Smart working, chi sta con Giannini?
Se c’è un tema che non smette di polarizzare le opinioni (di tutti) è di certo lo Smart working. Da sempre assistiamo allo ‘scontro’ tra favorevoli e contrari a questa forma di lavoro che, giusto per dare una cornice legislativa è ancora regolato dalla Legge 81 del 2017. Nonostante esistano delle norme che regolamentano quello che il Legislatore chiama – a ragione – “lavoro agile”, il lungo periodo di emergenza Covid ha rimescolato le carte sul tema. La Legge 81 resta il faro di questo assetto organizzativo, ma aver sperimentato per mesi (anni) lo Smart working ha reso molto più complesso il rientro al lavoro in presenza per molte aziende. E qui ha avuto inizio il ‘nuovo’ dibattito, nel quale si è di recente inserito anche Massimo Giannini, ex Direttore de La Stampa.
Come i nostri lettori sanno, Parole di Management è un attento osservatore della questione e ha spesso proposto spazi di dibattito, offrendo a tutti la possibilità di esprimere la propria opinione rispetto anche alle questioni sollevate dal giornalista. Anche questa volta vogliamo fare altrettanto e quindi chiediamo ai nostri lettori di inviarci via mail le proprie opinioni (inviare il commento a dicolamia@este.it: saranno prese in considerazione solo le riflessioni firmate e che rispettino i toni del confronto civile).
Che fine ha fatto la dimensione sociale del lavoro?
Giusto per chi si fosse perso l’opinione di Giannini, la riassumiamo brevemente (qui c’è l’articolo completo). Sul magazine D de La Repubblica, il giornalista ha espresso senza mezzi termini la sua opinione sul tema, facendo riferimenti al film Shining, che lui stesso considera come “il più grande film mai fatto sullo Smart working”, proponendo un confronto tra l’attività di Jack Nicholson – che nella pellicola di Stanley Kubrick, riveste i panni del custode invernale dell’Overlook Hotel – e quella degli smartwoker: “Io detesto lo Smart working”, ha scritto, pur riconoscendo che “in pandemia ha salvato l’economia”. Tuttavia, Giannini si pone alcuni interrogativi, che poi sono quelli che uniscono coloro che si dicono contrari allo Smart working: “Come ne è uscita, l’umanità? Chiusi dentro quattro mura, in lockdown obbligatorio, l’abbiamo svangata grazie alle meraviglie digitali, e va bene così. Ma adesso? Continuiamo a guardarci sul display e a parlarci con l’airpods? C’è grande confusione, in materia”.
In sintesi, Giannini ammette che lo Smart working ha dei pregi – “Certo che da casa pare tutto più comodo: lavori in pigiama, mentre discuti il budget ti sorseggi la tisana, nelle pause giochi col pupo o porti a spasso il cane. Certo che ti eviti l’inferno metropolitano del traffico e il logorio fantozziano del badge, e risparmi il pieno di benzina e il tran tran della piadina…” – ma i difetti sono ben peggiori. “C’è una dimensione sociale, nel lavoro, che nessun device ti potrà mai restituire: guardare negli occhi i colleghi, compreso quello che detesti; trovare le idee migliori, mentre discuti in corridoio, chiacchieri nell’ascensore, cazzeggi davanti alla macchinetta del caffè…”.
Che cosa ne pensano i nostri lettori? Aspettiamo le vostre riflessioni!
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