Bilanciare tecnologia e umanità
Il futuro delle nostre imprese manifatturiere non può dipendere interamente dal Recovery fund. I fondi che verranno erogati dall’Unione europea attraverso lo strumento del Recovery and Resilience Facility saranno distribuiti a fronte di progetti che – per stessa ammissione del nostro Presidente del Consiglio – devono ancora essere finalizzati. I finanziamenti dall’Europa arriveranno, ma nel frattempo bisogna andare avanti e le aziende devono superare la seconda ondata della pandemia.
I dati dell’export di settembre 2020 sono incoraggianti: l’Istat ha registrato un +3% rispetto allo stesso mese del 2019 verso il commercio extra-Ue, Cina e Usa i principali mercati di sbocco. Siamo la seconda manifattura europea e la settima al mondo e, se non vogliamo arretrare da queste posizioni, è necessario mantenere l’attenzione su alcuni aspetti. Il primo è l’equilibrio geopolitico.
L’Italia è la culla del rinascimento europeo, ma nello scacchiere internazionale contiamo poco, schiacciati dalla Germania che garantisce i prestiti all’Europa e dagli Usa che cubano una fetta importante del nostro export e mal sopportano il peso politico ed economico di una nazione contro la quale hanno combattuto due guerre mondiali. La nostra manifattura produce componentistica per le catene di fornitura tedesche: la Lombardia rappresenta per l’Austria un partner tanto importante quanto la Russia. È importante chiedersi cosa concorre a tenere in equilibrio le relazioni tra gli Stati e, all’interno di un orizzonte geopolitico contrastato e incerto, saper intravedere occasioni di sviluppo in alcune aree tra cui l’Indopacifico, il Medio Oriente e la Mesopotamia, dove è tutto da ricostruire.
Verso la nuova collaborazione uomini-macchine
Cosa fare per disegnare il Manifatturiero del futuro? Ci sono alcune leve sulle quali concentrarsi: l’Industrial smart working, lo sviluppo delle competenze, il ridisegno delle Operations e la creazione di nuovi modelli di business. Da produttori di beni strumentali le aziende dovranno anche proporre servizi a valore aggiunto abilitati dalle tecnologie digitali. Dalla Smart economy passiamo al Remote everything, un passaggio che richiede nuove competenze per gestire una innovazione che ha ritmi sempre più accelerati.
Sarebbe un errore pensare che nella fabbrica del futuro ci sia posto solo per le macchine dando per scontato che queste apprendono più in fretta e meglio degli esseri umani. L’Intelligenza Artificiale fa passi da gigante e non si nega questo. Ma la sfida sarà progettare contesti dove uomini e macchine non solo convivono, ma reciprocamente imparano. Dobbiamo accettare che le learning organization saranno abitate da uomini e macchine e sarà grazie alla convivenza di queste due intelligenze che si potrà costruire il futuro delle nostre imprese. E dove comunque l’immaginazione, l’intuizione e il senso etico e morale degli esseri umani avranno sempre qualcosa da insegnare alla macchina.
Un futuro dove, se è necessario sviluppare una sensibilità geopolitica, sarà anche indispensabile comprendere cosa accade lungo le filiere, che devono essere progettate per essere più corte, più robuste e trasparenti perché il consumatore dà sempre maggior valore alla sostenibilità di ciò che acquista. Chi fabbrica un prodotto è responsabile della filiera dei fornitori e dei materiali di cui si approvvigiona: il ‘contagio positivo’ deve partire dalla gestione della trasparenza, da norme comportamentali in cui aziende e fornitori contribuiscono in eguale misura a progettare filiere sostenibili all’interno di una visione sistemica. Ed è così che Green deal e digitalizzazione passano dall’essere linee guida teoriche della Commissione europea a linee di indirizzo concrete.
La pandemia ha rappresentato per molti un acceleratore: clienti più esigenti hanno stimolato la creazione di nuovi servizi, una rinnovata offerta porta un vantaggio competitivo ed espande il perimetro della value proposition. Anche il mantra “piccolo è bello” assume un diverso significato. I piccoli devono innovare tanto quanto i grandi e progettare aggregazioni che li proiettino nel mercato globale. Il programma Next Generation Eu è ambizioso. I fondi arriveranno, nel frattempo dobbiamo investire in conoscenza. E tradurre la conoscenza in nuovi pensieri, da trasformare in opportunità, sarà la sfida più grande
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