Barattare il benessere per i soldi? No, grazie
Nella cosiddetta Great Resignation c’è chi ha lasciato la propria occupazione per trovarne una migliore, maggiormente appetibile e gratificante, ma c’è anche chi, insieme con il posto di lavoro, ha dovuto abbandonare le proprie ambizioni. Una decisione che, per persone come la giornalista canadese Amil Niazi (Vancouver magazine, Westender, Harmony, Mini magazine e Loop) – che ha raccontato la sua storia sulle pagine di The cut – non è stata di certo la prima scelta quanto, piuttosto, una strada obbligata di fronte alle continue chiusure di un mondo del lavoro che, secondo la sua testimonianza, sembra aver messo del tutto all’angolo certe professioni.
Dopo due anni complicati, a partire dall’inizio della pandemia, di lavoro a tempo pieno e di nuove sfide legate, per esempio, alla genitorialità, in un momento così complesso la giornalista ha sentito la necessità di orientarsi verso qualcosa di diverso, lontano da quelle che sono tradizionalmente considerate le tradizionali ambizioni di carriera e più vicino alle relazioni, alla comunità e a un ritmo più lento della vita. “Nonostante ci siano datori di lavoro che lamentano il fatto che la gente non abbia voglia di impegnarsi fino in fondo e di affrontare le difficoltà lavorative, le persone non hanno mai lavorato di più per meno soldi. Il problema non è la volontà di lavorare o meno, ma il fatto che inizia a non essere più appetibile l’idea di barattare il proprio benessere con un sogno americano in decadenza”, ha raccontato.
Dall’ambizione alla sopravvivenza
Per quanto Niazi abbia lavorato con dedizione e per quanto abbia accettato quelli che le venivano presentati come tagli salariali strategici e promozioni, che equivalevano a molto più lavoro senza stipendio extra, nella speranza che l’ambizione e il sacrificio la avrebbero premiata, a crescere erano solo il dolore del tunnel carpale e i debiti. “Quando, superati i 30 anni, sono rimasta incinta del mio primo figlio, ricordo di aver cercato statistiche sulle lavoratrici della mia età e di aver scoperto che, secondo diversi studi, il picco di guadagni è toccato intorno ai 44 anni. In pratica, avevo quasi raggiunto il massimo delle mie entrate”, ha raccontato. Per tentare di rendere più dignitoso il suo stipendio, la giornalista ha cercato nuove occupazioni, meglio retribuite, a tre mesi di distanza dal parto, ricordando, per esempio, di aver fatto un colloquio al telefono mentre allattava suo figlio.
Poco dopo, la pandemia ha nuovamente mischiato le carte in tavola, cambiando volto a tutto ciò che era considerato stabile o sicuro. “Mentre facevo da mamma a un neonato in isolamento mi sono resa conto che non ero disposta a rinunciare a nessun altro spazio mentale o emotivo in nome dell’idea che il lavoro stesso fosse un percorso verso qualcosa di più”, ha spiegato, infrangendo definitivamente quella che lei stessa considera un’illusione. La convinzione che tutto ciò a cui si rinuncia, il tempo per il pendolarismo, il lavoro straordinario, il controllo della posta elettronica e delle notifiche dopo l’orario di lavoro, tutto questo è destinato a far guadagnare libertà e capitale negli anni a venire. Ma, dal punto di vista della giornalista, questa visione è stata smascherata dai Millennial: la maggior parte delle persone nate dal 1981 in poi è destinata a lavorare fino alla fine della propria vita. In questi termini, più che di ambizione, avrebbe senso parlare di sopravvivenza.
Fonte: The cut
Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.
Millennial, benessere, stipendio, Great resignation, Amil Niazi