Divario salariale e meno opportunità, il lavoro discrimina le persone Lgbtq+
A circa 10 anni di distanza dal conseguimento della laurea, i lavoratori con istruzione universitaria negli Stati Uniti, che si identificano come in una delle categorie Lgbtq+, guadagnano il 22% in meno rispetto ai cisgender eterosessuali: a svelarlo sono i risultati preliminari pubblicati dall’ente di ricerca Social science research network ad aprile 2022. Un anno dopo la laurea, il divario risulta invece essere più contenuto: 12. Questo è solo uno dei tanti studi sulle differenze salariali che colpiscono le persone Lgbtq+; a seconda del modo in cui sono raccolti i dati e di com’è definito l’orientamento sessuale ogni indagine arriva a una cifra leggermente diversa.
All’inizio del 2022 la Human rights campaign foundation (Hrc), la più grande associazione Lgbtq+ degli Usa, ha rilevato che i lavoratori appartenenti a questa comunità guadagnano circa 90 centesimi per ogni dollaro di un lavoratore eterosessuale statunitense medio. Questo divario è sentito in modo più netto da persone di colore, donne e uomini transgender e non binari. I lavoratori Lgbtq+ nativi americani, per esempio, guadagnano 70 centesimi per ogni dollaro del lavoratore medio. Un’analisi globale del 2014, riportata dalla Bbc, ha messo in luce che, in media, gli uomini gay guadagnavano l’11% in meno rispetto agli eterosessuali. Le donne lesbiche, al contrario, guadagnavano il 9% in più rispetto a quelle eterosessuali. Come si spiega, allora questo dato? Per gli esperti può essere attribuito non tanto alla mancanza di discriminazione quanto al reddito che molte donne perdono quando hanno figli.
A pesare sono le prime scelte lavorative
La ricerca mostra poi che il percorso che porta i lavoratori Lgbtq+ verso retribuzioni più basse inizia molto prima che arrivino sul posto di lavoro, a partire dalle scelte fatte negli anni accademici e nella prima vita professionale. Secondo il post dottorando dell’Università di Chicago Marc Folch, che al tema ha dedicato uno studio, è innanzitutto meno probabile che gli studenti Lgbtq+ negli Stati Uniti finiscano la scuola e frequentino l’università. Ottengono infatti risultati peggiori dei loro coetanei e hanno meno probabilità di frequentare il college. Folch ha rilevato che è anche meno probabile che abbiano un lavoro a tempo pieno un anno dopo la laurea e questo indipendentemente dalle caratteristiche demografiche, dal background familiare o dal profilo scolastico.
Una volta che le persone Lgbtq+ entrano nel mondo del lavoro tra i diversi ruoli che occupano c’è una concentrazione insolitamente alta in settori come Psicologia, Giurisprudenza, Assistenza sociale e Insegnamento universitario. Di fronte alla minaccia del pregiudizio fin dalla giovane età, anticipare e leggere le reazioni degli altri è un’abilità innata che integra discipline come la terapia, la formazione, l’urbanistica, la produzione e la direzione. Al contrario, si stima che l’ambito Stem (Scienze, technology, engineering, matemathics) abbia perso fino a 120mila candidati validi a causa degli effetti del pregiudizio anti Lgbtq+. I lavoratori queer, insomma, consciamente o inconsciamente, spesso si tengono alla larga da occupazioni e luoghi di lavoro in cui percepiscono che potrebbero non adattarsi o non essere accolti. La ricerca di Folch ha anche rilevato che hanno maggiori probabilità di indirizzarsi verso occupazioni in cui c’è una percentuale più alta di donne. E questi, in media, tendono ad essere ruoli con stipendi più bassi.
Una battaglia da combattere su più fronti
Diversi studi dimostrano, però, che il divario retributivo è causato anche dalla discriminazione, sia durante la fase di assunzione sia durante la carriera di un lavoratore. In fase di selezione i candidati gay o lesbiche nel Regno Unito hanno il 5% di probabilità in meno di essere convocati a un colloquio rispetto alle persone eterosessuali. Negli Stati Uniti, è più probabile che i datori di lavoro guardino ai curriculum dei candidati che hanno dichiarato il loro orientamento sessuale come gay o lesbica con occhio critico. Una volta assunta, una persona Lgbtq+ su 10 ha affermato di aver subito discriminazioni sul posto di lavoro tra il 2020 e il 2021, indipendentemente dal fatto che fosse stata ignorata per un lavoro, che avesse subito molestie, che gli fosse stata negata una promozione, un aumento oppure che fosse stata esclusa dagli eventi aziendali. Il 9% ha dichiarato di essere stato licenziato a causa del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere.
Al di là dei possibili interventi legislativi a favore delle persone Lgbtq+ che avrebbero effetto anche sulle norme sociali, gli sforzi possono iniziare anche ben prima del posto di lavoro. “I percorsi educativi e professionali devono essere aperti alle persone indipendentemente dal loro orientamento sessuale, così che possano scegliere una carriera appagante, che siano Lgbtq+ o meno”, ha commentato Folch. Dal suo punto di vista questo dovrebbe includere politiche più incisive a favore dell’educazione degli studenti sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere e sull’importanza della diversità. Il percorso richiede un’azione multidisciplinare che potrebbe rendere il mondo del lavoro un posto migliore per tutti.
Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.
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