
Diplomifici e laureifici: dove si studia per far crescere il Paese?
Come si scrive da tempo e da più parti, mentre l‘Italia ha bisogno di sostenere e diffondere la conoscenza, dobbiamo fare i conti con i “laureifici degli esami della domenica” in cui sembrerebbe (è d’obbligo il condizionale) essere incappata Marina Calderone, Ministra del Lavoro. Secondo quanto raccontato da Il Fatto Quotidiano – ripreso anche da altri media – la Ministra “avrebbe conseguito il titolo di laurea alla Link Campus di Roma, la ex Libera Università di Malta, riportata come l’emblema delle ‘lauree facili’ e protagonista di svariate inchieste giudiziarie”. Sempre dalle stesse fonti, risulterebbe che in quella università “la Ministra, in più occasioni, per laurearsi dava due esami al giorno e perfino di domenica, quando l’università era chiusa”.
Quanto emerso dai media è preoccupante, soprattutto per ragioni molto tecniche che influenzano direttamente le politiche formative e del mercato del lavoro, che dovrebbero essere alla base della crescita della conoscenza dei lavoratori. E il fatto che ne sembrerebbe coinvolta la responsabile del Ministero del Lavoro rende tutto ancor più inquietante, visto che la Ministra è colei che si dovrebbe occupare di una materia complessa, delle riflessioni e delle azioni di Governo su: politica scolastica e formazione; lavoro; sviluppo delle risorse umane; employability; salari; crescita del Paese; welfare; applicazione e il buon uso del Fondo Sociale Europeo…
Il Ministero del lavoro è uno dei dicasteri più tecnici, dove servono persone referenziate con particolari competenze tecniche e con grande sensibilità per lo sviluppo delle risorse umane, che sono poi la base su cui si regge il Knowledge management necessario alla costruzione della conoscenza strategica per la crescita economica e sociale del Paese. È il ministero dove servono i ‘saperi’ e dove è necessario applicare specifiche grammatiche. Il non occuparsene adeguatamente ha come esito una enorme confusione.
L’importanza delle competenze tecniche
Una di queste ‘confusioni’ è relativa alla definizione delle professioni: in questo caso si confondono le categorizzazioni derivanti dalle condizioni contrattuali – operai, impiegati e dirigenti – con quelle che invece descrivono, secondo rigorose regole, le posizioni organizzative, denominandole secondo appropriati glossari. Di questo pasticcio si ha evidenza anche nel recente rapporto di Unioncamere dal titolo “Diplomati e lavoro” e coprodotto con il Ministero del lavoro, che illustra gli sbocchi professionali offerti ai diplomati. Nella rappresentazione di quelli che sono definiti i diplomati in ingresso nelle imprese, per grandi gruppi professionali, sono descritte le seguenti categorie: “Dirigenti e professioni specialistiche; professioni tecniche; impiegati; professioni commerciali e nei servizi; operai specializzati; conduttori di impianti; professioni non qualificate”. Un minestrone di termini senza alcun senso.
La definizione di impiegato non indica un mestiere, ma solo una tipologia contrattuale, così come la definizione di dirigente o di operaio specializzato. Poi, quest’ultimi, possono ricoprire professioni tecniche, professioni commerciali e nei servizi, conduttori di impianti, di carattere impiegatizio, quindi da definirsi impiegati, o anche di carattere dirigenziale, e quindi da definirsi dirigenti. Per esempio, il Responsabile di stabilimento, il Direttore di produzione, il Responsabile della manutenzione, il Direttore vendite, il tecnico di vendita e così via, sono, innanzitutto, professioni tecniche o commerciali, che in funzione delle responsabilità a loro assegnate possono essere contrattualizzati come impiegati o come dirigenti, secondo le differenti tipologie di contratti nazionali (industria, commercio o altro) a cui aderiscono le aziende di appartenenza.
È in questo pressapochismo, che non è certo un indicatore di una buona conoscenza del mercato del lavoro e delle grammatiche che vi si devono applicare, che si trova a operare un Ministro. Che, nel suo ruolo dovrebbe occuparsi di queste questioni, mentre il Ministro dell’Istruzione e del Merito è chiamato a gestire i ‘diplomifici facili’ e la Ministra dell’Università dovrebbe interessarsi ai ‘laureifici facili’ e agli ‘esami della domenica’ (ad ateneo chiuso). Occorre anche comprendere che il Ministero del Lavoro è il crocevia strategico di molte politiche che si integrano con quelle economiche e quelle della scuola; è infatti il ‘cuore pulsante’ di una macchina complessa, che nel caso di specie evidenzierebbe uno stato di grave ‘scompenso cardiaco’.
Rimettere al centro il merito nella selezione
In questo scenario complesso, è bene ricordare – come hanno fatto alcuni media – che a essere finito nel mirino è il Ministro “con in mano il destino della formazione, delle professioni e delle carriere degli italiani”. Inoltre, tutto questo succede in una condizione del Paese di evidente difficoltà: è recente il rapporto mondiale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), secondo il quale i salari reali in Italia sono inferiori di 8,7 punti rispetto al 2008. Si tratta del risultato peggiore dei Paesi del G20; inoltre la crescita nel 2024 non è stata sufficiente a compensare le perdite. Quindi siamo di fronte a un serio problema di politica del lavoro e dei salari che non si può anestetizzare con le notizie di piena occupazione di cui si racconta.
Come potrebbero essere attivate tutte le politiche di cui abbiamo bisogno e come collegarle tra di loro per dare prospettive positive al futuro del Paese, in mezzo a notizie così sconfortanti? Forse la misura più urgente e drastica da attivare, con immediatezza, sarebbe l’abolizione del valore legale dei titoli di studio, che intanto difficilmente garantiscono il ‘merito’, quello per cui è stato cambiato anche il nome al Ministero dell’Istruzione e che sostiene, con tanta ragione, lo stesso Ministro di quel dicastero. Poi, quando ci sarà la necessità di assumere personale, si provvederà con una buona e solida selezione, con i metodi più efficaci e basati solo sul possesso delle effettive competenze da ricercare e sul ‘merito’ posseduto.
Certamente, anche questo rimedio non sarà pienamente risolutivo, perché occorreranno poi competenti valutatori per provvedere alle assunzioni, ma per lo meno, non essendo più necessario il valore legale del titolo di studio, dovrebbero sparire tutti i diplomifici (e anche i laureifici) e rimanere gli istituti veramente referenziati. Tutto ciò non succederà. Allora, c’è da chiedersi: per quale ragione continuiamo a scrivere e a sostenere che il Paese, per crescere e mantenere i suoi standard di welfare, ha bisogno di nuove e buone conoscenze e competenze? Chi le dovrebbe possedere? E dove dovremmo andare a conseguirle? E con quali politiche formative e di sviluppo delle risorse umane? Le dovremmo ricercare in una buona scuola, in una buona università o in buon percorso professionalizzante dove conta anche il ‘merito’ oppure altrove? Chissà che cosa ne pensa la Ministra del Lavoro che si dovrebbe occupare anche di queste cose…

Perito elettronico e laureato in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, è Maestro del Lavoro. Le prime esperienze lavorative sono nel campo dei sistemi di controllo. Nello stesso periodo, per nove anni, è anche docente di elettronica industriale presso un importante istituto tecnico serale. Contemporaneamente inizia la sua attività presso una società di un gruppo tedesco, leader mondiale nella componentistica per l’automazione industriale nonché partner del governo della Germania per la costruzione del modello duale della formazione professionale. Successivamente diventa Direttore Generale e Amministratore Delegato di una nuova società del gruppo che si occupa di consulenza strategica e operativa nelle aziende industriali a cui appartiene una scuola di Industrial Management e una divisione per i sistemi di apprendimento. È stato pioniere delle prime iniziative di formazione applicata superiore nazionali e transnazionali. Ha intrattenuto rapporti con molti istituti tecnici e istituzioni pubbliche ed è stato promotore e attore di iniziative riguardanti l’evoluzione delle professioni tecniche. Ha terminato la sua attività professionale nella posizione di Vice President del gruppo internazionale, per il settore della Global Education, occupandosi dell’interconnessione tra economia e mercato del lavoro per la progettazione e realizzazione di sistemi TVET per governi di Paesi in via di sviluppo.
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