Intelligenza Artificiale

Intelligenza umana e artificiale, generare valore con l’interazione

L’Intelligenza Artificiale (AI) e le sue molteplici applicazioni, in continua evoluzione, stanno destando un interesse crescente, trasversale ai più disparati settori. Al contempo, questa evoluzione è alimentata dall’opportunità e dalla necessità di analizzare e gestire quantità di dati la cui complessità è in continuo aumento. In particolare, nell’ambito aziendale, l’AI promuove nuovi strumenti e tecniche sempre più efficaci in grado di ottimizzare e, a volte, automatizzare specifici processi. In un tale contesto, è possibile pensare ai dati come una risorsa primaria per l’azienda, in grado di generare valore se ‘usata correttamente’, ma al contempo da proteggere e preservare senza intaccare le eventuali informazioni celate in essa.

Le migliorie apportate dall’analisi di grandi moli di dati (Big data), grazie a tecniche di AI, vengono definite in letteratura con il termine di “Business value”, o semplicemente “value” (Gantz e Reinsel, 2011). Tuttavia, questo risulta un processo non deterministico e, nella pratica, spesso non viene eseguito in modo sistematico a causa della mancanza di opportuni metodi di misurazione (Popovič, 2010) e di risorse dedicate. Infatti, i fattori di incertezza nella sua identificazione sono molteplici e, se non adeguatamente riconosciuti, potrebbero portare al fallimento delle iniziative di AI.

Per esempio, la fattibilità di tali progetti, spesso, non è avallata da un iter di intervento chiaro e consolidato capace di quantificare adeguatamente le risorse richieste per lo sviluppo (tempi, costi, servizi, competenze) e le varie fasi implementative. La difficile interpretabilità dei risultati intermedi, nel corso di tali processi, può inoltre limitare un adattamento consapevole delle proprie strategie. Queste criticità sono maggiormente visibili nel caso di iniziative che coinvolgono Machine learning (Ml) e, soprattutto, Deep learning (Dl), dove l’interpretabilità dei risultati, la loro riproducibilità e la spiegabilità sono limitati dagli approcci black box che sottendono tali tecniche.

Frequentemente, quando si parla di AI, si cade nella trappola di farla coincidere con il Dl o con tecniche anche più specifiche: precisiamo quindi che, quando nell’articolo si parlerà di progetti AI, e in particolare della gestione delle incertezze negli stessi, ci si riferirà principalmente a quelle iniziative volte all’analisi dati tramite tecniche di Ml e Dl. L’intento del presente contributo è quindi quello di chiarire alcuni aspetti relativi all’AI nelle sue interazioni con i contesti di impresa e innovazione.

Si parlerà quindi di valore, in riferimento all’adozione di tali strategie, fornendo un breve excursus delle sue definizioni in letteratura e di specifici framework utilizzati per riconoscerlo e definirlo a partire dai Big data. Verranno brevemente analizzate le interazioni tra intelligenza umana e artificiale volte a generare (o incrementare) il valore. Infine, si discuterà come tale relazione possa essere alla base di un nuovo approccio formale al Business value, che sia scalabile e conscio dei succitati fattori di incertezza.

Il Business value: esistenza, pluralità, riconoscibilità

Il tentativo di definire il Business value nell’era dei Big data non è recente: alcuni studiosi (Gantz e Reinsel, 2011) si riferiscono esplicitamente, per la prima volta, al valore associato ai dati e all’opportunità di catturarlo a partire dal ‘caos’, definito come un “swirling vortex”, un insieme sempre crescente di dati di diverse tipologie e senza ordinamento. La discussione sul Business value è proseguita in parallelo allo studio delle caratteristiche distintive dei Big data: l’analista Doug Laney, nel 2001, descrisse i Big data in termini di velocità, varietà e volume, fornendo di fatto la base per una definizione rigorosa e tuttora comunemente riconosciuta sia in ambito scientifico sia aziendale.

A partire dal 2010, sulle orme di Laney, la definizione dei Big data è stata arricchita da ‘nuove v’, e in letteratura è possibile trovarne più di 50 (Hussein, 2020). Le due linee di ricerca relative, rispettivamente, alla caratterizzazione del Business value e dei Big data, si intersecano, dato che il valore è comunemente stato accettato come una delle ‘v’. Nel 2014, gli accademici Muhammad Fahim Uddin e Navarun Gupta (2014) si riferirono al valore come a una “special v”, mettendo in evidenza la natura distintiva di tale attributo, non identificabile come una semplice caratteristica dei dati, bensì un output generato a partire da questi. Similmente, anche altri (Ylijoki e Porras, 2016; Patgiri, 2016) evidenziarono la necessità di due filoni di ricerca distinti, uno legato allo studio dei dati e l’altro al loro utilizzo. In particolare, lo studioso Ripon Patgiri afferma: “Big data = data + value”. Altre posizioni, anche discordanti, sono reperibili in letteratura, a testimonianza di una mancata coerenza di visione: per esempio, Uddin e Gupta (2014) affermano che il vero valore risiede negli occhi dei clienti di aziende di dati.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Gennaio-Febbraio 2022 della rivista Sistemi&Impresa.
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Intelligenza artificiale, Machine learning, Big data, Business value

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