La difficile transizione digitale della Sanità
La pandemia ha accelerato i processi di digitalizzazione in molti settori: non fa eccezione quello della Sanità. Ma l’Healthcare italiano dimostra una certa difficoltà a raccogliere la sfida dell’innovazione tecnologica. A evidenziarlo è stato lo studio di Boston Consulting Group (Bcg), dal titolo Prossimità digitale, così partnership e dati cambiano l’Healthcare italiano, che ha messo in luce i punti critici del settore, partendo dalle questioni che ne domineranno le azioni nella fase post Covid. Tra queste: il cambiamento dei luoghi di cura (prossimità con i pazienti); percorsi sanitari digitali; innovazione continua; maggiori cooperazioni tra gli attori coinvolti; nuovo contributo della Sanità alla società; resilienza e adattabilità dei player che supereranno indenni il particolare periodo storico.
Per prima cosa la ricerca ha stimato il grado di maturità digitale dei quattro player del settore: Providers (chi eroga il servizio, per esempio gli ospedali e i centri diagnostici); Payers (assicuratori della salute, aziende sanitarie locali, broker e società di corporate welfare); Medtech (le aziende di produzione di tecnologie mediche); Pharma (le imprese farmaceutiche). Il risultato? In generale l’Healthcare italiano si trova nel cluster dei “Digital Literate”: il settore ha una visione chiara, strategica e una roadmap definitiva (aspetti che mancano agli “Starter”), ma i suoi attori sono privi delle competenze digitali necessarie per il livello successivo, cioè i “Performer”, che hanno già digitalizzato i processi chiave (ancora più evoluti sono i “Leader”, color che possono essere considerati visionari in questo ambito).
Guardando alle sottocategorie, però, è emerso che il Medtech è quello con il grado di digitalizzazione superiore alla media, perché si posiziona vicino alla soglia dei Digital performance; per assicurazioni e payer c’è una maggiore urgenza nella digitalizzazione, perché sono coinvolti in un mercato più turbolento e sfidante. “È chiaro come l’Healthcare italiano accusi un generale ritardo sul tema della digitalizzazione rispetto alla media globale, ma guardando alle singole realtà emergono anche casi di eccellenza, in grado di affermarsi come best practice a livello europeo”, ha commentato Stefano Cazzaniga, Managing Director e Partner di Bcg.
La nuova frontiera della telemedicina
Tra le innovazioni generate – o accelerate – dalla pandemia c’è la nuova relazione tra medici e pazienti: l’emergenza sanitaria ha aperto un nuovo canale digitale tra queste due figure e durante i due anni dominati dal Covid si sono svolti i primi ‘test’ concreti di telemedicina applicata: nel periodo pandemico, le pratiche di medicina digitale sono cresciute del 21-25% ed è aumentato del 19-23% il numero di pazienti che ha indicato l’intenzione di aumentarne l’uso dopo la fine della pandemia. Tuttavia, al momento, nonostante il Ministero della Salute abbia dato un indirizzo nazionale per l’utilizzo della telemedicina, appena il 3% dei medici ne fa effettivamente uso, mentre il 50% vorrebbe utilizzarla, ma non ha né la formazione né le competenze; di contro, però, l’80% dei camici bianchi utilizza la posta elettronica per comunicare con i pazienti e il 50% si affida ad altri canali digitali, come i messaggi su WhatsApp oppure attraverso gli Sms.
Al di là dei numeri, la ricerca di Bcg ha sottolineato che la telemedicina è una nuova frontiera in grado di: aiutare i malati cronici; aumentare la prevenzione e diminuire le visite in presenza creando così un guadagno di tempo e una diminuzione dei costi per i pazienti e per le strutture; rappresentare una grande opportunità per ampliare la base clienti. Tuttavia, non è considerata un vantaggio per la diagnosi, non potendo sostituire in toto la visita di persona che deve essere effettuata da un medico.
Alla base del potenziale successo della Telemedicina c’è il fatto che non è destinata a ritagliarsi un ruolo ‘sostitutivo’, bensì deve essere considerata complementare e di collaborazione tra le diverse discipline. È chiaro che il momento storico offre la possibilità di costruire un nuovo modo di comunicare, basato in particolare sui modelli digitali. “In Italia abbiamo assistito a un calo del personale sanitario di 46mila persone tra il 2009 e il 2017, di cui 8mila medici e 13mila infermieri; inoltre oggi ci sono solo 87 medici di famiglia ogni 100mila abitanti, di cui la metà andrà in pensione nei prossimi 10 anni. Con la telemedicina saranno più facili le interazioni medico-paziente, ma anche quelle del Pharma con i nuovi medici di base”, ha commentato Silvio Belletti, Managing Director e Partner di Bcg. A rilanciare l’allarme è stato il sindacato dei medici di medicina generale (Fimmg), secondo cui entro il 2024 il 31% dei professionisti andrà in pensione, 38% se si guarda al 2025.
L’Unione europea con il programma Next Generation Eu e il Piano nazionale di ripresa e resilienza hanno messo a disposizione 16 miliardi di euro per la Salute, considerato come il settore da sviluppare, in particolare rispetto alle reti di prossimità, alle strutture e alla telemedicina destinate per l’assistenza sanitaria territoriale, oltre che all’innovazione, ricerca e digitalizzazione del sistema sanitario nazionale. Dei fondi stanziati, 4,4 miliardi di euro è previsto che implementino la Sanità digitale, di cui 1 miliardo è riservato proprio allo sviluppo della Telemedicina.
La collaborazione tra player resta una questione da risolvere
Per realizzare un ecosistema integrato della Salute, però, è fondamentale la collaborazione tra gli attori del settore: secondo lo studio, infatti, le imprese dell’Healthcare puntano, quasi esclusivamente, a collaborare all’interno del proprio settore. Unica eccezione è il Pharma che collabora con i player sanitari, ma limita le collaborazioni fuori dal settore.
Uno degli aspetti su cui c’è una convergenza di interessi alla collaborazione riguarda il percorso dei pazienti – customer journey – che va dalla prevenzione alla diagnosi per poi spingersi alla terapia e al successivo monitoraggio. Il pressing per aggiornare il processo arriva soprattutto delle aziende farmaceutiche che non sempre hanno un controllo oppure un contratto con il paziente. Poi ci sono le sinergie degli attori rispetto all’analisi dei dati: secondo Bcg, l’accelerazione del Fascicolo sanitario elettronico prevista dal Pnrr potrebbe rappresentare un chiaro abilitatore in questo senso, compatibilmente con i vincoli normativi all’utilizzo dei dati.
“A oggi non sembra esserci terreno fertile per lo sviluppo di veri e propri ecosistemi di servizi sanitari, non solo digitali”, ha commentato Lorenzo Positano, Managing Director e Partner di Bcg. “L’interoperabilità dei sistemi e la disponibilità dei dati sono considerati i due principali mattoni sui quali deve costruirsi una solida collaborazione digitale”. Perché questo scenario non si concretizza? Tra le cause c’è il disallineamento degli incentivi. Ma anche la paura di perdere il controllo sul percorso del paziente, perché ogni attore mira a essere il ‘direttore d’orchestra’ dell’ecosistema.
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