Renzi

La lenta agonia del Jobs Act

Povero “Tutele crescenti”. Tutti contro di lui. Da un lato la Corte costituzionale ne ha più volte minato la struttura giuridica intervenendo su uno dei punti cardine del Jobs Act, partendo dalla sentenza numero 194 del 2018 che, per prima, ne ha dissacrato la ratio del disposto normativo ritenendo non costituzionale l’automatismo anzianità uguale risarcimento del danno, quindi eliminando la valutazione soggettiva della magistratura. Le successive sentenze, solo nell’anno 2024 ne contiamo cinque, aggiungono dei colpi di martelletto ai lati della norma introdotta dal Jobs Act nel 2015 che, oramai, non sta più in piedi. Dall’altro lato non dobbiamo dimenticarci che anche le parti sociali non sono rimaste a guardare. Come noto, la Cgil ha raccolto e ottenuto un numero sufficiente di firme per uno dei quattro quesiti referendari che vorrebbe abrogare completamente il contratto a “tutele crescenti”, inneggiando a una reintegra per tutti che, in ogni caso, non risulta giuridicamente sostenibile, attesa la presenza della riforma Fornero.

Orami ridotto all’ombra di sé stesso, il Jobs Act dei licenziamenti merita sicuramente una revisione. Ma quale? Per prima cosa dobbiamo considerare come nessun legislatore sia particolarmente interessato ad affrontare un tema del genere. Dal punto di vista politico, la disciplina dei licenziamenti è un tema scottante, divisivo e complesso che non ha ‘affascinato’ gli Esecutivi dal 2018 a oggi, nonostante fosse chiarissimo come, dopo la prima censura costituzionale, si dovesse procedere a lanciare il cuore oltre l’ostacolo (o ad assumersi la responsabilità di modificare l’assetto normativo). Oggi più che mai, dopo le ennesime pronunce a cura del Giudice delle leggi e visto l’arrivo di un referendum sul lavoro (promosso dalla Cgil per il 2025) la cui sola esistenza funge da monito a chi governa, bisogna rimboccarsi le maniche.

Il contesto è cambiato, deve cambiare la legge

Siamo alle porte di un inteso periodo di rivoluzioni organizzative determinate dall’introduzione, che ci piaccia o meno, di processi rivisti o mediati delle Intelligenze Artificiali. Una parte del mondo del lavoro che noi supponiamo di conoscere verrà sicuramente travolto in modo frontale e non possiamo far finta che queste determinazioni non impatteranno, vedremo come, sulla tenuta della forza lavoro (e quindi anche sui licenziamenti che ne potranno derivare). Un legislatore attento non può non considerare questi aspetti e cercare, nel rispetto di quella che potrebbe esserne l’inclinazione politica, di trovare un giusto connubio tra tutela dei diritti dei lavoratori ed interessi dell’impresa.

Visto che l’abbiamo citata, parliamo di impresa. Negli ultimi anni si sta assistendo allo sviluppo di una cultura della retention e all’attraction quali conseguenze della mancanza di personale. La visione storica dell’azienda come padronale (per alcuni tratti assolutamente non contemporanea) e lo scardinamento di quella visione del ‘posto per la vita’ dovranno in qualche modo essere riconsiderati, influenzando la tipizzazione delle ipotesi di “reintegra” (ovvero il ripristino del rapporto di lavoro a scelta del dipendente). Banalmente, la reintegra non potrà essere considerata l’unica sanzione in caso di illegittimità del recesso, ma se ne dovrà disporre delle tipizzazioni chiare e precise, non ricorrendo le quali si potrà prevedere l’ipotesi di risarcimento economico;

In effetti, a costo di divenire impopolare più di quanto io lo sia già, dobbiamo accettare come l’accanimento sulle conseguenze del licenziamento illegittimo (giuste o sbagliate) debba lasciare spazio ad una discussione sul motivo del recesso: per prima cosa, la storica e ancestrale ‘debolezza’ del lavoratore, nella sua visione Anni 80, è oramai tramontata. Oggi l’impresa vive di collaboratori, sempre meno dipendenti, sempre più da attrarre, perché se adeguatamente formati, sono liberi di poter cambiare realtà imprenditoriale senza problemi. La migliore delle tutele per evitare il licenziamento (fatte salve ragioni economiche che, ahimè, non guardano in faccia a nessuno) è riferita alle competenze e capacità.

Vi ricordate termini tanto utilizzati tra il 2003 e il 2015 come “flessibilità”? Ora risultano spariti dai radar, lasciando spazio alla ricerca di talenti o di collaboratori che, giustamente, non sono più disposti ad un sacrificio eccessivo, come forse erroneamente lo eravamo noi tanti anni fa. La riforma dei licenziamenti, quindi, non è fine a sé stessa. Chiaramente influenza altri istituti, come il contratto a termine o la somministrazione, che sono direttamente collegati ad essa. Una revisione normativa del recesso dovrà partire dalle conseguenze che questo Paese intende accettare o, per una volta, guidare nell’ambito della crescita occupazionale.

Da ultimo la certezza del diritto. Va bene che noi italiani sono dei fantasisti, ma provate voi a spiegare ad una azienda straniera le conseguenze di un licenziamento illegittimo. Quanto attrattivi potremmo mai essere al mondo globalizzato? Qualsiasi norma verrà emanata (e non credo che lo sarà velocemente), speriamo che non si tramuti in un classico rimpasto di principi giuridici, mescolati ad arte da abili masterchef del diritto. Serve una presa di coraggio e una scelta consapevole, qualcuna essa sia.

jobs act, licenziamento, Tutele crescenti, Corte costituzionale


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Dario Ceccato

Dario Ceccato, Founder Ceccato Tormen & Partners. Dario è un Consulente del lavoro, giuslavorista, pubblicista, convegnista e consulente tecnico per diversi tribunali italiani in materia di diritto del lavoro e diritto concorsuale del lavoro. Socio fondatore della Ceccato Tormen STP, nell’assistere aziende nazionali ed internazionali di medie grandi dimensioni cerca, nel contempo, di non dimenticare di essere anche padre di tre figli, marito sempre inefficiente e collega di oltre 35 collaboratori   

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