Addio a Leonardo Cardo, una vita per l’inclusione delle persone con disabilità
La Redazione di Parole di Management si unisce nel cordoglio della scomparsa a 66 anni di Leonardo Cardo, milanese, attivista per i diritti delle persone con disabilità, scrittore e figura amata nella sua comunità. L’annuncio arriva da Pierfrancesco Maran, ex assessore comunale ed europarlamentare, che lo ha ricordato con parole toccanti: “Tostissimo, fiero, battagliero e dolce. Continueremo a lottare per i diritti di tutte e di tutti anche per lui”. Affetto da acondroplasia, attraverso la scrittura, la divulgazione e il suo impegno, è diventato un simbolo di resilienza, accettazione e indipendenza per tutte le persone con disabilità, ispirando molti con la sua filosofia.
Cardo aveva, di recente, pubblicato un libro da titolo Nella nebbia delle emozioni – Vivere nel mondo, in cui il racconto della propria esperienza professionale e di vita si interseca con una forte critica sociale, una lucida analisi delle ingiustizie e delle disuguaglianze (a volta invisibili) della nostra società. Nel 2024 aveva collaborato con gli autori Gabriele Ghini e Alessandra Fogola alla scrittura del libro Perché i nani non diventano CEO e altre sette tossicità aziendali (ESTE, 2024) raccontando, ancora una volta, le storture che il mondo del lavoro esprime quando a vivere in azienda sono persone ‘diverse’, chi per la statura e chi per un altro fattore. Di seguito proponiamo un estratto del libro contenente le sue riflessioni:
La mia esperienza lavorativa prese l’avvio a marzo del 1979, quando ricevetti la lettera raccomandata dall’ufficio del lavoro che chiedeva di presentarmi presso un’azienda appartenente a un gruppo importante. Appena il Direttore del Personale mi vide, disse: “Noi non l’assumiamo”, senza alcuna intervista sulle mie competenze. Allora andai all’ufficio del lavoro, a chiedere cosa fare, visto che non mi volevano. Mi risposero di trovarmi un avvocato, perché erano obbligati ad assumermi. Allora mi rivolsi all’associazione degli acondroplasici, che chiese un appuntamento con l’azienda in questione, minacciando le vie legali, se non fossi stato assunto. E così entrai. Mi inserirono nel reparto informatico, destinandomi a progetti anche presso clienti. Un po’ alla volta, ho acquisito una discreta competenza e mi sono fatto conoscere. Viaggiavo molto tra Milano e Roma.
Dopo qualche anno, chiesi un aumento, visto che i miei colleghi pari grado erano cresciuti economicamente, e la risposta fu: “Devi accontentarti, è già tanto che ti abbiamo assunto”. Per fortuna i clienti cominciavano a capire le mie qualità. Un giorno ricevetti 11 telefonate da un cliente che aveva problemi informatici. A un certo punto, scherzando, gli dissi che non potevo passare il giorno al telefono e, forse, era meglio se mi assumevano direttamente. Riuscii a risolvere definitivamente il loro problema e mi chiesero davvero di andare a lavorare con loro. Mi proposero un incremento economico importante, trasformando il lordo in netto.
Tornai nella mia azienda e mi dissero: “Abbiamo sentito che ti vogliono assumere, ma noi ti vogliamo tenere e ti facciamo una controfferta”. Ma io non accettai, perché se valevo in quel momento, allora valevo anche quando avevo chiesto l’aumento. A quel punto mi chiamò l’ufficio del lavoro, per verificare che non avessi pagato io per essere assunto, perché pensavano che fosse impossibile che io fossi richiesto dal mercato. Entrai in un’altra azienda, dove rimasi solo due anni, perché i progetti che seguivo erano sempre a Roma e, per motivi familiari, non potevo più continuare a fare il pendolare. Allora fui assunto in un’azienda di assicurazioni che era una delle mie clienti più importanti, nella quale sono rimasto quasi 35 anni.
La carriera è andata bene, quanto a responsabilità e progetti. Invece, sono stato valorizzato meno dal punto di vista di crescita di livello e di incrementi retributivi. Sono entrato come sesto livello e sono andato in pensione come sesto livello, tredicesima classe. La mia convinzione è che i livelli intermedi mi abbiano sempre remato contro, pensando che fossi già stato fortunato a ottenere il posto e che non dovessi aspettarmi altro. Ho avuto momenti felici, riconoscimenti e anche momenti di grande difficoltà. Tra i momenti felici mi piace raccontare che ho trovato moglie all’interno dell’azienda; che molti colleghi mi hanno aiutato a vivere e non a sopravvivere; che ho contribuito a migliorare l’attenzione alle barriere architettoniche e a considerare le persone per quello che sono e non per quello che appaiono. Ricordo quando decisero di abbassare il citofono vedendo che non riuscivo ad arrivare alla pulsantiera. Le mie responsabilità sono cresciute e so di aver portato il mio contributo al reparto informatico della società.
Negli ultimi 40 anni, ci sono stati molti e profondi cambiamenti culturali nei confronti di persone come me, ma il processo è stato ed è tuttora lento, complesso e pieno di resistenze. Le persone di solito preferiscono vedere l’apparenza, invece che l’essenza, non guardano negli occhi. Non è stato certo facile e ho avuto momenti di grande difficoltà, che hanno richiesto una mia importante crescita psicologica per arrivare ad accettarmi e ad avere la forza di farmi accettare. Adesso che sono in pensione, ho aperto un mio blog, Vitainclusiva.it, che ha come tag line: “L’umanità cura il mondo”. Noi non possiamo cambiare il nostro aspetto, ma voi potete cambiare il vostro modo di pensare. Anche noi, come voi, facciamo parte della storia e dell’intera umanità. E permettetemi di concludere con una battuta, perché bisogna saper anche sorridere: scusate se sono stato troppo ‘lungo’.