Vita-lavoro, (s)balance già ai tempi di Kafka
La sensibilità di Franz Kafka – nel 2024 ricorrono i 100 anni dalla morte – per i temi dell’organizzazione e del lavoro non è probabilmente scollegata dalla sua esperienza professionale. Egli non fu infatti un semplice impiegato, come altri scrittori quali Italo Svevo e Fernando Pessoa, ma un funzionario molto vicino ai vertici dell’Istituto di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di Praga, che ai tempi della sua assunzione, nel 1908, impiegava oltre 200 knowledge worker, matematici, giuristi, ingegneri, medici e altri impiegati, destinati a crescere ulteriormente negli anni successivi.
Giovane e brillante giurista, Kafka ebbe subito incarichi importanti in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di classificazione dei rischi; scrisse documenti e relazioni, gestì controversie giudiziarie, partecipò alla riorganizzazione dell’istituto, elaborò proposte di riforma. Il fatto di essere ebreo limitò la sua carriera formale e retributiva, ma le sue capacità trovarono pieno utilizzo in un ente che operava alla frontiera dell’innovazione sociale. La raccolta dei suoi ‘scritti di ufficio’, redatti nell’assolvimento dei suoi compiti professionali, rende conto del suo profondo interessamento alle problematiche, anche tecniche, del lavoro industriale e delle misure di sicurezza.
Sappiamo che Kafka si lamentava dell’impossibilità di conciliare l’attività di scrittura e l’ufficio, perché la prima ha il suo centro di gravità nello scavare in profondità, mentre il secondo insiste sulla superficie della vita. Peraltro, il confronto condotto tra i suoi scritti di ufficio e i romanzi evidenziano come questi ultimi contengano spesso descrizioni che si valgono certamente dell’esperienza maturata nell’attività professionale.
La stretta relazione tra la vita d’ufficio e quella privata
C’è quindi una reciproca risonanza tra il Kafka funzionario e il Kafka scrittore. Nell’epoca in cui Max Weber teorizza la burocratizzazione come nuova logica strumentale che abbraccia ogni attività sociale con i suoi apparati gerarchici, con l’onnipresenza ubiqua e inquietante di regole, procedure e fascicoli, con il continuo processare di dati, Kafka rivela che la fredda razionalità è una maschera che nasconde una realtà in parte diversa. Le stesse gerarchie di potere non sono immuni da relazioni affettive e dall’affacciarsi di interessi di varia natura; di fatto, il superiore nella gerarchia non è anonimo e impersonale, mentre la macchina dell’ufficio è animata e pervasa da sentimenti e relazioni affettive.
Le due facce della burocrazia, quella relazionale e quella impersonale, sono indistinguibili. Questo distacco da Weber, con la concezione dell’ufficio come realtà vitale, prelude a una capacità anticipativa di enorme significato, rispetto a problematiche che emergeranno molto più tardi. È il caso di un’osservazione riferita ancora al protagonista de Il castello: “Da nessuna altra parte, K aveva visto vita e ufficio tanto interconnessi come lo erano qui, così interconnessi che qualche volta sembrava che ufficio e vita si fossero scambiati i posti”.
SCARICA L’ARTICOLO COMPLETO “Tra inferno e paradiso. America” a cura di Gianfranco Rebora
work life balance, burocrazia, Kafka lavoro