Caregiver

Welfare digitale per un nuovo sviluppo demografico

La popolazione italiana sta invecchiando sempre di più. Basta osservare l’andamento (in crescita) della domanda di assistenza per persone anziane e non autosufficienti. Secondo l’ultimo Rapporto Cerved, nel 2021 le cure assistenziali private hanno raggiunto il valore di 136 miliardi di euro, pari al 7,8% del Prodotto interno lordo (Pil), con salute e sostegno agli anziani che rappresentano la metà del totale. Se la gran parte delle cure sono sostenute dai privati, assicurazioni e corporate welfare coprono appena l’1,5% dei casi. Serve, infatti, segnalare che non tutti possono accedere a questi servizi, tanto che il 60% delle famiglie con persone non autosufficienti riporta di aver rinunciato agli aiuti per motivi finanziari. È in questo scenario di forti cambiamenti sociodemografici che serve riflettere sul funzionamento dei sistemi di welfare (pubblico, privato e aziendale): in particolare, serve ragionare sulla loro integrazione e sull’effettiva adeguatezza e capacità di rispondere ai bisogni degli anziani e dei loro caregiver.

Un recente studio di Boston Consulting Group (Bcg), multinazionale di consulenza strategica, e Jointly, azienda che promuove un approccio moderno al welfare aziendale volto a migliorare la produttività delle persone e il benessere in azienda – che ha coinvolto più d 12mila dipendenti di aziende in diversi settori con lo scopo di indagare i bisogni dei lavoratori caregiver e di immaginare nuove soluzioni di welfare – oggi quasi una persona su quattro ha più di 65 anni e la maggioranza degli Over 75 convive con una malattia cronica. In pratica, sono quasi 3 milioni le persone con necessità di supporto nelle attività quotidiane. E il welfare pubblico attuale copre solo il 15% della richiesta.

Questo scenario ha condotto a un forte aumento dei caregiver (attualmente sono 7 milioni) che investono fino a 14 ore settimanali nei servizi di cura (vale per il 30% di queste figure). L’impatto economico per accedere ai servizi, d’altra parte, è rilevante: lo studio indica che il 17% spende più di 10mila euro l’anno e in un caso su due sono spese non mediate da assicurazioni, welfare aziendale o sussidi pubblici. Inoltre la ricerca ha fatto emergere che la copertura del fabbisogno da parte del pubblico non è sufficiente: è scelto solo dal 25% dei caregiver, a causa della poca efficienza dei servizi (lentezza nell’erogazione e complessità burocratiche). Tuttavia, anche il sostegno di assicurazioni o del welfare è limitatissimo, perché copre poco più dell’1% della spesa sostenuta.

Non stupisce allora che la metà degli intervistati definisca questa situazione “pesante”, specialmente in termini di tempo e carico mentale: il 56% desidera poter staccare dal lavoro di cura e il 44% lo farebbe anche tramite un sostegno psicologico. L’ambiente di lavoro, inoltre, non aiuta ed è percepito spesso come un limite: il 38% dei caregiver teme che parlare del proprio ruolo possa compromettere la propria carriera e il 23% afferma di non aver ricevuto supporto dopo aver condiviso la propria situazione.

Soluzioni digitali e integrate per il welfare del futuro

Ma non è finita: il welfare aziendale, adottato da molte aziende, è utilizzato solo dal 3% degli intervistati, nonostante la possibilità (almeno teorica) di accedere a un ampio portafoglio di servizi. “Spesso le persone non conoscono le possibilità: c’è un problema sia comunicativo sia di contenuto dell’offerta, che talvolta non è in linea con i bisogni”, è l’opinione di Alessandra Catozzella, Partner di Bcg, durante la presentazione dello studio presso la sede della società di consulenza. Ma il welfare può rappresentare un grande aiuto per le famiglie in difficoltà e per i caregiver (che di fatto svolgono un lavoro non retribuito). “Può avere un impatto importante sul benessere delle famiglie e sulla sostenibilità del sistema socio-assistenziale nel nostro Paese”, ha spiegato Anna Zattoni, Presidente di Jointly.

In questo contesto, è necessario ridefinire un paradigma innovativo per identificare nuove sinergie, sfruttando l’evoluzione digitale degli ultimi due anni. “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) offre una finestra per agire facendo leva sul digitale all’interno di nuovi modelli di servizio sempre più locali e integrati”, ha detto Catozzella. Alla Sanità digitale, all’interno della Missione 6 del Pnrr (Salute), infatti, sono dedicati 4,4 miliardi. La tecnologia – ormai ci è noto – è parte sempre più integrante delle nostre vite e può sostenere i bisogni dei caregiver e dei loro assistiti. Infatti, la pandemia ha accelerato l’uso della tecnologia, dai teleconsulti alla teleriabilitazione. “Un esempio è la telemedicina; modelli di servizio innovativi si uniscono ad App, Intelligenza Artificiale (AI), Smart home, per indirizzare la popolazione verso servizi personalizzabili”, ha proseguito Zattoni.

Lo studio presentato ha fatto riscontrare un aumento dell’interesse verso le soluzioni di residenze per anziani. “In questo caso, l’accompagnamento alla vita quotidiana prevale sull’aspetto puramente medicale e assistenziale”, ha chiarito Catozzella. Ma non solo: è emerso anche un interesse per l’assistenza a domicilio; qui l’attenzione si sposta sui servizi non puramente medicali, perché c’è stato un aumento del 18% nella domanda di proposte non cliniche (consegna di pasti, compagnia, trasporto…).

Le nuove soluzioni proposte beneficerebbero della collaborazione con le assicurazioni e con i provider di welfare. “Qualunque sia il disegno adottato, è certo che la strada della partnership tra attore pubblico e operatori privati può aprire una nuova stagione e costituire una soluzione pragmatica a fronte di fonti di finanziamento pubbliche limitate”, ha continuato la Partner di Bcg. La sfida, ora, è capire come sviluppare strumenti che stimolino il ricorso abituale a questi servizi sul lungo periodo. E individuare un sostegno a un nuovo sviluppo demografico (e socio-economico) del Paese.

welfare aziendale, Boston Consulting Group, Jointly, Welfare pubblico, Anna Zattoni


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Federica Biffi

Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l'uguaglianza, l'inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web. Ha lavorato nell'ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.

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