Il terreno della vera sostenibilità
Resilienza, digitalizzazione, sostenibilità. Parole inflazionate e, dunque, abusate, ma strettamente legate fra loro: in quest’era segnata dalla complessità e dall’incertezza, nessuna impresa può essere sostenibile se non avvia la propria trasformazione digitale e se non è capace di mostrare resilienza davanti ai capricci del mercato e ai colpi bassi degli imprevisti e degli improvvisi cambiamenti di scenario. Ma “sostenibilità” è parola così estesa da non potersi racchiudere in una definizione, perché tutto determina la sostenibilità: non può limitarsi al prodotto, all’uso delle risorse, al rispetto dell’equilibrio ecologico del Pianeta. Essere impresa sostenibile significa generare valore oltre il presente, comportando una scelta a tal punto radicale e impegnativa da rovesciare le attuali logiche aziendali: abbandonare la logica del breve periodo, quella della soddisfazione delle aspettative finanziarie trimestrali degli azionisti, per abbracciare invece quella del lungo periodo, della soddisfazione di tutti gli stakeholder, oltre l’azionista: clienti, dipendenti, fornitori, territorio, cui si aggiunge lo stakeholder Terra, il più importante.
Allora un punto diventa chiaro: non puoi essere sostenibile se ti limiti al prodotto e non applichi il modello in tutti i tuoi processi, cioè al modo in cui fai le cose e, dunque, sei. Gli indicatori Environment, Social, Governance (ESG) appaiono sbiaditi e incapienti se non li inseriamo nel quadro di una gestione totale della sostenibilità: Total sostenibility management (TSM), potremmo definirla, associandola ai princìpi del Total quality management che già dovrebbero essere nel Dna di ogni azienda che si rispetti.
Che vuol dire tutto ciò? Semplicemente che è tutta la catena del valore a essere coinvolta lungo il ciclo di vita del nostro prodotto: da come acquisiamo un cliente, a come lo coinvolgiamo nell’esecuzione (gli diciamo come stanno le cose in ogni fase di avanzamento dell’ordine?), a come progettiamo un prodotto che deve nascere già sostenibile, a come acquisiamo le forniture (da aziende a loro volta sostenibili?), a come amministriamo il conto economico (a quale tipo di banche ci rivolgiamo?), a come rendiamo sostenibili la logistica e la manutenzione (a chi affidiamo la distribuzione dei nostri prodotti?), fino ad includere la gestione delle risorse umane.
La domanda allora diventa: cosa intendiamo per “risorse umane sostenibili”? E qui fioccano interrogativi che pesano come macigni sulla cultura d’impresa. Innanzitutto, ci chiediamo se possano essere considerate sostenibili risorse umane che, al pari di ogni altra commodity, si usano per il tempo che servono e nei modi più fluidi, pronti a disfarsene non appena lo spettro della crisi si affaccia in azienda. Troveremo mai una risposta alla domanda di come si concilia il valore del lavoro e l’esaltazione dei talenti umani con la gestione ossessiva dei costi e la riduzione dell’occupazione indotta dalle nuove tecnologie?
Un’indicazione importante arriva dallo psicologo Pietro Trabucchi: “Dobbiamo farci carico della nostra motivazione” e alla stregua dei giardinieri, cercare di “creare un ambiente favorevole a quella degli altri”. L’impresa sostenibile richiede necessariamente di creare e coltivare un contesto favorevole allo sviluppo della motivazione, senza il quale le persone sono destinate a non investire nella propria crescita personale e professionale, a non mantenere la epropria capacità di aggiornarsi e di tenere il passo del cambiamento, a non perseverare nella propria determinazione anche in assenza di ricompense o in presenza di avversità come il rischio di perdita del posto di lavoro.
Nell’ambito dei parametri ESG l’indicatore “G” appare determinante per un’effettiva valutazione di sostenibilità: deve misurare se la Governance è basata sulla trasparenza dei criteri di promozione e di retribuzione del personale, senza dei quali il “terreno del giardiniere” non può produrre frutti; è quello cui è affidata la misura di quanto la cultura dell’apprendimento dall’errore effettivamente prevalga su quella della colpa, e di quanto l’azienda applichi al fattore umano la stessa attenzione riservata al prodotto.
Non c’è dubbio che la direzione indicata dalla sostenibilità apra nuovi scenari non solo nelle scelte produttive, nella selezione delle materie prime, nella progettazione di processi compatibili con il rispetto del Pianeta, ma necessariamente anche negli stili gestionali, nell’etica d’impresa, nel suo sistema di valori.
Saranno i consumatori finali gli arbitri di queste sfide: consumatori temperati dalla consapevolezza dei cambiamenti climatici e dell’uso delle risorse, divenuti più esigenti e sensibili all’integrità e all’etica dell’azienda, all’uso che effettivamente fa di risorse (umane e non) e tecnologia. Perché tutto questo è dentro il prodotto che essi acquisteranno e, a differenza della felicità, sarà ben visibile agli occhi.
Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale.
Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale – prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016).
Cura la rubrica “Impresa Imperfetta” sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).
risorse umane, sostenibilità, ESG, governance