Il Gender pay gap oltre i numeri

I numeri che parlano di discriminazione di genere sul posto di lavoro possono essere un punto di partenza. Ma a questi va affiancata necessariamente l’evoluzione dei modelli organizzativi, che devono mettere al centro competenze e merito. Perché per mandare in pensione le quote rosa e discutere in maniera paritaria la questione salariale, è necessario un cambio culturale. L’obbligo di assumere donne, pur non rappresentando lo strumento ideale per questa evoluzione, in Italia è ancora necessario. I dati, infatti, sono parecchio chiari e non possono essere ignorati. Prendiamo gli occupati in part time involontario, ovvero quello imposto dal datore di lavoro: solo il 6,2% sono uomini, contro il 19,3% delle donne. Oppure i lavori con responsabilità manageriale: secondo i numeri raccolti da Inps, in Italia 168mila posizioni manageriali sono affidate a donne (rappresentando il 28%), mentre ad avere un contratto da dirigente sono solo 22mila donne (il 18% del totale). 

Questo è quanto emerso dal Rapporto annuale dellOsservatorio mercato del lavoro e competenze manageriali di 4.Manager — progetto di Confindustria per monitorare le politiche del lavoro —presentato a Connext 2021 durante lincontro Nuovi orizzonti manageriali, superare il gender gap: facciamo goal per ripartire. Un discorso necessario proprio per la ripartenza, termine che ricorre anche nel titolo: la parità di genere, infatti, porterebbe con sé vantaggi economici non solo il genere femminile, ma per tutta la società italiana. L’impatto economico di queste strategie potrebbe, infatti, essere di grande stimolo: la Banca dItalia stima che, se il tasso di occupazione femminile aumentasse (arrivando al 60%), il Prodotto interno lordo (Pil) crescerebbe del 7%. 

Smart working e genitorialità trainano l’equità 

Ma da dove partire per colmare il divario salariale? Per cominciare con il piede giusto, una buona idea è analizzare gli ultimi mesi: lo Smart working diffusosi in seguito alla pandemia, infatti, si è dimostrato non solo strumento di quella famosa resilienza di cui tanto si è parlato, ma anche pratica utile a mitigare la disparità di genere, mostrando il potenziale della flessibilità. Anche la genitorialità ne ha beneficiato, se non altro in termini di visibilità: se prima era questione privata, ora quest’aspetto della vita di moltissimi lavoratori e lavoratrici sta emergendo sempre di più. E le aziende stesse sembrano essersi attivate per rendere più vivibile la situazione.

E a dimostrarlo sono anche i numeri rilevati da 4.Manager: prendendo in considerazione 673 imprese, ci si è accorti che il 31,1% di esse sta attivando misure significative per favorire l’equilibrio tra vita privata e lavorativa, con strumenti per la formazione, il sostegno alla genitorialità, la parità salariale e quella di genere nei ruoli apicali; azioni concrete che non sono state etichettate come semplice pinkwashing (ovvero la tendenza a vantare pratiche volte a promuovere la parità di genere senza che di fondo ci sia un vero impegno). Un dato che denota crescenti interesse e attenzione sull’argomento: l’anno precedente, infatti, le aziende che adottavano politiche di questo tipo erano solo il 20,5%. 

Per quanto riguarda i giovani e le giovani, secondo Fabiana Dadone, Ministra per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale, anche gli strumenti di conciliazione vita-lavoro sono importanti. “Di solito tutti gli oneri di conciliazione stanno in capo alle donne, ma innovare l’organizzazione del lavoro usando i nuovi strumenti come lo Smart working permetterebbe di accomodare le esigenze di vita personali con quelle lavorative”. La ministra ha messo però in luce una trappola: il lavoro da remoto rischia di restare legato solo alle donne che hanno questo bisogno, diventando modello di welfare. “Se, tuttavia, diventasse strumento di organizzazione risulterebbe attrattivo anche per i giovani”. Tra le proposte del Governo, oltre a quelle già diventate legge (il supporto psicologico a scuola, il raddoppio dei fondi per le politiche giovanili, lo sportello per giovani all’interno dei centri per l’impiego), c’è quella di rendere il ministero un comitato per indagare le politiche di tutti gli altri dicasteri per valutare gli impatti sulle nuove generazioni. Per esempio, la politica pensionistica che, come ha ricordato Dadone, ha conseguenze sui giovani. 

Italia: cinque pilastri per cambiare la cultura aziendale 

Queste azioni rappresentano quindi un primo e buon tassello per promuovere la parità di genere. Ma non bastano. In aggiunta, si è detto durante il convegno, si potrebbero introdurre corsi di diversità e inclusione nei luoghi in cui si formano gli aspiranti manager, a partire dall’università. E, soprattutto, vanno promosse iniziative per cambiare la mentalità e gli stereotipi. “Le competenze delle donne che emergono nella nostra società sono sempre quelle di cura, che peraltro rappresentano spesso il lavoro non pagato casalingo che grava per il 70% sulle spalle delle donne. Dare visibilità alle competenze femminili poco rappresentate è un altro metodo”: l’ha chiarito Gaela Bernini, Segretario Generale di Fondazione Bracco, il cui intento è diffondere la cultura della responsabilità sociale d’impresa. “Prendiamo i media: nei telegiornali, le donne intervistate nel 2015 erano solo il 18%. A parlare di lavoro, economia e società è ancora oggi solo la voce maschile, anche se le donne professioniste e con opinioni ci sono”. La ridotta visibilità delle competenze è quindi un problema. In primis non rappresenta la realtà, poi in questo modo si limitano e nascondono potenziali role model per le nuove generazioni, dal momento che le immagini che passano i media, anche inconsciamente, plasmano la mentalità. 

Se, tuttavia, i media ancora non remano verso la parità di genere, fortunatamente a provarci non sono solo le aziende. Anche il Governo italiano, come anticipato, tenta di prendere la strada giusta (parrebbe): proprio negli ultimi mesi del 2021 ha approvato una legge per colmare il gap attraverso diverse strategie. L’obbligo di redazione di un rapporto sul personale per le aziende con più di 50 dipendenti; la certificazione della parità di genere e il divieto di adottare pratiche discriminatorie che possano mettere in posizione di svantaggio le donne (come per esempio le riunioni serali). Elena Bonetti, Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, l’ha confermato: “Questi sono temi prioritari per l’agenda di Governo, che vuole rendere strutturale il processo di visione e il monitoraggio costante degli obiettivi per la parità di genere, in uno spazio di alleanza e coprogettazione tra istituzioni, imprese, lavoro e società”.

Cinque gli assi principali della strategia governativa: l’attenzione al lavoro femminile, con l’obiettivo di aumentarne qualità e quantità; la questione del gap salariale, che parte da una differenza strutturale di partecipazione al mondo del lavoro; le competenze Stem da valorizzare; la conciliazione vita-lavoro (con la riforma del Family act per sostenere il lavoro femminile con reciprocità e alleanza); e il tema della leadership per sostenere la carriera delle donne. “Infine, c’è da pensare alle politiche di sviluppo partendo dalla natalità, perché se il Paese invecchia tutto perde senso. Ma per aumentare la natalità è necessario migliorare prima di tutto la qualità del lavoro femminile con un sostegno alla maternità e alla paternità”, ha concluso Bonetti.  

Infine, è sempre più chiaro, anche per 4.Manager, che il tema della parità di genere non possa essere più trattato in modo indipendente rispetto alla trasformazione epocale che va verso il raggiungimento della neutralità climatica e la sostenibilità ambientale, economica e sociale. Per tutti gli interlocutori del progetto, l’uguaglianza di genere e gli obiettivi climatici e ambientali si rafforzano a vicenda, nell’ottica di uno sviluppo davvero completo. 

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Sara Polotti

Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.

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