Alla ricerca della Smart leadership
Scrivo questa pagina dal parco fluviale del Tevere, seduto su di un muretto davanti al fiume. Osservo gli uccelli e l’acqua che scorre lenta nel silenzio. Ho scelto oggi questo posto per farne il mio ufficio per un giorno, perché sento che tra ciò che devo fare con il mio Pc e ciò di cui ho scelto di circondarmi c’è un nesso, un legame forse inconscio, ma profondo. Per scrivere questo articolo avevo bisogno di ispirazione, non di calcolo né di pensiero analitico. Non di una scrivania in una stanza, ma di un fiume e di un cielo aperto.
Nonostante in questa fase di disumano distanziamento ne sentiamo molto la mancanza, riflettendoci con il distacco dalla routine imposto dal momento, alla fine dei conti l’ufficio non è un luogo fisico, un insignificante piccolo cubo annegato nell’anonimato seriale dei layout aziendali. Un luogo spesso assurto a valore simbolico della carriera, uno status symbol misurato con l’ampiezza dei metri quadri, dei moduli-finestra, con la disponibilità o meno di un tavolo riunioni, di un ficus e di una lampada a piantana.
L’ufficio è altro: è il luogo in cui stiamo bene, o meglio, in cui dovremmo star bene. Luogo dell’officium latino, “dovere”, “compito”, “servizio”, ma anche -ficium, “officina”, “laboratorio”, “cantiere”. È lì infatti che ‘officiamo’, è lì che cantiamo la nostra messa e mettiamo noi stessi. Quante volte ne abbiamo marcato il territorio seminando gadget dei nostri ricordi, affiggendo alle pareti quadretti dei nostri cari e poster dei nostri miti? Quante volte ci siamo sentiti come in un nido, accolti dalla nostra azienda, con la porta aperta o chiusa, una sliding door in funzione di un bisogno di relazionalità oppure d’intimità.
Ho cambiato ufficio molte volte, passando da una azienda a un’altra, o per effetto di una promozione. Sono stato sistemato in piani bassi e rumorosi, con pavimenti di cemento, e in piani alti silenziosi, tutti parquet e moquette, ma ogni volta ho portato lì tutto ciò che ricordava qualcosa di me e della mia storia: fotografie sbiadite, premi, targhe, dozzinali souvenir di viaggio e perfino il modellino della mia motocicletta.
Ora che con il lavoro a distanza si diffonde il desk sharing e le aziende recuperano costi sopprimendo gli uffici individuali e riducendo gli spazi, l’ufficio in presenza non è più lo stesso, non riflette più la nostra immagine. Diventa un non luogo, spazio pur sempre di relazione, d’accordo, ma anonimo e grigio come un aeroporto, una stazione, un centro commerciale. Eppure, dopo tanta distanza imposta dalla pandemia, poter ritornare in ufficio sarà per tanti un rito liberatorio, la soddisfazione di un bisogno per troppo tempo represso, e sarà comunque indispensabile per assicurare l’allineamento con l’azienda e con i nostri colleghi di team.
I Direttori del Personale dovranno farsene una ragione: devono sapere che con il lavoro agile l’agilità deve far rima con stabilità, perché ancora più che nell’era ante Covid, nel lavoro di domani servirà fornire all’azienda che si dematerializza, e alle sue persone distanti, un centro di gravità. Non sarà facile senza gli uffici, antichi luoghi antropocentrici radicati nel Novecento dei cartellini marcatempo. Né basteranno employer branding, convention, comunicazione, mission e valori a rimpiazzarne il vuoto. Anche queste, in fondo, sono pratiche del mondo pre Covid.
Lo Smart working ha scardinato dalle fondamenta il tempo e lo spazio, i pilastri del lavoro del XX secolo. Piattaforme e algoritmi legheranno sempre più nel lavoro, con la velocità esponenziale della rivoluzione digitale, umani e macchine intelligenti. Solo la motivazione è necessario che sopravviva ai requisiti del lavoro di ieri, diventando un fattore essenziale di performance, quanto più sono a rischio l’appartenenza e l’identità sia dei singoli sia dell’impresa.
L’investimento necessario, e forse l’unico possibile, resta perciò quello sulla leadership personale dei collaboratori a distanza. Una Smart leadership che abiliti ciascuno, indipendentemente dai ruoli, alla responsabilità personale, indispensabile per un lavoro che non si regge più sul controllo ma sul raggiungimento degli obiettivi: la capacità di diventare ed essere ciò che si è, di riconoscersi nonostante la distanza, ma anche libertà di scegliere il luogo di lavoro in cui più ci si sente vicini a se stessi. È lì l’ufficio. È lì la nuova bellezza del lavoro e dell’impresa.
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Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale.
Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale – prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016).
Cura la rubrica “Impresa Imperfetta” sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).
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