Scuola, la fabbrica degli ignoranti
La scuola è una “fabbrica di ignoranti”. È questo il giudizio emesso dal Censis nel suo ultimo rapporto: l’istituto di ricerca socio-economica italiano ha evidenziato i “profondi buchi di conoscenza” tra gli studenti di ogni fascia di età rispetto a nozioni che si potrebbe addirittura dare per scontato. Ma il Censis ha evidenziato solo la punta dell’iceberg di un problema enorme.
Assieme ai dati sul non raggiungimento dei traguardi di apprendimento all’ultimo anno di ogni ordine di scuola nelle materie di italiano e matematica c’è ancor di più il non raggiungimento dei traguardi minimi di apprendimento nelle materie tecniche e professionali. Di questo non se ne parla mai. Se non si conosce la lingua italiana, con un deficit nella comprensione, e non si conosce la matematica, con un deficit nella logica, è impossibile conoscere la meccanica, l’elettrotecnica, l’elettronica e tutte quelle discipline tecniche e tecnologiche che servono a costruire il sapere per comporre le competenze necessarie alla crescita del Paese.
Nel rapporto del Censis è evidenziato, infatti, che per gli istituti professionali – nell’immaginario collettivo considerati percorsi scolastici di serie C – la percentuale di non raggiungimento dei traguardi minimi di apprendimento sale vertiginosamente all’80%. Ciò ci fa concludere che solo una piccola percentuale di diplomati raggiunge i livelli minimi di conoscenze, tenuto anche conto che potrebbe trattarsi di un dato paradossalmente ottimistico, essendo il sistema di valutazione scolastico molto spesso di ‘manica larga’.
Il mondo industriale, che ha bisogno di tecnici che non trova, deve anche guardare all’istruzione tecnica e quindi degli istituti tecnici (questi, invece, sono considerati un percorso scolastico di serie B): è evidente che i risultati negativi di apprendimento in italiano e matematica, se non così disastrosi come negli istituti professionali, li troveremo anche negli istituti tecnici, fatto salvo per le solite eccezioni positive che non mancano mai.
L’aridità della piattaforma scolastica
Per avere contezza di queste cattive performance scolastiche, sarebbe sufficiente poter disporre dei voti degli esami di maturità, con le loro gaussiane, e avere anche a disposizione i dati delle votazioni nelle materie tecniche e professionali di almeno gli ultimi due anni. Questi dati non sarebbero certamente confortanti e ci metterebbero davanti agli occhi una realtà che ci ostiniamo a non vedere.
Per mantenere lo stato di benessere attuale, il Paese (ma vale per tutta l’Europa) ha bisogno di un sistema economico capace di affrontare con successo le grandi trasformazioni che sono in atto. Questo richiede il possesso di nuovi saperi e l’esercizio di nuove competenze, che necessariamente vanno costruite a partire dalla piattaforma scolastica, che costituisce il terreno fertile di coltivazione, attraverso le propedeutiche conoscenze di base.
Se quest’ultimo è inadatto, arido, ciottoloso, perché fatto da conoscenze di base insufficienti in italiano, matematica, inglese e altre materie tecniche e professionali – dove non sono stati raggiunti nemmeno i traguardi minimi di apprendimento – allora non è possibile la crescita di nessuna nuova conoscenza e competenza, che poi dovrebbero concorrere alla formazione della classe dirigente di domani. Questi terreni così aridi sono anche la causa di altri problemi che investono la società: per esempio l’analfabetismo funzionale e i vari disagi giovanili in tutte le loro fattispecie.
Verso una rivoluzione culturale
Se questa è la fotografia del Paese, siamo in piena emergenza. E non è un problema prioritario solo della scuola, ma di tutta la società, che per quello che vediamo quotidianamente non ne ha consapevolezza o nasconde la testa sotto la sabbia. E non è nemmeno un problema di soldi, inteso in maggiori investimenti per l’istruzione. È un fatto culturale del Paese, che già il Censis nel 2023 aveva segnalato, affermando: “Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema”.
Se non si raggiungono i traguardi di apprendimento vuol dire che non si studia, a partire da quelle che sono le materie di base. Significa che nell’immaginario collettivo lo studio e la scuola non sono la priorità per costruire il futuro delle nuove generazioni e quindi del Paese. E per questo la scuola è passata da essere la fabbrica del futuro alla “fabbrica degli ignoranti”.
La prima responsabilità non può che essere in capo alle famiglie, che non pongono al centro della loro azione educativa l’istruzione dei figli: ci si accontenta dei voti e non se questi sono coerenti con i livelli di apprendimento degli studenti; e nel caso di insufficienze, allora si scarica la colpa sulla scuola e quindi sui docenti che certamente avrebbero molte cose da migliorare, ma dovrebbero essere messi in condizioni di svolgere pienamente il loro ruolo di educatori e formatori.
Il rapporto tra famiglie e scuola, quindi con il corpo docente, è certamente uno dei punti di maggior criticità che influenza l’esito degli apprendimenti. Se da un lato la scuola e gli insegnanti non possono supplire alla mancanza del ruolo educativo delle famiglie – certamente causa della grande débâcle in cui ci troviamo – dall’altro lato il sistema di valutazione delle performance di apprendimento degli studenti deve essere strettamente collegato a uno previsto per la scuola e il corpo docente stesso.
Poi c’è la responsabilità di tutta la politica, silente e assente di fronte a questi dati e impegnata a istituire un inutile liceo del Made in Italy anziché occuparsi di una emergenza che non è di oggi, ma si conosce da tempo. C’è per lo meno da chiedere come la pensano e che cosa propongono gli uffici scuola dei partiti. E ancor di più: le Commissioni istruzione di Camera e Senato dovrebbero essere in seduta permanente per cercare le possibili via d’uscita da indicare al Parlamento e al Governo. E qui non serve una riforma, bensì un urgente piano emergenziale, che deve essere prodromico a tutte le riforme. Questo piano va fatto con grande coraggio, anche rompendo privilegi o posizioni che durano da tempo. Bisogna allora pretendere e imporre più studio e più impegno allo studio e più scuola. Gli strumenti ci sono, ma seve una rivoluzione culturale.
Perito elettronico e laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, è Maestro del Lavoro. Le prime esperienze lavorative sono nel campo dei sistemi di controllo. Nello stesso periodo, per nove anni, è anche docente di elettronica industriale presso un importante istituto tecnico serale. Contemporaneamente inizia la sua attività presso una società di un gruppo tedesco, leader mondiale nella componentistica per l’automazione industriale nonché partner del governo della Germania per la costruzione del modello duale della formazione professionale. Successivamente diventa Direttore Generale e Amministratore Delegato di una nuova società del gruppo che si occupa di consulenza strategica e operativa nelle aziende industriali a cui appartiene una scuola di Industrial Management e una divisione per i sistemi di apprendimento. È stato pioniere delle prime iniziative di formazione applicata superiore nazionali e transnazionali. Ha intrattenuto rapporti con molti istituti tecnici e istituzioni pubbliche ed è stato promotore e attore di iniziative riguardanti l’evoluzione delle professioni tecniche. Ha terminato la sua attività professionale nella posizione di Vice President del gruppo internazionale, per il settore della Global Education, occupandosi dell’interconnessione tra economia e mercato del lavoro per la progettazione e realizzazione di sistemi TVET per governi di Paesi in via di sviluppo.
scuola, censis, fabbrica ignoranti