarebbero stati impensabili solo due anni fa ed è necessario un rethinking dell’organizzazione, della catena del valore e una visione del futuro per poter intervenire con cognizione di causa sugli aspetti fondanti l’organizzazione: le relazioni, i processi e le struttura dell’organizzazione per costruire un ambiente di lavoro inclusivo e capace di riconoscere le esigenze dei collaboratori e dare risposte concrete ai bisogni di ricomporre l’esperienza lavorativa con un insieme di esperienze più ampie di vita, in grado di contrastare il fenomeno della Yolo economy anticipando e contenendo le possibili dimissioni.

Leggi la seconda parte dell’articolo “Come le aziende possono affrontare Yolo economy e Great resignation”.

Millennial, burnout, Great resignation, Yolo economy


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Daniela Bandera

Sociologa delle organizzazioni e del lavoro, Daniela Bandera è co-fondatrice dell’Istituto di Ricerche Sociali e di Marketing Nomesis di cui è attualmente Amministratrice Delegata è autrice del libro L’impresa Coevolutiva. Le quattro sfide del management (2019). È ricercatrice e consulente strategica di imprese e istituzioni; è attiva nel mondo associativo femminile: Past President di Ewmd Italia – European women’s management development international network e Co-Responsabile del Gruppo tecnico Le imprenditrici di Confindustria Brescia, si impegna per la crescita delle donne nei ruoli apicali delle organizzazioni.

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