Apprendere dal virus: fuggire nella simulazione digitale

Che cosa ci ha insegnato la pandemia? Dopo aver analizzato il valore delle esperienze, tocca alla gestione dell’emergenza.

Ogni cittadino del Pianeta – e soprattutto ogni cittadino abitante nelle aree più toccate dalla modernità digitale: le metropoli – si è trovato all’inizio del 2020 a vivere le conseguenze di una catastrofe. Siamo così stati costretti a fare esperienza di come l’evento inatteso faccia apparire inadeguato ognuno dei sistemi organizzativi ai quali ci affidiamo e nei quali riponiamo fiducia. Non solo il sistema socio-sanitario, ma anche il sistema dei trasporti, i sistemi produttivi, la sicurezza sul posto di lavoro, il sistema delle comunicazioni di massa (chi è in grado di fornire notizie affidabili ai cittadini, chi è deputato a parlare, di chi i cittadini si dovranno fidare).

Di fronte alla catastrofe, tecnici e scienziati e cittadini, finiscono per condividere lo stesso senso di impotenza: c’è la novità assoluta dell’evento, dell’arrivo tra noi – e dentro di noi – di un ospite del tutto sconosciuto, ma c’è anche la percezione, di fronte alla reale emergenza, di come sia difficile progettare e attivare sistemi di regolazione, ispettivi e preventivi, capaci di tenere sotto controllo i fenomeni sconosciuti, azzerando gli effetti nocivi. Si finisce per rendersi amaramente conto che le procedure di sicurezza si manifestano in realtà – se tutto va bene – come misure tese ad attivare (a catastrofe avvenuta) un ‘pronto intervento’, in modo da minimizzare – certo senza azzerare il danno – gli effetti danno dell’evento.

Cittadini abituati a godere delle comodità e degli agi garantiti dalla scienza e dalla tecnica, ci troviamo a essere nudi e soli, costretti a confrontarci con l’insicurezza e il rischio. Quando tecnici e scienziati, pur appellandosi alla voce della comunità scientifica, non sanno darci spiegazioni confortanti e rassicuranti, inevitabilmente noi torniamo a vivere in un timore accompagnato da un senso di reverenza per il fato. Siamo ancora gli esseri umani che – prima di essere rassicurati, o illusi, dai ritrovati della scienza e della tecnica – necessariamente vivevano in un atteggiamento di soggezione di fronte a ciò che minacciava la vita. Siamo tornati a percepire la presenza di forze cosmiche, tanto più grandi di noi e più potenti, prodotto di ritmi elementari e ostinati della natura.

Di fronte all’enormità dell’evento, a un fenomeno misterioso, a un pericolo sconosciuto e invisibile, a quali informazioni si dovrà dare credito? Si dovrà porre fede alle parole degli esperti? Ma chi può essere esperto di fronte a una catastrofe mai verificatasi prima? Le notizie ufficiali emanate dalle autorità sono credibili? O sono le meno attendibili, perché finalizzate non a informare, ma a tranquillizzare? Dove sta il vero e dove il falso?

Gestire l’eventuale allarme sociale

L’impossibilità tecnica di contrapporre all’evento azioni risolutive spinge a cercare soluzioni di resistenza passiva. Soluzioni tattiche che, in termini militari, corrispondono alla ritirata. Soluzioni elementari, che gli esseri umani conoscono dai tempi delle origini. L’ambiziosa epidemiologia si riduce così a scienza dell’internamento. Se dunque il primo passo per gestire l’emergenza è chiudere in casa e imporre il distanziamento sociale, il secondo passo, connesso al primo, sta nell’uso di tecniche di comunicazione di massa tese a evitare la diffusione del panico.

La situazione deve apparire alla popolazione come sotto controllo. Perciò conferenze stampa televisive di autorità speciali che, parlando da dietro le mascherine, snocciolano dati; uomini in uniforme, o coperti da tute, che dettano regole ferree (non importa se insensate); elicotteri, droni e vetture pubbliche che lanciano messaggi dall’altoparlante, in strade vuote.

Come spesso accade, troviamo nei romanzi una interpretazione degli eventi ben più ricca e più profonda di ciò che ci è dato da evincere dalle parole delle autorità e dei tecnici e degli scienziati. Si può dire, in fondo, che il romanziere dà voce alla consapevolezza dei cittadini, che in cuor loro sanno ciò che sta accadendo.

Ricordiamo come Alessandro Manzoni descrive il sopraggiungere dell’epidemia. “In questo, e in quel paese, cominciarono ad ammalarsi e a morire, persone, famiglie, di mali violenti, strani, con segni sconosciuti alla più parte de’ viventi”. Lo stesso Manzoni parla del senso di impotenza: “I delegati presero in fretta e in furia quelle misure che parver loro migliori, e se ne tornarono, con la trista persuasione che non sarebbero bastate a rimediare e a fermare un male già tanto avanzato e diffuso”.

Manzoni ci suggerisce anche ciò che, avendo vissuto l’esperienza, ci converrebbe ricordare: “La storia ha descritte con molta diligenza le sue imprese militari e politiche, lodata la sua previdenza, l’attività, la costanza: poteva anche cercare cos’abbia fatto di tutte queste qualità, quando la peste minacciava, invadeva una popolazione datagli in cura, o piuttosto in balìa”.

Costruire una comoda realtà simulata

Anche oggi scienza e tecnica hanno lasciato la popolazione in balia. Ma c’è un aspetto nuovo, nelle tecnologie digitali. Manzoni non poteva prevederlo. Ce ne parla Don De Lillo, romanziere americano, raccontando di una emergenza: una fuga di gas tossico.

“Accidenti, che bracciale! Che significa Simuvac? Una cosa importante, si direbbe”, chiede un cittadino a un uomo nascosto dietro una tuta, apparentemente un addetto alla protezione civile. Ma no, non è un addetto alla protezione civile. È un addetto alla Simulated Evacuation. “Un nuovo programma governativo per il quale stanno ancora battendosi per avere i fondi”, spiega il tecnico al cittadino. Che non può fare a meno di stupirsi: “Ma questa evacuazione non è simulata. È reale”. Il tecnico gli risponde così: “Lo sappiamo. Ma abbiamo pensato che poteva servirci come modello”. Qui sta il nuovo rischio. Cercare soluzioni in modelli digitali. Usare la realtà per migliorare i modelli, pur sapendo che il modello si rivelerà inadeguato di fronte a ogni nuova reale catastrofe. Contrabbandare la simulazione digitale per realtà fenomenica.

“Una forma di addestramento? Vuol dire che avete visto l’opportunità di servirvi dell’evento reale per provare la simulazione?”, chiede sorpreso il cittadino. “Siamo andati a studiarlo per le strade”, risponde senza scomporsi il tecnico. “E come va?”, chiede allora il cittadino. Il tecnico, osservando ciò che vede sullo schermo del suo computer, risponde: “La curva di non fila liscia come avremmo voluto. Non abbiamo le nostre belle vittime lì dove le vorremmo se questa fosse una simulazione. In altre parole, siamo costretti a prendere le vittime dove le troviamo”. Fino ad ammettere sconsolato: “Non ci troviamo di fronte a una cosa preparata dal computer. Di punto in bianco ci salta fuori dal vero, tridimensionale, dappertutto. Si deve tener conto del fatto che tutto questo che vediamo stasera è reale. Dobbiamo dargli ancora una gran ripassata. Ma l’esercizio serve proprio a questo”.

L’osservazione del reale può essere intesa ora come mera fonte di informazioni destinate alla costruzione di una comoda realtà simulata. La percezione del giungere del veleno tra noi – dentro di noi – l’umana sofferenza per ciò che sta accadendo a noi stessi, ogni essere umano e all’ambiente naturale, possono ora essere allontanate da noi, perché ci viene offerta una via di fuga digitale. Se la tecnologia non è in grado di mettere sotto controllo le catastrofi, permette, però, di costruire mondi virtuali nei quali le catastrofi sono messe sotto controllo.

Possiamo immaginarci immersi in una vita artificiale ricondotta a standard, prevedibile e sicura, dove ci è dato da considerare vero ciò che appare sugli schermi dei televisori e sugli schermi degli strumenti digitali che accompagnano ogni cittadino in ogni istante della vita quotidiana. Rispetto all’incontrollabile caos della ‘vita reale’, l’alternativa appare per qualche verso attraente. Ma allo stesso tempo ripugnante.

Fine seconda parte

Leggi anche la prima parte: Apprendere dal virus: il contagio delle esperienze

Bibliografia e testi per approfondire

Manzoni A., I promessi sposi, con illustrazioni di Francesco Gonin, Tipografia Guglielmini e Redaelli, Milano, 1840-1842 (pubblicato a dispense, a spese dell’autore).

Rescorla E. (2020), “Looking at designs for Covid-19 contact tracing Apps” in The Mozilla Blog, 20 aprile. https://blog.mozilla.org/blog/2020/04/29/designs-contact-tracing-apps/ (verificato il 5 agosto 2020)

World Health Organization (1999), “Influenza pandemic plan: the role of WHO and guidelines for national and regional planning”, Geneva. http://www.who.int/entity/csr/resources/publications/influenza/whocdscsredc991.pdf. (verificato il 17 aprile 2020).

World Health Organization (2020), “WHO Director-General’s opening remarks at the media briefing on COVID-19”, https://www.who.int/dg/speeches/detail/who-director-general-s-opening-remarks-at-the-media-briefing-on-covid-19—11-march-2020 (verificato il 5 agosto 2020

covid-19, pandemia, modelli virtuali


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Francesco Varanini

Francesco Varanini è Direttore e fondatore della rivista Persone&Conoscenze, edita dalla casa editrice ESTE. Ha lavorato per quattro anni in America Latina come antropologo. Quindi per quasi 15 anni presso una grande azienda, dove ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’area del Personale, dell’Organizzazione, dell’Information Technology e del Marketing. Successivamente è stato co-fondatore e amministratore delegato del settimanale Internazionale. Da oltre 20 anni è consulente e formatore, si occupa in particolar modo di cambiamento culturale e tecnologico. Ha insegnato per 12 anni presso il corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa e ha tenuto cicli di seminari presso l’Università di Udine. Tra i suoi libri, ricordiamo: Romanzi per i manager, Il Principe di Condé (Edizioni ESTE), Macchine per pensare.

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