Superbonus, la fine dell’illusione della ripresa economica
Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è stato chiaro, parlando delle misure adottate sul Superbonus: “Sono tese a chiudere definitivamente l’eccessiva generosità”. Questa è la sintesi dell’iniziativa governativa sull’incentivazione edilizia introdotta a maggio 2020. Ma, forse, non siamo tutti ben consapevoli che il costo finanziario del Superbonus è quasi uguale a quello del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La qual cosa potrebbe portarci a fare interessanti considerazioni sul come sono stati gestiti politicamente questi fondi. Ma restiamo ai fatti, facendo ragionamenti molto semplici. Anche accettando che il merito dell’aumento del Prodotto interno lordo (Pil) del 2022 e 2023 sia stato tutto del Superbonus – come sostenuto da alcuni partiti e da coloro che hanno argomentato a loro favore – facciamo alcune considerazioni elementari (quindi non serve scomodare esperti in economia).
L’aumento di Pil reale nel 2022 è stato pari al 3,7%, nel 2023 allo 0,9% (dati Istat). In totale +4.6% (circa 87 miliardi di euro) a fronte di un costo per lo stato per il Superbonus di 200 miliardi (più del 10% del Pil). Quindi, come sostenuto da molti (me compreso) fin dall’inizio, gli aumenti di Pil di questi due anni sono stati fittizi, cioè ottenuti con soldi immessi a debito da parte dello Stato. In realtà quest’ultimo dovrebbe aver recuperato l’Iva del 10% del costo dei lavori edili effettuati, quindi il costo reale dovrebbe attestarsi sui 180 miliardi di euro. Comunque, senza quei 200 miliardi di finanziamento, l’aumento di Pil reale risulterebbe inferiore del 10% in due anni. Sarebbe cioè negativo e non di poco (-5,4%).
Tale trend conferma il continuo smottamento della capacità strutturale di Pil reale del nostro sistema economico (in continuo calo dal 2008). Anche le attuali performance del nostro Paese, che sembrerebbero migliori di altri, sono in realtà inficiate dal fatto che noi abbiamo immesso i miliardi del Superbonus, e parte di quelli del Pnrr (siamo il Paese che ha avuto il maggior importo e l’unico ad aver usato il Superbonus). Le performance non sono quindi reali miglioramenti dell’economia italiana, in quanto non corrispondono ad aumenti di capacità di Pil, ma semplicemente una sorta di ‘giro conto’: dalle casse dello Stato ai fatturati delle aziende.
La necessità di un cambio di strategia sull’economia
Tutti gli aumenti di Pil ottenuti con finanziamenti immessi dallo Stato, nascondono il nostro grande vero problema: il Pil reale effettivo è in continuo calo e continuiamo a non volerlo ammettere. Non riusciamo (o non vogliamo) così a concludere che occorre un cambiamento radicale nei nostri paradigmi economici e di business. Possiamo ora solo sperare che il Pnrr, che vale circa 200 miliardi come il Superbonus, non abbia gli stessi effetti effimeri. Speriamo cioè che non funzioni anche esso da copertura del continuo calo reale della nostra capacità economica.
Purtroppo la stessa Commissione europea stima che da noi solo il 25% dei finanziamenti Pnrr si tradurrà in aumento di Pil. Come mai non abbiamo privilegiato progetti capaci di avere un maggior effetto sulla capacità di Pil? Continuo a pensare che anche i politici che decidono per noi non abbiano ben chiara la differenza fra azioni che aumentano solamente il Pil dell’anno e quelle che invece generano capacità di aumento ripetibile dello stesso.
Ulteriore puntuale e parziale considerazione: non sarebbe stato meglio spendere quei 200 miliardi del Superbonus nella sanità o a sostegno della povertà, invece che nelle facciate dei palazzi o almeno nell’edilizia pubblica (ospedali, scuole, ecc..)? Se poi si considera quali sono stati i partiti promotori e sostenitori del Superbonus – in genere molto orientati ideologicamente nelle loro proposte – la cosa risulta quasi sorprendente.
Pil Italia, Giancarlo Giorgetti, Superbonus