Il valore dell’esperienza: ci vorrebbe un manager come Scaloni in azienda
Quattro anni e quattro mesi, da agosto 2018 a dicembre 2022. Questo è il tempo che ha impiegato l’allenatore dell’Argentina Lionel Sebastián Scaloni per entrare nella storia del calcio. La vittoria del Mondiale 2022 da parte della Selección (dopo 36 anni dall’ultima volta in Messico) è un’impresa eccezionale, soprattutto alla luce della falsa partenza alla prima partita contro l’Arabia Saudita e al valore della Francia, avversaria data per favorita nella finale. E porta, in particolare, la firma di Scaloni (oltre che di Lionel Messi), riuscito a dare alla squadra un contributo non solo a livello tattico ma, soprattutto, in termini umani, vestendo il ruolo di manager atipico per la storia della formazione argentina.
Se Jorge Sampaoli, il predecessore di Scaloni, aveva fama di essere un sergente di ferro, l’attuale tecnico dell’Albiceleste è stato capace di organizzare il gruppo senza imporre una gerarchia verticistica, adottando uno stile di leadership orizzontale. La sua gestione del gruppo, infatti, sembra quasi rifarsi a modelli di management e leadership aziendale: merito delle esperienze passate del tecnico che più che sui libri di gestione manageriale ha vissuto sul campo varie situazioni che si sono rivelate fondamentali per la vittoria in Qatar.
Gli allenatori del passato come modello di resilienza
Prima di sedersi sulla panchina dell’Argentina, Scaloni è stato un giocatore professionista, che ha diviso la sua carriera principalmente tra Spagna e Italia, con una breve parentesi in Inghilterra oltre agli esordi avvenuti patria. Le gioie con il pallone tra i piedi, però, si sono limitate ai nove anni passati nella Penisola Iberica, dal 1997 al 2006. Le esperienze italiane, vissute con le maglie di Lazio e Atalanta, invece, non hanno portato grandi soddisfazioni a Scaloni – le cui origini gli consentono di avere anche il passaporto italiano – ma sono state fondamentali per lo sviluppo delle sue basi da allenatore.
Stefano Colantuono, Edy Reja e, soprattutto Davide Ballardini sono stati, infatti, i suoi modelli nel periodo trascorso in Italia: Scaloni ha vissuto in prima persona le esperienze di tecnici che hanno dovuto gestire situazioni complicate senza mai tirarsi indietro di fronte a ogni tipo di sfida. Reja, per esempio, in 42 anni di carriera da allenatore è passato sulle panchine di 25 squadre, restando solo in un’occasione per più di due anni nella stessa società (Napoli). Nel caso di Ballardini invece, il ruolo da traghettatore è dimostrato dalle sue molteplici esperienze come tecnico del Genoa (quattro volte in 10 anni). Allo stesso modo, l’allenatore dell’Argentina ha iniziato la sua esperienza con l’Albiceleste con lo sfavore dei pronostici, della stampa e della maggioranza del mondo del calcio: doveva essere un semplice traghettatore – e qui gli esempi a Scaloni appunto non mancavano – invece ha ribaltato le aspettative, facendosi confermare sulla panchina e arrivando a conquistare il più prestigioso dei trofei.
L’ascolto del gruppo e la tutela dell’identità culturale
La gavetta da allenatore, per Scaloni, è iniziata nel 2015, quando ha ottenuto il tesserino da allenatore professionista. La prima squadra allenata è stata una formazione Under 14 di Mallorca: la categoria è di quelle basse, però, per chi ambisce ad allenare un importante club in poco tempo, ma è lì che il tecnico ha iniziato a comprendere il valore del dialogo con i giocatori, in particolare con quelli così giovani. E l’esperienza gli è poi servita in futuro.
Così, al di là della teoria sviluppata attraverso la frequentazione dei corsi da allenatore è affiancata dall’esperienza sul campo, fatta di osservazione e comprensione delle dinamiche umane; è la vicinanza con le persone che fa interiorizzare a Scaloni l’importanza del modello di leadership empatica. L’ascolto e il dialogo sono la base delle relazioni che l’allenatore argentino ha da sempre instaurato con ogni suo giocatore.
Scaloni conosce limiti e potenzialità del gruppo che ha voluto per la spedizione in Qatar e grazie alle sue esperienze, anche di giocatore, è stato in grado di gestire con maestria le dinamiche umane – più che sportive – della squadra. Per esempio, è stata sua la scelta di far alloggiare la nazionale nel campus universitario di Doha, l’unico luogo che aveva a disposizione uno spazio per cucinare l’asado, il tipico piatto argentino di arrosto alla brace. La cura dell’identità culturale ha giocato un ruolo rilevante per il benessere della squadra, capace di reagire anche al ko dell’esordio mondiale.
Il middle manager che media tra il vertice e la base
Tra gli inizi con l’Under 14 e l’Argentina, nel curriculum di Scaloni, ci sono stati due ruoli importanti: è stato vice di Sampaoli prima al Siviglia e poi nella stessa nazionale sudamericana. Durante queste due esperienze, il futuro tecnico campione del mondo si è stabilito all’interno dello spogliatoio in una posizione gerarchica atipica nel mondo del calcio: come un middle manager d’azienda, è stato il tramite tra i giocatori e Sampaoli, mediando e fungendo da canale di comunicazione tra le due parti.
Questo ruolo di anello di congiunzione è stato, in qualche modo, mantenuto anche nell’esperienza da allenatore della Selecciòn. Scaloni non ha però avuto bisogno di delegare al suo vice – guarda caso un altro ex ‘italiano’, quel Walter Samuel ben conosciuto dai romanisti e soprattutto dagli interisti per essere stato tra i protagonisti del Triplete nerazzurro – la relazione con i giocatori, perché si è messo sullo stesso livello di questi ultimi, riconoscendo solo a Messi uno spazio più ampio. Il modello di management orizzontale di Scaloni è declinato anche nel rifiuto di esagerati personalismi: l’allenatore, più di una volta, si è detto a disagio per il soprannome giornalistico affibbiato dai cronisti argentini alla sua nazionale, ribattezzata appunto Scaloneta. E alla fine il modello di leadership di Scaloni ha avuto la meglio. L’immagine che lo vede sollevare la Coppa del Mondo ne è la più chiara testimonianza.
Laureato in Comunicazione e Società presso l’Università degli Studi di Milano, Alessandro Gastaldi ha iniziato il suo percorso all’interno della stampa quasi per caso, già durante gli anni in facoltà. Dopo una prima esperienza nel mondo della cronaca locale, è entrato in ESTE dove si occupa di impresa, tecnologia e Risorse Umane, applicando una lettura sociologica ai temi e tentando, invano, di evitare quella politica. Dedica il suo tempo libero allo sport, alla musica e alla montagna.
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