Quando il colpevole è il management
Due differenti generi di ansietà si scontrano in una riunione di brevissima durata: quella di Douglas e Mike, che vivono l’emozione di tenere in mano un prototipo di prodotto dal potenziale rivoluzionario, e quella della loro controparte, Jim, un manager freddo e aggressivo, ma che vive la frustrazione di un ruolo diminuito dal potere dei suoi capi.
Siamo a Waterloo, Ontario, Canada, nella metà degli Anni 90, e si tratta delle scene iniziali del film BlackBerry (2023), diretto da Matt Johnson e ispirato dal romanzo di Jacquie McNish e Sean Silcoff, Losing the signal: the untold story behind the extraordinary rise and spectacular fall of BlackBerry. La situazione riflette quindi lo stereotipo consueto del contrasto tra le figure di giovani nerd, innovatori innamorati delle tecnologie, ma goffi nelle relazioni sociali, e l’immagine del businessman calcolatore e dall’ego prorompente. Da qui, in effetti, prende le mosse il film, la cui sceneggiatura scava però più in profondità nel raccontare una storia aziendale di veloce ascesa e rapida caduta, ricca di spunti rilevanti nell’illuminare i fenomeni propri delle organizzazioni del nostro tempo.
L’opera di Matt Johnson fa parte di una corrente emergente di cinematografia che si sta rivelando capace di rappresentare le dinamiche dell’impresa e del management, superando posizioni ideologiche troppo marcate, per privilegiare la descrizione attenta di quanto accade in contesti relazionali complessi; in questo, l’arte del cinema dispone di strumenti che si prestano bene a integrare e complementare altre forme di analisi della realtà economica attuale.
Douglas Fregin e Mike Lazaridis sono i fondatori di Research in motion (Rim), una startup nella quale hanno coinvolto altri giovani ingegneri appassionati del digitale. Dai loro dialoghi iniziali cogliamo però i segnali di una differenza di sensibilità: Douglas sembra covare l’intuizione di un destino che lo intimorisce, quando richiama la frase di un personaggio del film Breakfast Club di John Hughes: “Quando cominci a crescere, il tuo cuore muore”. Mike Lazaridis, invece, appare affascinato dalla prospettiva di affrontare la sfida manageriale insita nello sviluppo dell’innovazione in un contesto ricco di asperità; così è lui a insistere per accettare la ‘proposta indecente’ di Jim Balsillie, sfacciato nel proporsi come investitore e nello stesso tempo come CEO nella nuova compagine aziendale.
Le resistenze di Douglas sono vinte quando i due giovani comprendono che Rim deve affrontare gli attacchi di veri e propri pirati (lo sono i clienti inadempienti e truffaldini): Mike osserva che “i pirati temono gli squali” e quindi serve proprio uno come Jim. È un successo esplosivo che porta in pochi anni Rim a detenere il 45% del mercato mondiale. Ma si tratta di una partita grossa, che espone un’impresa dalle basi ancora fragili ad avventurarsi in mari impetuosi, all’aggressione di nuovi corsari, alla competizione di capitani alla testa di equipaggi meglio attrezzati. In un tempo anche breve, emergono quindi i limiti di partenza dei tre personaggi, soprattutto la loro incapacità di integrarsi davvero in una costruzione comune.
Oltre l’effimero successo aziendale
Il film dà conto del carattere transitorio ed effimero dell’affermazione di BlackBerry, sia come prodotto sia come azienda che ne cavalca il successo. Rimandando alla visione del film per i particolari, qui vorrei sottolineare tre aspetti salienti, che vanno oltre la stucchevole visione, la quale, tra l’altro, emerge interrogando al proposito l’Intelligenza Artificiale (nel caso, Copilot, 24 maggio 2024): “BlackBerry non è solo un film sulla tecnologia o un semplice biopic aziendale… È un promemoria che anche le imprese più innovative possono cadere vittime di una gestione scadente e che il vero successo richiede non solo brillantezza tecnologica, ma anche integrità e leadership etica”.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)
management, Sviluppo&Organizzazione, Blackberry